giovedì 10 novembre 2011

Contro il dissesto

di Andrea Ermano  

Genova nel fango. E quante persone morte. Che pena terribile. La mente va al novembre del 1966.

    Non avevo ancora dieci anni quando vidi un torrente erompere improvvisamente dalla viuzza di fronte a casa. Le acque attraversarono Via Matteotti in modo sgangherato e imboccarono il nostro portone, senza badare minimamente al traffico senza suonare e senza bussare. Si gonfiarno lungo il sottoportico gettandosi nel cortile e nelle cantine trasformandole ipso facto in cisterne fangose.

    Noi bambini fummo portati in una camera al secondo piano, con il permesso di saltare sui letti e il divieto di muoverci di lì.

    Fu in quei giorni ormai lontanissimi che udimmo pronunciare per la prima volta a mezza bocca dallo zio che era ingegnere civile queste parole alate: "Dissesto idrogeologico".

    Quarantacinque anni dopo, il dissesto si è aggravato. E ci dà una misura del nostro regresso civile, tra licenze edilizie creative, abusivismo pervasivo, condoni tombali e furbismo militante generalizzato.

    E quando piove disastri e tragedie.

    Piove, governo ladro.

    Ma, al di là del malgoverno, occorre porsi una questione un po' più vasta, di cultura politica.

    Eccola: come evitare la tracimazione dei corsi d'acqua laddove la nostra logica resta subalterna alle oligarchie del libero mercato che, manco a dirlo, "si regola da sé"?

    Se il mercato si regola da sé, allora è il denaro che "lavora", non gli uomini, e di conseguenza basterà che lo Stato lasci i soldi a chi già li ha, affinché i baiocchi generino baiocchi: "Più ricchezza per tutti!".

    Resta il fatto che in questo perfetto sistema di autoregolazione ci siamo dimenticati di rifare gli argini dei fiumi: Già, per quale ragione in tutti questi anni a nessuno è mai venuto in mente di privatizzare i terrapieni, i ciglioni, le scarpate, le dighe, le barriere, i terrazzamenti, le briglie e gli altri consolidamenti geologici?

    Ma via, è ovvio: perché i terrapieni, i ciglioni, le scarpate, le dighe, le barriere, i terrazzamenti, le briglie e gli altri consolidamenti geologici non massimizzano profitti a breve.

    È il neo-liberismo, baby.

    Dunque, combattere il dissesto idrogeologico richiede il superamento del neo-liberismo. Il quale per altro, a ben vedere, comporta a valle un grave dissesto, anche economico, della nostra società e a monte discende da un dissesto etico e civico, forse ancor più grave.

 

lunedì 31 ottobre 2011

Desertec in accelerazione

EDITORIALE  

 

Desertec, il gigantesco progetto tecnologico capace di trasformare il sole del deserto in energia elettrica (senza emissioni di CO2), sta entrando nella sua fase operativa. Più speditamente del previsto.

di Andrea Ermano  

 

Vent'anni fa, riflettendo sulla necessità di produrre energia senza rischiare nuove Cernobyl (e senza continuare a surriscaldare l'atmosfera), un fisico tedesco, Gerhard Knies, decise di prendere le mosse dal fatto che i deserti della Terra ricevono dal Sole "in sei ore più energia di quanta l'umanità consumi durante un anno".

    Il dottor Knies si mise al lavoro. E nel 2003 promosse un incontro informale tra la fondazione ecologista Hamburger Klimaschutz Fonds , il CNR del Regno di Giordania e il Club di Roma . Ne seguì un'intensa fase di studi, ricerche e sperimentazioni, culminata nel novembre di un anno fa con l'inaugurazione del primo progetto pilota.

    Desertec è in sostanza una gigantesca macchina a vapore composta da ordini di specchi parabolici che convogliano la luce solare su lunghi cilindri dai quali, grazie all'elevata temperatura, viene generato un getto continuo di vapore capace di azionare speciali turbine idroelettriche.

    La Siemens ha affinato in Cina le tecniche di trasporto dell'energia elettrica su lunghe distanze. Verranno applicate al progetto Desertec per poter rifornire l'Africa subsaariana e l'Europa lungo condotte di circa tremila chilometri. Solo per la costruzione degli elettrodotti è stato previsto un investmento di 45 miliardi di euro, riferisce il settimanale Der Spiegel .

Tra pochi anni la centrale elio-elettrica Desertec in procinto di essere costruita in Marocco dovrebbe raggiungere una capacità di 500 megawatt sfruttando la luce solare. Per produrre a zero emissioni di CO2 metà energia rispetto a quanta ne esce da una centrale nuceare di nuova generazione Desertec abbisogna di 12 chilometri quadrati di deserto. Il Sahara ha un'estensione pari a circa 9 milioni di chilometri quadrati.

Le agenzie ieri hanno battuto la seguente notizia: Desertec procede più velocemente di quanto assunto originariamente. Due anni fa si era calcolato che la costruzione della prima centrale elio-solare non sarebbe potuta partire prima del 2015. Oggi si ritiene che il completamento dell'opera dovrebbe avvenire tra il 2014 e il 2016  "a seconda delle tecniche che verranno concretamente impiegate", ha detto il direttore generale del progetto Ernst Rauch.

    La prima centrale Desertec verrà posata anch'essa in Marocco su dodici chilometri quadrati di deserto e dovrebbe produrre circa la metà dell'energia di una centrale nucleare di nuova generazione. Il direttore Rauch ha detto che l'impianto inizierà a fornire energia tra due-quattro anni al massimo, riferisce la Suedddeutsche Zeitung .

