lunedì 31 ottobre 2011

Desertec in accelerazione

EDITORIALE  

 

Desertec, il gigantesco progetto tecnologico capace di trasformare il sole del deserto in energia elettrica (senza emissioni di CO2), sta entrando nella sua fase operativa. Più speditamente del previsto.

di Andrea Ermano  

 

Vent'anni fa, riflettendo sulla necessità di produrre energia senza rischiare nuove Cernobyl (e senza continuare a surriscaldare l'atmosfera), un fisico tedesco, Gerhard Knies, decise di prendere le mosse dal fatto che i deserti della Terra ricevono dal Sole "in sei ore più energia di quanta l'umanità consumi durante un anno".

    Il dottor Knies si mise al lavoro. E nel 2003 promosse un incontro informale tra la fondazione ecologista Hamburger Klimaschutz Fonds , il CNR del Regno di Giordania e il Club di Roma . Ne seguì un'intensa fase di studi, ricerche e sperimentazioni, culminata nel novembre di un anno fa con l'inaugurazione del primo progetto pilota.

    Desertec è in sostanza una gigantesca macchina a vapore composta da ordini di specchi parabolici che convogliano la luce solare su lunghi cilindri dai quali, grazie all'elevata temperatura, viene generato un getto continuo di vapore capace di azionare speciali turbine idroelettriche.

    La Siemens ha affinato in Cina le tecniche di trasporto dell'energia elettrica su lunghe distanze. Verranno applicate al progetto Desertec per poter rifornire l'Africa subsaariana e l'Europa lungo condotte di circa tremila chilometri. Solo per la costruzione degli elettrodotti è stato previsto un investmento di 45 miliardi di euro, riferisce il settimanale Der Spiegel .

Tra pochi anni la centrale elio-elettrica Desertec in procinto di essere costruita in Marocco dovrebbe raggiungere una capacità di 500 megawatt sfruttando la luce solare. Per produrre a zero emissioni di CO2 metà energia rispetto a quanta ne esce da una centrale nuceare di nuova generazione Desertec abbisogna di 12 chilometri quadrati di deserto. Il Sahara ha un'estensione pari a circa 9 milioni di chilometri quadrati.

Le agenzie ieri hanno battuto la seguente notizia: Desertec procede più velocemente di quanto assunto originariamente. Due anni fa si era calcolato che la costruzione della prima centrale elio-solare non sarebbe potuta partire prima del 2015. Oggi si ritiene che il completamento dell'opera dovrebbe avvenire tra il 2014 e il 2016  "a seconda delle tecniche che verranno concretamente impiegate", ha detto il direttore generale del progetto Ernst Rauch.

    La prima centrale Desertec verrà posata anch'essa in Marocco su dodici chilometri quadrati di deserto e dovrebbe produrre circa la metà dell'energia di una centrale nucleare di nuova generazione. Il direttore Rauch ha detto che l'impianto inizierà a fornire energia tra due-quattro anni al massimo, riferisce la Suedddeutsche Zeitung .

    Con un investimento iniziale di 600 milioni di euro e un costo complessivo di due miliardi a centrale completata Desertec passerebbe da una capacità iniziale di 150 megawatt fino ai 500 "a regime".

   L'energia prodotta dovrà essere impiegata in parte consistente in Africa, in parte verrà però esportata anche in Europa.

    Dopo la moratoria nucleare seguita al disastro di Fukushima i finanziatori del consorzio ( Deutsche Bank , Siemens , E.on e la Muenchener Rueck e altri) hanno deciso di accelerare la corsa alla conquista dell'energia elioelettrica dei deserti.

    Il Marocco, paese non ricco di riserve fossili quanto i suoi vicini e quindi fortemente interessato a contrastare la dipendenza energetica, è stato prescelto dagli investitori europei quale partner ideale in questa impresa, che dovrebbe condurre entro il 2050 alla copertura di circa il 15% del fabbisogno energetico del nostro continente oltre che di parte notevole di quello dei paesi africani, e ciò senza implicare alcuna emissione di CO2.

    Il volume degli investimenti Desertec da ripartirsi nei prossimi tre o quattro decenni ammonterebbe a circa 400 miliardi di euro, il 30% dei quali verrebbe raccolto dalla società Dii , costola imprenditoriale della Desertec Foudation .

    Il governo tedesco sarebbe pronto ad assumere la guida dell'impresa non appena questa sarà entrata nella sua fase propriamente operativa, ha dichiarato Rauch in merito ai colloqui in corso a Berlino presso i ministeri federali dell'ambiente e dell'economia.

    Ai colloqui prenderebbero parte anche Spagna, Italia, Francia e UE, riferisce l'agenzia Reuters.

Il silenzio è oro

EDITORIALE  


Attenzione. Le immagini che seguono potrebbero urtare la vostra sensibilità.

di Andrea Ermano  

 

"Ragazzi, oggi offro io!", annuncia compiaciuto nella stanza vuota: "Ah, ah, non c'è nessuno". Carrellata sul nuovo distributore automatico: "La pausa caffè più divertente del mondo. E vinci fantastici premi.". Sul sito del Corriere della sera questo spot – intercambiabile con la pizza precotta, il totoscommesse, le scarpe nuove e la carta di credito – precede il video web dedicato alla cattura del raìs libico: "Attenzione. Le immagini che seguono potrebbero urtare la vostra sensibilità".

    Esterno giorno.

    Una torma di energumeni su sfondo giallo oro (è la sabbia del deserto) gesticola intorno a un signore di una certa età, scarmigliato, ansimante, sporco di sangue. Gli stanno dando una manica di legnate.

    Pochi mesi fa quel signore ha assoldato accolite di picchiatori mercenari stranieri contro il popolo che protestava per il costo del pane. Dioidiché gli ha scatenato addosso l'aviazione militare con l'ordine di bombardare i manifestanti. Ne è conseguita un'insurrezione. Lui ha definito "ratti" gli oppositori e si è poi asserragliato nei suoi bunker fino all'arrivo degli insorti, ieri l'altro.

    In teoria, si dovrebbe fare fatica a compatirlo, questo signore finanziatore di terroristi e torturatore di migranti. Ma adesso anche lui è solo un uomo. Un uomo solo.

    L'immagine salta di palo in frasca. Una mano, un cingolato, torsi assortiti in rapido movimento, gli zigomi smaltati di tracce ematiche, il pizzetto, il muto terrore nell'occhio di gran boia giunto al capolinea del suo macello. Lo stanno linciando. Gli ululati ossessionano l'aria già ribollente di suo.

    Salve di mitra. Insulti. Sputi. Torture.

    Il signore offre oro in cambio della vita. Davvero la vita di Muammar Gheddafi vale tanto oro quanto pesa? No. Ne vale molto di più. Ma anche il silenzio è oro. E, così, il colonnello viene platealmente silenziato sotto le telecamere web. Il mondo assiste in presa diretta la fine del gran Creso di tutte le Tripolitanie, uomini tra i più ricchi del mondo, i cui favolosi conti in banca sono contesi da ogni paradiso fiscale degno di questo nome.

   I suoi tesori lo hanno abbandonato proprio nel momento più difficile.

Meno di un anno fa i potenti della Terra stavano all'entrata della sua tenda in fila per essere ricevuti: capi di stato e di governo aderivano a ogni suo desiderio prima ancora che venisse desiderato, gli giuravano eterna amicizia, gli baciavano le mani con al seguito veneri dell'Olimpo, ministri, elefanti, crocerossine, strateghi, cammelli, cortigiane, grandi sacerdoti, amazzoni, manager e zebre. Financo le zebre!

    Ora il "Leader fraterno", la "Guida della Grande Rivoluzione di Libia", l'ex azionista Fiat, l'augusto "Re dei Re" (titolo a pagamento), adesso costui si acquatta sulla sabbia tra calci e pugni e insulti. Come un cane.

    Dissolvenza.