    Con un investimento iniziale di 600 milioni di euro e un costo complessivo di due miliardi a centrale completata Desertec passerebbe da una capacità iniziale di 150 megawatt fino ai 500 "a regime".

   L'energia prodotta dovrà essere impiegata in parte consistente in Africa, in parte verrà però esportata anche in Europa.

    Dopo la moratoria nucleare seguita al disastro di Fukushima i finanziatori del consorzio ( Deutsche Bank , Siemens , E.on e la Muenchener Rueck e altri) hanno deciso di accelerare la corsa alla conquista dell'energia elioelettrica dei deserti.

    Il Marocco, paese non ricco di riserve fossili quanto i suoi vicini e quindi fortemente interessato a contrastare la dipendenza energetica, è stato prescelto dagli investitori europei quale partner ideale in questa impresa, che dovrebbe condurre entro il 2050 alla copertura di circa il 15% del fabbisogno energetico del nostro continente oltre che di parte notevole di quello dei paesi africani, e ciò senza implicare alcuna emissione di CO2.

    Il volume degli investimenti Desertec da ripartirsi nei prossimi tre o quattro decenni ammonterebbe a circa 400 miliardi di euro, il 30% dei quali verrebbe raccolto dalla società Dii , costola imprenditoriale della Desertec Foudation .

    Il governo tedesco sarebbe pronto ad assumere la guida dell'impresa non appena questa sarà entrata nella sua fase propriamente operativa, ha dichiarato Rauch in merito ai colloqui in corso a Berlino presso i ministeri federali dell'ambiente e dell'economia.

    Ai colloqui prenderebbero parte anche Spagna, Italia, Francia e UE, riferisce l'agenzia Reuters.

Il silenzio è oro

EDITORIALE  


Attenzione. Le immagini che seguono potrebbero urtare la vostra sensibilità.

di Andrea Ermano  

 

"Ragazzi, oggi offro io!", annuncia compiaciuto nella stanza vuota: "Ah, ah, non c'è nessuno". Carrellata sul nuovo distributore automatico: "La pausa caffè più divertente del mondo. E vinci fantastici premi.". Sul sito del Corriere della sera questo spot – intercambiabile con la pizza precotta, il totoscommesse, le scarpe nuove e la carta di credito – precede il video web dedicato alla cattura del raìs libico: "Attenzione. Le immagini che seguono potrebbero urtare la vostra sensibilità".

    Esterno giorno.

    Una torma di energumeni su sfondo giallo oro (è la sabbia del deserto) gesticola intorno a un signore di una certa età, scarmigliato, ansimante, sporco di sangue. Gli stanno dando una manica di legnate.

    Pochi mesi fa quel signore ha assoldato accolite di picchiatori mercenari stranieri contro il popolo che protestava per il costo del pane. Dioidiché gli ha scatenato addosso l'aviazione militare con l'ordine di bombardare i manifestanti. Ne è conseguita un'insurrezione. Lui ha definito "ratti" gli oppositori e si è poi asserragliato nei suoi bunker fino all'arrivo degli insorti, ieri l'altro.

    In teoria, si dovrebbe fare fatica a compatirlo, questo signore finanziatore di terroristi e torturatore di migranti. Ma adesso anche lui è solo un uomo. Un uomo solo.

    L'immagine salta di palo in frasca. Una mano, un cingolato, torsi assortiti in rapido movimento, gli zigomi smaltati di tracce ematiche, il pizzetto, il muto terrore nell'occhio di gran boia giunto al capolinea del suo macello. Lo stanno linciando. Gli ululati ossessionano l'aria già ribollente di suo.

    Salve di mitra. Insulti. Sputi. Torture.

    Il signore offre oro in cambio della vita. Davvero la vita di Muammar Gheddafi vale tanto oro quanto pesa? No. Ne vale molto di più. Ma anche il silenzio è oro. E, così, il colonnello viene platealmente silenziato sotto le telecamere web. Il mondo assiste in presa diretta la fine del gran Creso di tutte le Tripolitanie, uomini tra i più ricchi del mondo, i cui favolosi conti in banca sono contesi da ogni paradiso fiscale degno di questo nome.

   I suoi tesori lo hanno abbandonato proprio nel momento più difficile.

Meno di un anno fa i potenti della Terra stavano all'entrata della sua tenda in fila per essere ricevuti: capi di stato e di governo aderivano a ogni suo desiderio prima ancora che venisse desiderato, gli giuravano eterna amicizia, gli baciavano le mani con al seguito veneri dell'Olimpo, ministri, elefanti, crocerossine, strateghi, cammelli, cortigiane, grandi sacerdoti, amazzoni, manager e zebre. Financo le zebre!

    Ora il "Leader fraterno", la "Guida della Grande Rivoluzione di Libia", l'ex azionista Fiat, l'augusto "Re dei Re" (titolo a pagamento), adesso costui si acquatta sulla sabbia tra calci e pugni e insulti. Come un cane.

    Dissolvenza.

    Scompaiono le grida e tornano i consigli per gli acquisti. Il videomassacro s'interrompe prima del colpo di grazia. La gente guarda il Grande fratello 13. Sembra che gli abbiano sparato con una pistola d'oro in pancia (prima versione). Oppure in testa (seconda versione). La gente balla. Il processo di fronte alla corte internazionale per i crimini di guerra non avrà luogo.

    Il silenzio è oro.

    La gente cambia canale e si fa quattro risate con Scilipoti e Berlusconi che cantano: "Stringiamoci a coorte, siam pronti alla morte, l'Italia chiamò". Sul podio del "Movimento Responsibilità Nazionale" campeggia un Tao bianco rosso e verde: "Cristiani, patria e famiglia".

     Rataplam.

    La missione Nato finisce il 31 ottoobre. A voler essere pignoli, il mandato militare conferito dal Parlamento della Repubblica alle truppe italiane era già scaduto il 30 settembre. Formalismi costituzionali.

    Prima bisogna finire i compiti.

    Poi la pausa caffè più divertente del mondo. E vinci fantastici premi. Ragazzi, oggi offro io.

    Ah, ah, non c'è nessuno.

mercoledì 19 ottobre 2011

Ragazzini. Criminali. Infiltrati

di Andrea Ermano
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Ci scrive un lettore: "La più grande manifestazione mondiale degli Indignati si è tenuta a Roma (150-200 mila persone). . . Ma oggi si parlerà di loro, dei Black Bloc, e dei danni (materiali e d'immagine) provocati da loro. E non delle giuste rivendicazioni che i tanti precari, i giovani, le donne, i lavoratori in genere, ponevano. Perché queste cose accadono in Italia?" (G.F. Tannino, Monaco di Baviera).

La questione è rilevante. Assistiamo alla nascita di un movimento popolare transnazionale che, come e più del Sessantonto, potrebbe rivoluzionare in senso cosmopolita il nostro modo di vivere la cittadinanza. Ma noi italiani rischiamo di vedercene tagliati fuori a causa dei Black Bloc.

Perché ci succedono queste cose? Il ministro degli Interni, Roberto Maroni definisce le violenze accadute sabato "un'opera di criminali infiltrati tra i manifestanti". È successo, per esempio, che un'autoblindo dei Carabinieri sia stata attaccata, circondata, espugnata e messa a fuoco da una centuria di "regazzini di sedici-diciassette anni", ha dichiarato un testimone oculare di fronte alle telecamere web.

Pare che i "regazzini" abbiano avuto l'accortezza di lasciare aperta una via di fuga al milite presente sul furgone. Stavano per dare alle fiamme l'automezzo blindato, ricorda Fabio T. che era alla guida: "Non riuscivo più ad andare né avanti né indietro". E aggiunge: "Per fortuna avevo il casco, altrimenti sarei morto". Invece, è riuscito a scappare. Per fortuna.

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"L'intento preciso dei 'neri'", riferisce un altro agente, "era quello di dividerci per aggredirci. . . avvicinandosi alle forze dell'ordine, filmandole e chiamando poi sul cellulare i loro compagni per segnalare i punti deboli. E lì hanno colpito".

Ora, siccome al giorno d'oggi nel nostro continente i "regazzini" di norma non posseggono queste capacità di coordinamento tattico paramilitare, sorge il dubbio che il sostantivo "criminali" usato da Maroni indichi dei criminali veri, cioè una lievitazione di manovalanza criminale addestrata e mobilitata ad hoc. (Nel frattempo è giunta la notizia che gli addestramenti paramilitari sarebbero avvenuti in Val di Susa).

Resta da comprendere l'attributo "infiltrati".

Le cronache riferiscono di circa cinquecento "infiltrati" che, tra Piazza San Giovanni e Via Merulana, hanno messo in scena un'orgia di violenza. Si erano "infiltrati" da sé? Erano lì convenuti per autonoma decisione loro? Cercavano distrazione tra una curva sud e l'altra?

Se le parole hanno un senso, dobbiamo ritenere che sabato in Roma gli "infiltrati" puntassero a provocare una situazione nella quale – e qui citiamo di nuovo Maroni – "poteva scapparci il morto".

Se il bilancio si chiude "solo" con centotrenta all'ospedale e nessuno all'obitorio, lo si deve all'intelligenza delle forze dell'ordine.

Forse, i nostri poliziotti e i loro comandanti si erano preparati con tanta professionalità all'appuntamento, avendo ascoltato alcuni messaggi speciali lanciati da Giuliano Ferrara su "Radio Londra" circa gli Indignados che, parole sue, erano "alla ricerca del morto".


"Alla ricerca del morto" – che in questo marasma possa ormai "scapparci il morto", l'aveva già diagnosticato anche Antonio Di Pietro, qualche settimana fa. Quindi, riassumendo in ordine cronologico – Di Pietro, Ferrara, Maroni – siamo alla terza evocazione del morto nel giro di breve tempo. Ecco, questo, tutto questo, effettivamente avviene solo in Italia.

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È questa per il Belpaese un'epoca di tensione. Non mancano forti contrasti né sul piano politico né su quello economico e nemmeno su quello culturale.

Sul piano culturale, e in modo eminente sul piano religioso, i cattolici appaiono visibilmente spaccati due; d'un lato c'è una Curia vaticana che vorrebbe tenersi questo governo in attesa di gestire il "dopo" conservando il suo potere (ma troppo non è abbastanza), dall'altro lato ci sono settori di episcopato italiano uniti al grosso della "base" che invece vedono il berlusconismo come fumo negli occhi e reputano il Paese maturo per un pluralismo cultuare adulto.

Sul piano economico la situazione non è migliore. Crescono i motivi di conflitto tra potentati, tra Settentrione e Meridione, tra economia reale ed economia finanziaria, tra "grandi" e "piccoli" in competizione per l'accaparramento di risorse sempre più esigue; senza contare la dicotomia tra precari e "garantiti", tra giovani disoccupati e anziani privilegiati, tra capitale e lavoro.

In questo scenario ha luogo il cozzo frontale tra le opposte fazioni della politica, nelle quali trovano contrastante estrinsecazione i mille interessi, più o meno framelici, più o meno feroci.

Una plastica rappresentazione di tutto ciò si è materializzata dentro il Corriere della Sera, tempio della borghesia lombarda dove il 5 ottobre scorso Ferruccio de Bortoli, direttore parco e moderato, concludeva il suo fondo testualmente così:

"Su questo giornale abbiamo suggerito al premier di fare come è accaduto in Spagna: annunciare che non si ricandiderà, chiedere le elezioni e non trascinare con sé l'intero centrodestra. Nessuna risposta".