    Scompaiono le grida e tornano i consigli per gli acquisti. Il videomassacro s'interrompe prima del colpo di grazia. La gente guarda il Grande fratello 13. Sembra che gli abbiano sparato con una pistola d'oro in pancia (prima versione). Oppure in testa (seconda versione). La gente balla. Il processo di fronte alla corte internazionale per i crimini di guerra non avrà luogo.

    Il silenzio è oro.

    La gente cambia canale e si fa quattro risate con Scilipoti e Berlusconi che cantano: "Stringiamoci a coorte, siam pronti alla morte, l'Italia chiamò". Sul podio del "Movimento Responsibilità Nazionale" campeggia un Tao bianco rosso e verde: "Cristiani, patria e famiglia".

     Rataplam.

    La missione Nato finisce il 31 ottoobre. A voler essere pignoli, il mandato militare conferito dal Parlamento della Repubblica alle truppe italiane era già scaduto il 30 settembre. Formalismi costituzionali.

    Prima bisogna finire i compiti.

    Poi la pausa caffè più divertente del mondo. E vinci fantastici premi. Ragazzi, oggi offro io.

    Ah, ah, non c'è nessuno.

mercoledì 19 ottobre 2011

Ragazzini. Criminali. Infiltrati

di Andrea Ermano
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Ci scrive un lettore: "La più grande manifestazione mondiale degli Indignati si è tenuta a Roma (150-200 mila persone). . . Ma oggi si parlerà di loro, dei Black Bloc, e dei danni (materiali e d'immagine) provocati da loro. E non delle giuste rivendicazioni che i tanti precari, i giovani, le donne, i lavoratori in genere, ponevano. Perché queste cose accadono in Italia?" (G.F. Tannino, Monaco di Baviera).

La questione è rilevante. Assistiamo alla nascita di un movimento popolare transnazionale che, come e più del Sessantonto, potrebbe rivoluzionare in senso cosmopolita il nostro modo di vivere la cittadinanza. Ma noi italiani rischiamo di vedercene tagliati fuori a causa dei Black Bloc.

Perché ci succedono queste cose? Il ministro degli Interni, Roberto Maroni definisce le violenze accadute sabato "un'opera di criminali infiltrati tra i manifestanti". È successo, per esempio, che un'autoblindo dei Carabinieri sia stata attaccata, circondata, espugnata e messa a fuoco da una centuria di "regazzini di sedici-diciassette anni", ha dichiarato un testimone oculare di fronte alle telecamere web.

Pare che i "regazzini" abbiano avuto l'accortezza di lasciare aperta una via di fuga al milite presente sul furgone. Stavano per dare alle fiamme l'automezzo blindato, ricorda Fabio T. che era alla guida: "Non riuscivo più ad andare né avanti né indietro". E aggiunge: "Per fortuna avevo il casco, altrimenti sarei morto". Invece, è riuscito a scappare. Per fortuna.

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"L'intento preciso dei 'neri'", riferisce un altro agente, "era quello di dividerci per aggredirci. . . avvicinandosi alle forze dell'ordine, filmandole e chiamando poi sul cellulare i loro compagni per segnalare i punti deboli. E lì hanno colpito".

Ora, siccome al giorno d'oggi nel nostro continente i "regazzini" di norma non posseggono queste capacità di coordinamento tattico paramilitare, sorge il dubbio che il sostantivo "criminali" usato da Maroni indichi dei criminali veri, cioè una lievitazione di manovalanza criminale addestrata e mobilitata ad hoc. (Nel frattempo è giunta la notizia che gli addestramenti paramilitari sarebbero avvenuti in Val di Susa).

Resta da comprendere l'attributo "infiltrati".

Le cronache riferiscono di circa cinquecento "infiltrati" che, tra Piazza San Giovanni e Via Merulana, hanno messo in scena un'orgia di violenza. Si erano "infiltrati" da sé? Erano lì convenuti per autonoma decisione loro? Cercavano distrazione tra una curva sud e l'altra?