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Invece, la "risposta" gli veniva recapitata proprio quello stesso giorno e proprio sul suo giornale da Marina Berlusconi, presidente di Fininvest e figlia del presidente del Consiglio:

"Mio padre non deve assolutamente mollare e non mollerà. Per molte ragioni. Intanto in un momento come questo la stabilità è un bene prezioso, e oggi non mi pare proprio ci siano alternative degne di questo nome all'attuale governo. Ma soprattutto non deve mollare e non mollerà per il rispetto e l'amore che ha verso la democrazia".

Questo cozzo frontale, tutto inerente all'establishment (ma anche inerente a tutto l'establishment), ha dell'inaudito. Perciò, purtroppo, non possiamo dirci completamente sorpresi se a Roma qualche centinaio di "criminali infiltrati" è sceso in capo "alla ricerca del morto". Non per la prima volta succedono queste cose, in Italia.

Oggi, comunque, possiamo gioire dello scampato pericolo di ieri. Ma domani? Che fare? La legittima mobilitazione dei cittadini non può cedere al vile ricatto della violenza. Dunque, non possiamo non augurarci che gli Indignados moltiplichino le loro azioni di protesta sociale, pacificamente. E speriamo che prima o poi dal Parlamento nasca un'alternativa politica credibile all'attuale marasma.

mercoledì 28 settembre 2011

Viste da Berlino

Gerusalemme, Atene, Roma e persino Parigi

 

di Andrea Ermano  

 

Per l'Europa l'evento politico di questa settimana, e probabilmente non solo di questa, è dato dal viaggio di Benedetto XVI nel suo paese d'origine, tra bagni di folla, contestazioni, applausi, voci di dimissioni al compimento dell'ottantacinquesimo anno nell'aprile 2012.

    Ripercorreremo qui il discorso del papa al Reichstag , dove Ratzinger ha anzitutto rievocato i legami con la "patria tedesca", ma sottolineando, in quanto capo dei cattolici, la propria "responsabilità internazionale": un velato richiamo alle responsabilità internazionali altrui, e in particolare della Germania? Lo suggerirebbe il racconto biblico sulla salita al trono di re Salomone e la sua preghiera: "Dà dunque al tuo servo un cuore intelligente perché io possa amministrare la giustizia per il tuo popolo e discernere il bene dal male".

 

I governanti devono orientarsi primariamente alla Giustizia, non al successo demoscopico; la politica dev'essere "impegno per la Giustizia" e quindi fattore di Pace. Sicché, a fil di logica, se ci fossero dei governanti che per ipotesi estrema e assurda lasciassero andare in malora un paese, o magari un continente, o addirittura l'intero pianeta e la sua atmosfera, pur di non assumere alcuna seria responsabilità, ossessionati solo dai sondaggi e dall'imperativo della propria rielezione, ebbene questi politici minerebbero la Pace.

    Cadono parole che non possono essere fraintese quando, nel giudizio sul nazismo, viene convocato Agostino: "Togli il diritto – e che cos'è allora uno Stato se non una gran banda di briganti?" Questo fu lo Sato hitleriano, un'associazione per delinquere, che presto divenne minaccia per il mondo intero fino a spingerlo sull'orlo dell'abisso.

    Ma la domanda agostiniana sul diritto resta tuttora valida, in un'epoca caratterizzata dalla potenza tecnico-scientifica: "L'uomo può distruggere il mondo", ha ricordato Benedetto XVI, "può manipolare se stesso. Può, per così dire, creare esseri umani ed escludere esseri umani dall'essere uomini."

     Come riconoscere ciò che è giusto in situazioni eccezionali? Ora, se a formare il diritto in situazioni normali basta di norma il consenso della maggioranza, la Resistenza in Europa non fu maggioranza. Qui Ratzinger ripropone l'assillo circa la verità in politica. E la sua risposta si spinge in un riconoscimento, inconsueto, della tradizione illuminista, bollata in altri tempi con parole di fuoco, venerdì scorso a Berlino riabilitata come fonte di diritto conforme a natura e a ragione.

    Di qui – ha aggiunto Benedetto XVI – "parte la via che porta, attraverso il Medioevo cristiano, allo sviluppo giuridico dell'Illuminismo fino alla Dichiarazione dei Diritti umani". Di qui la ragione occidentale ha assunto un ruolo determinante per "la cultura giuridica dell'umanità" – da Gerusalemme ad Atene a Roma compiendosi infine (due volte!) a Parigi: nella Parigi di Lafayette (1789) e poi ancora nella Parigi di Eleanor Roosevelt (1948).

    La prima metà del discorso berlinese di Ratzinger, di cui abbiamo sin qui riferito, fa culminare la parabola giusnaturalista nelle costituzioni europee nate dopo la Seconda Guerra sotto l'egida della Dichiarazione universale dei diritti umani, nello spirito degli "inviolabili e inalienabili diritti dell'uomo come fondamento di ogni comunità umana, della pace e della giustizia nel mondo" (Art. 1 GG).

 

Stiamo assistendo al ritorno del figliol prodigo cristiano alla casa madre alessandrina dell'ebraismo e della filosofia? Possiamo dimenticare le persecuzioni cattoliche? A che punto sono i diritti umani dentro la Chiesa? Gli interrogativi non mancano. Dopodiché, però, le conclusioni politiche del discorso ratzingeriano restano in sé lineari e condivisibili: occorre tener fermo al fondamento costituzionale, soprattutto nelle situazioni eccezionali . Anche perché la politica contemporanea, avendo smarrito il senso del fondamento, si addentra sempre più in situazioni potenzialmente eccezionali.

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Cambiando ora argomento ma non troppo, veniamo al caso Italia, nave scuola delle situazioni eccezionali, dove queste si susseguono con una certa regolarità.

     Dal cannoneggiamento dei manifestanti contro la tassa sul pane (1899) alle agitazioni mussoliniane per l'entrata in guerra (1914); dall'instaurazione del regime clerico-fascista (1929) alla Liberazione (1945); dalla nascita della Repubblica (1947) al primo centro-sinistra (1963); dai "rumori di sciabole" del general De Lorenzo (1964) all'assassinio di Aldo Moro per mano brigatista (1978); dall'elezione di Sandro Pertini al Quirinale alla fine della Prima Repubblica (1992-1993); dai governi Berlusconi, Dini e Prodi (1994-1996) all'attuale marasma – nel nostro Paese ogni quindici anni succede qualcosa di grosso.

    Posto che tre lustri corrispondono al tempo che uno impiega per passare dal primo giorno di scuola all'età adulta, allora si è indotti a definire l'Italia come quella zona sismica in cui ogni nuova generazione, una volta giunta alla maggiore età, assiste al terremoto dell'ordine in cui si era formata. "Una generazione se ne va, un'altra viene", diceva l'Ecclesiaste; e in Italia ogni generazione trasloca nella baraccopoli di un nuovo ordine destinato a frantumarsi con la generazione successiva. Carosello che gira. . . nuovo che avanza. . . "E il vento soffia verso il mezzogiorno, poi gira verso settentrione; va girando, girando continuamente, per ricominciare gli stessi giri".

    Quando uno inizia a cogliere il senso di questo gran moto circolare, è vecchio. Il vecchio Tomasi di Lampedusa fa dire al suo Gattopardo : "Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi". Prima o poi, tuttavia, anche i gattopardi decedono. E può darsi allora che ci vedremo costretti a uscire dal cerchio delle ripetizioni, ad assumere decisioni gravide di futuro.

    A maggior ragione bisogna tener fermo al fondamento costituzionale. Compito non ovvio né scontato. Perché sarà pur bello giurare sulla Costituzione dei nostri padri e pur utile chiamarla "la più bella Costituzione del mondo", ma onesto sarebbe poi ammettere anche che questa Seconda repubblica ha scardinato l'architettonica costituzionale, completamente.

    Hanno asservito il Parlamento al Governo. Hanno moltiplicato immobilismo, privilegi, instabilità, corruzione, disoccupazione, disparità, miseria, insicurezza.

    E lo hanno chiamato "bipolarismo".

    In nome del "bipolarismo" discende in materia elettorale il fantasmagorico diritto a scegliersi un premier (inteso come dominus di una maggioranza ingessata-ingovernabile).

    In nome del "bipolarismo" c'è chi persegue la reviviscenza del Mattarellum , per "separare la Lega dal PDL e provocare così la caduta dell'attuale governo". E se poi non cade? O se cade prima?

    Sull'altro versante è anche peggio. Sempre in nome del "bipolarismo" c'è chi addirittura propugna la conservazione del Porcellum , allo scopo di evitare, pensate, che il PDL "grande partito del centrodestra" possa subire delle divisioni nel dopo-Berlusconi, non sia mai! che San Epididimo, dotto e deferente, ce lo conservi unito.

    Ci domandiamo se questi strateghi dell'estenuazione tattica bipolare consociata davvero non vedano in che modo, e di quanto, hanno già scombinato il Paese.

lunedì 4 luglio 2011

Un mega-trend globale

Lo smaltimento dei rifiuti napoletani funziona perfettamente, con tanto di raccolta differenziata e lavaggio bisettimanale dei cassonetti, ma nel solo quartiere di "Gomorra" assurto a fosca celebrità criminale nell'omonimo libro di Roberto Saviano.
    Gli altri quartieri partenopei sono abbandonati all'immondizia. Le esalazioni mefitiche salgono al cielo secondo complessi arabeschi di strategie criminali, transitando per i polmoni innocenti dei bambini di quei paraggi.
    Per dovere di cronaca, occorre aggiungere che il crimine organizzato non si occupa solo di rifiuti a Napoli, ma di quasi tutto in quasi tutte le città d'Italia, inclusa la Lombardia, il Piemonte e tutta la Val Padana.
    Sempre per dovere di cronaca, occorre ricordare che tutto il mondo è paese. E che la mafia italiana costituisce solo una tra le tante realtà criminali, dilaganti da Cina, Russia, Giappone, Stati Uniti e la lista potrebbe continuare.
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C'è un mega-trend globale per cui la criminalità organizzata si va sempre più politicizzando e la politica sempre più criminalizzando. Già Falcone lo diceva molti anni fa. Di recente ne hanno scritto anche gli Alti Commissari dell'ONU per la lotta alla droga.
    È imbarazzante constatare come l'economia malavitosa rappresenti una realtà planetaria finemente ramificata. La Gomorra globale ha capacità finanziarie enormi; in forza delle quali essa può influenzare il mondo creditizio (soprattutto in uno scenario di sottocapitalizzazione). E si sa che, tramite la finanza, i mass media diventano duttili e malleabili, per esempio lungo il canale degli approvvigionamenti pubblicitari.
    Così, qualunque istituzione dipendente dal consenso dei cittadini, sul quale i perdetti media sperimentano le loro strategie di persuasione, può, in realtà, ritrovarsi esposta a sollecitazioni occulte.