Se le parole hanno un senso, dobbiamo ritenere che sabato in Roma gli "infiltrati" puntassero a provocare una situazione nella quale – e qui citiamo di nuovo Maroni – "poteva scapparci il morto".

Se il bilancio si chiude "solo" con centotrenta all'ospedale e nessuno all'obitorio, lo si deve all'intelligenza delle forze dell'ordine.

Forse, i nostri poliziotti e i loro comandanti si erano preparati con tanta professionalità all'appuntamento, avendo ascoltato alcuni messaggi speciali lanciati da Giuliano Ferrara su "Radio Londra" circa gli Indignados che, parole sue, erano "alla ricerca del morto".


"Alla ricerca del morto" – che in questo marasma possa ormai "scapparci il morto", l'aveva già diagnosticato anche Antonio Di Pietro, qualche settimana fa. Quindi, riassumendo in ordine cronologico – Di Pietro, Ferrara, Maroni – siamo alla terza evocazione del morto nel giro di breve tempo. Ecco, questo, tutto questo, effettivamente avviene solo in Italia.

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È questa per il Belpaese un'epoca di tensione. Non mancano forti contrasti né sul piano politico né su quello economico e nemmeno su quello culturale.

Sul piano culturale, e in modo eminente sul piano religioso, i cattolici appaiono visibilmente spaccati due; d'un lato c'è una Curia vaticana che vorrebbe tenersi questo governo in attesa di gestire il "dopo" conservando il suo potere (ma troppo non è abbastanza), dall'altro lato ci sono settori di episcopato italiano uniti al grosso della "base" che invece vedono il berlusconismo come fumo negli occhi e reputano il Paese maturo per un pluralismo cultuare adulto.

Sul piano economico la situazione non è migliore. Crescono i motivi di conflitto tra potentati, tra Settentrione e Meridione, tra economia reale ed economia finanziaria, tra "grandi" e "piccoli" in competizione per l'accaparramento di risorse sempre più esigue; senza contare la dicotomia tra precari e "garantiti", tra giovani disoccupati e anziani privilegiati, tra capitale e lavoro.

In questo scenario ha luogo il cozzo frontale tra le opposte fazioni della politica, nelle quali trovano contrastante estrinsecazione i mille interessi, più o meno framelici, più o meno feroci.

Una plastica rappresentazione di tutto ciò si è materializzata dentro il Corriere della Sera, tempio della borghesia lombarda dove il 5 ottobre scorso Ferruccio de Bortoli, direttore parco e moderato, concludeva il suo fondo testualmente così:

"Su questo giornale abbiamo suggerito al premier di fare come è accaduto in Spagna: annunciare che non si ricandiderà, chiedere le elezioni e non trascinare con sé l'intero centrodestra. Nessuna risposta".

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Invece, la "risposta" gli veniva recapitata proprio quello stesso giorno e proprio sul suo giornale da Marina Berlusconi, presidente di Fininvest e figlia del presidente del Consiglio:

"Mio padre non deve assolutamente mollare e non mollerà. Per molte ragioni. Intanto in un momento come questo la stabilità è un bene prezioso, e oggi non mi pare proprio ci siano alternative degne di questo nome all'attuale governo. Ma soprattutto non deve mollare e non mollerà per il rispetto e l'amore che ha verso la democrazia".

Questo cozzo frontale, tutto inerente all'establishment (ma anche inerente a tutto l'establishment), ha dell'inaudito. Perciò, purtroppo, non possiamo dirci completamente sorpresi se a Roma qualche centinaio di "criminali infiltrati" è sceso in capo "alla ricerca del morto". Non per la prima volta succedono queste cose, in Italia.

Oggi, comunque, possiamo gioire dello scampato pericolo di ieri. Ma domani? Che fare? La legittima mobilitazione dei cittadini non può cedere al vile ricatto della violenza. Dunque, non possiamo non augurarci che gli Indignados moltiplichino le loro azioni di protesta sociale, pacificamente. E speriamo che prima o poi dal Parlamento nasca un'alternativa politica credibile all'attuale marasma.