Non esiste, ovviamente, una Spectra dedita al governo occulto del pianeta, anche perché gli interessi criminali sono ontologicamente costituiti come frammentari, inadatti a produrre aggregazioni di lunga durata.
    Non di meno, però, la loro efficacia dirompente sulle istituzioni della decisione politica ha conseguenze potenzialmente sovversive, non prive di analogia con l'abbattimento dell'economia reale che avviene per effetto di una speculazione finanziaria sempre più scatenata.
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Nei traffici di esseri umani destinati alla schiavitù, alla semischiavitù e/o alla prostituzione, nel commercio delle droghe, delle armi, delle tecnologie, di materiali rari ecc. la Gomorra globale sta disarticolando il mondo della vita nei cinque continenti (la carnevalizzazione dell'esistenza dei nostri giovani è solo uno dei portati più preoccupanti di tutto ciò).
    E allora c'è poco da stupirsi se si producono ovunque reazioni di chiusura e di paura, né deve stupire che chiusure e paure vadano poi a cercare delle forme attraverso cui esprimersi, trovandole per lo più nelle varie tradizioni identitarie.
    Qui, in questa falsa dialettica – tra la desertificazione gomorriana da un lato e l'ambigua reazione identitaria dall'altro – auroreggia un'eclisse: l'eclisse della politica. Ed ecco che abbondano le supplenze proprio perché latita ogni capacità di decisione coordinata e così ci si approssima alla situazione del "vuoto politico": situazione temibile, come insegnava il gran padre Nenni.
    Contro il "vuoto", ognuno può contribuire a restituire autonomia alla politica, intensificando il livello di partecipazione e mobilitazione, com'è miracolosamente accaduto in Italia nelle recenti tornate amministrative e referendarie.
    Occorre tenere ben fermo, però, il piano della legalità repubblicana che, per quanto ci concerne, ha il suo architrave nell'indipendenza della pur perfettibile magistratura italiana.

mercoledì 22 giugno 2011

Dalla parte della Fiom


Tra la Federazione Italiana Operai Metalmeccanici e l'arroganza del potere – sappiamo da che parte stare.

Arciriformista il centrosinistra non meno del centro e della destra. Sinceramente riformisti gli ex missini, gli ex golpisti e persino i lobbisti dello IOR, i sette volte ministri. 
I dioscuri riformisti tessono sottili disegni riformisti. I socialisti sono ovviamente riformisti, gli ex carristi tanto quanto i maccartisti, gli ex miglioristi, i ministri, gli amici dei leghisti. Tutti riformisti.
Ci sono voluti i secoli affinché si affermasse questo buonsenso pan-riformista, per cui è sempre meglio migliorare il governo e l'economia di un paese senza spargere neanche un centilitro di sangue, invece che mandare in rovina ogni comparto della convivenza civile e le tensioni, e le stragi, e il terrore e il sangue a fiumi e ruscelli. 
Il riformismo è decisamente meglio del controriformismo, per questo ha vinto i suoi terribili nemici ideologici raggiungendo un consenso universale. Dunque, l'Italia vivrà una fase di riforme? Ormai basta solo concordare quali.
Sul piano del governo del Paese ci sarebbe questa grande riforma: la Costituzione-più-bella-del-mondo. Perché non rispettarla? A partire dall'articolo 1, che fonda la Repubblica sul Lavoro. 
Perché non restituire al lavoro la sua dignità costituzionale fondamentale?
Non illudiamoci, in Italia non ci saranno riforme senza una sinistra forte, che non può esistere se non ritorna alla casa madre, nel nucleo permanente degli ideali da cui è nata, superando nel segno della dignità del lavoro un lungo dissidio fratricida.
Come la FIOM – anche questa testata ha superato (da qualche tempo, invero) i centodieci anni di onorato e fedele servizio nel segno della dignità del lavoro.
Quando la FIOM aveva quattordici anni, dopo la prima Guerra di Libia, ci fu un tempo in cui organizzavamo, insieme alla FIOM e alla CGL, le salve di fischi contro i comizianti guerrafondai, ovunque si presentassero.
Ricordiamo qui una di quelle contestazioni, avvenuta a Zurigo nell'agosto del 1915 ai danni dal deputato Agnelli, un liberal-nazionalista lombardo, omonimo degli altri Agnelli, quelli piemontesi, i quali insieme a Mussolini trascinarono l'Italia nella Prima guerra mondiale. Che portò al fascismo. Che portò alla Seconda guerra mondiale.
Nei momenti storici decisivi, nel 1915 come nel 1943 (quando lo sciopero generale diede una spallata al fascismo), noi – tra la Federazione Italiana Operai Metalmeccanici e l'arroganza del potere – noialtri abbiamo sempre saputo da che parte stare. Stiamo dalla parte della coraggiosa FIOM.
Anche perciò, alle lavoratrici e ai lavoratori, alle compagne e ai compagni della FIOM, cui ci sentiamo profondamente legati, i nostri più fervidi auguri!
"Il deputato Agnelli, (...) venuto a Zurigo a inneggiare alla bella guerra è stato cucinato in salsa piccante. (...) Fischi tanti e così acuti, da sembrare una stazione ferroviaria al momento che partono ed arrivano una cinquantina di treni. (...) Poi il pubblico ha intonato gl'inni sovversivi, dall'Inno dei Lavoratori ai canti del Gori (...) :

Sotto il vel di patrio amore,
gettan l'odio tra i fratelli,
ma dovunque è un oppressore,
un fratello oppresso sta.".

Da L'Avvenire del Lavoratore, 28 agosto 1915
Editoriale di Andrea Ermano - 19.06.2011

Succedono cose a Milano


28.05.2011
Se invece che al galoppatoio di Villa Borghese, il marziano Kunt fosse atterrato qui, mi domando come sarebbe finita, quella storia…
di Giuliano Pisapia
C'è una Milano, in questi giorni, che perfino io non riconosco. La Milano che avevo nella memoria e che ho nel cuore. La Milano che sembrava scomparsa e che invece è tornata prepotente alla ribalta. Piccole storie, grandissimi segnali.
Piazzale Buozzi, chiosco di Giannasi, sette della sera: c'è una fila di persone che vogliono comprare il pollo allo spiedo e c'è una coppia ben vestita che salta la fila; la signora che protesta per l'usurpazione viene messa a tecere con arroganza e dal fondo una voce dice: "Non importa, signora, si vede che quei due sono incazzati perché non hanno votato Pisapia". 
Scrive sul suo blog elettorale Fabrizio Ravelli, storia firma di Repubblica: "Al di là dei programmi, delle chances di vittoria, dei contatti con gli elettori, c'è un piccolo effetto che Giuliano Pisapia può rivendicare. La sua calma ha contagiato una bella fetta di Milano, città che in questi anni s'è fatta via via sempre più rancorosa e scortese. Forse anche di questo avevano bisogno i milanesi che l'hanno votato, di sentirsi forti senza rabbia. Prima o poi, il pollo arriva".
E quello che mi ha raccontato Carlo? Siamo al Pam di via Olona, la solita fretta della spesa, e però stavolta succede quello che non succedeva mai: "E allora, è pronto a tornare a votare domenica prossima?". – "Sì, certo, e lo sto dicendo anche a tutti: c'è un'atmosfera meravigliosa, in questa città". Lei si chiama Veronica, è la cassiera del supermercato. Carlo faceva la spesa da dieci anni in quel supermercato e non aveva mai scambiato una parola con la cassiera.
So che non trovate materiale nelle nostre sedi. So anche perché, però… Ieri abbiamo rifornito tutti ma in due ore tutto il materiale – braccialetti, borse, magliette, girandole, volantini – consegnato è andato esaurito. Stiamo lavorando,  tranquilli: vedrete che ce la facciamo a colorare di arancione la città.
Ecco, queste sono le cose che succedono…

Solidarietà con Anita Thanei


Editoriale di Andrea Ermano - 24.05.2011
Cinque anni fa il Cooperativo, storico locale antifascista e sede dell'ADL, venne sfrattato: "A partire dal 31 dicembre 2006 non esisterà più", dichiarò nell'agosto di quell'anno il vicedirettore di una potentissima amministrazione immobiliare zurighese alla stampa.
La sinistra insorse, ma il colpo sarebbe andato a segno se l'avvocato del Coopi non fosse riuscito a vincere un difficile ricorso.
Quell'avvocato si chiama Anita Thanei, atorevole esponente parlamentare socialista e presidente dell'Associazione Inquilini.
Sabato 14 maggio 2011 una platea un po' distratta di delegati di sezione cantonale del PS svizzero ha decretato (con settantadue voti contrari) che Anita Thanei e solo lei non potrà ripresentarsi al giudizio delle urne nell'autunno prossimo.
Sulla base di procedure improvvisate e bizzarre l'on. Thanei è stata dunque esclusa, cinquantaseienne, "per ragioni d'età" da una lista di 34 candidati per il rinnovo del Consiglio Nazionale; eppure i cinque capolista sono anch'essi dei cinquanta-sessantenni, forse spaventati dalla concorrenza della popolare deputata.
L'on. Thanei gode di buon nome, per integrità morale e alta competenza professionale. In un recente reportage sulle opacità amministrative della FIFA di Sepp Blatter il settimanale Der Spiegel parla di Anita Thanei come di una "autorevole presidente della Commissione giustizia al Consiglio nazionale elvetico", una donna fortemente impegnata nella lotta alla corruzione.
Date per elevate le probabilità di vedere rieletta la prestigiosa esponente socialista grazie a un consenso mai inferiore ai centomila voti, ben oltre i confini del suo partito, appare tanto più incomprensibile un'esclusione che può danneggiare seriamente i socialisti anche per le modalità assurdamente punitive con cui ha avuto luogo: l'esito della votazione segreta è stato comunicato a un'interessata sull'orlo delle lacrime, sotto le telecamere accese, senza preavviso, senza un fiore, senza un "putroppo" e senza nemmeno un ringraziamento pro forma dopo tuta una vita d'impegno politico.
La rozza procedura, priva di riguardo umano, è naturamente diventata la notizia d'apertura dei telegiornali in prima serata e ha scatenato un'ondata d'indignazione che crese e si diffonde in rete, ma anche nei media tradizionali.
Nel loro seguitissimo programma di satira televisiva, il duo Giacobbo-Mueller ironizza sulla presidenza cantonale del PS: "Una volta i socialisti ammazzavano i cavalli di razza dopo il traguardo, adesso li macellano prima ancora che possano correre". Decine e decine di articoli e lettere sono apparsi sui giornali in questi giorni.
L'ex deputata argoviese Agnes Weber ha pubblicato su suo sito una lettera di protesta (vai al link) nella quale respinge tanto i modi quanto l'esito della scelta discriminatoria, chiedendo che sia il popolo, e non una fazione, a decidere se Anita Thanei debba o non debba ritornare in autunno nel Parlamento di Berna.
Centinaia di esponenti della società civile, del mondo politico, della cultura e delle professioni, ma anche lavoratori, sindacalisti, casalinghe, studenti e pensionati, hanno aderito alla protesta.
Anche il Coopi e L'ADL sostengono l'iniziativa di solidarietà con Anita Thanei e invitano tutti a sottoscrivere la lettera di protesta visitando questo sito:

Lutto e lotta

Editoriale di Andrea Ermano - 9.04.2011

 

Dopo l'ennesima tragedia migrante, per altro annunciata, si fatica a parlare.

    Esprimiamo il nostro lutto più profondo.

    Il Mediterraneo sta diventando una fossa comune. Per ragioni geopolitiche e macro-economiche il Mediterraneo è coinvolto in una furiosa accelerazione della Storia che lo sospinge al centro di tensioni, pressioni e appetizioni gigantesche.

    Non ci sarà pace senza giustizia né giustizia senza rispetto per l'altrui dignità.

    Non c'è rispetto umano né giustizia né pace nel lasciar affogare donne, uomini, anziani e bambini – migranti senza nome, in viaggio verso di noi, alla ricerca di questo, e solo di questo: un'opportunità di vita.

 

Ci appelliamo a coloro che leggono L'ADL, a tutte e a tutti, affinché portino avanti ovunque, nelle forme possibili, una civile lotta contro l'attuale stato di cose, che è disumano e che va cambiato.

    Occorre lavorare tutti a un vasto processo di estensione della democrazia e di intensificazione della cooperazione internazionale, solo esso può creare le condizioni di governabilità strutturalmente necessarie a evitare nuove tragedie.

    I governi delle nazioni (le nazioni sono, tra parentesi, il luogo in cui le destre europee vaneggiano di potersi andare rifugiare) non riescono a governare la caotica complessità del mondo contemporaneo.

    Questo accade sostanzialmente perché, senza l'impegno (non acritico) di ciascuna e di ciascuno di noi, la caotica complessità del mondo contemporaneo è in tutta evidenza irriformabile, cioè ingovernabile.

Quale storia attende laggiù la sua fine?

Editoriale di Andrea Ermano - 26.02.2011
 
Ha avuto l'idea di sgominare l'opposizione, rea di voler scendere in piazza contro l'aumento del pane. Ha assoldato accolite di mercenari stranieri, di fronte ai quali il popolo libico si è ribellato. E lui allora gli ha scatenato addosso l'aviazione militare che ha bombardato la folla manifestante. Ne è conseguita un'insurrezione generale. Lui ha definito "ratti" gli oppositori e si è asserragliato nel suo bunker dove attende ora l'arrivo degli insorti.
Come definireste questo despota?
Il nostro attuale Presidente del Consiglio dice trattarsi di un "pazzo".
Dunque, sarà stato per assecondare un pazzo che l'Italia ha firmato trattati d'imperitura amicizia, erogando finanziamenti miliardari, in una ridda di forniture miliardarie, per armi e tecnologie militari contro gas e petrolio. Una gigantesca "psicoterapia"?
Nella transizione libica dal reality alla realtà si è spalancata una fossa, con dentro migliaia di morti e feriti. Ma già prima non si contavano gli orrori commessi ai danni dei profughi sub-sahariani nelle operazioni di "trattenimento" libuco-italiane.
Circa la sanguinosa repressione di questi giorni, Emma Bonino ha denunciato la presenza di cittadini europei, e in particolare italiani, tra i mercenari accorsi a Tripoli per qualche migliaio di dollari al giorno.
Il tramonto di una dittatura "non sempre annuncia l'alba della democrazia", come nota proprio da queste colonne Renzo Balmelli, che per inciso è stato uno dei non molti commentatori ad aver preannunciato sonni poco tranquilli per il Colonnello (vedi ADL 12.2.11).
Non dimentichiamo che la Libia è un paese nel quale abbondano le fonti d'energia. Soprattutto il deserto offre nuove prospettive, gigantesche, di sfruttamento della radiazione solare. Quale storia attende laggiù la sua fine?

martedì 25 gennaio 2011

Tre o quattro modesti auspici per il 150° anno

Editoriale di Andrea Ermano – sabato 22 gennaio 2011
 
Durante tanti anni di follie liberiste il sistema Italia ha complessivamente battuto la fiacca. Il Paese non versa in buone condizioni. È nell’interesse di tutti che la sinistra riesca proporre un'alternativa per le nuove generazioni.

Il tassinaro zurighese è un giovanotto assai corpulento, con un vistoso auricolare color antracite che penso gli serva a telefonare mentre guida. Butta un occhio sulle insegne rosso-bandiera del ristorante dal quale stiamo uscendo; resta attonito per un istante; poi sobbalza ed esclama in dialetto alemannisch: “Ma questo è il Cooperativo?! Dunque, il Coopi esiste ancora?!”.
In effetti, quella che, senza sgommare, ci siamo appena lasciati alle spalle, scivolando via nel silenzio della notte invernale dopo alcune ore di accese discussioni, quella era proprio la nuova sede dello storico ritrovo antifascista, giunto al suo quinto trasloco in cent’anni e passa di onorato servizio.
Sono le due di notte.
“Ma è vero che ci ha mangiato anche Mussolini quand’era ancora socialista?”, domanda il ragazzo.
Gli cito la memorialistica sull’argomento secondo la quale Mussolini venne a Zurigo nel 1913 per il discorso del Primo Maggio; parlò al Velodromo; poi pranzò a casa di compagni. Il Cooperativo rimase chiuso fino a sera per la Festa dei lavoratori.
Il giovane zurighese ne prende atto pensoso: “Mia madre dice di Mussolini che era meno cattivo della sua. . . della sua. . .”.
E si perde un po’ a cercare la parola. Azzardo: “Della sua nomea?”.
“Genau, genau!”, esclama lui. “Era meno cattivo della sua nomea. Certo, poi, il patto con Hitler. . .”, aggiunge a mezza bocca, non senza segnalare qualche implicita riserva sul giudizio della mamma, e non senza tradire un interesse storico che mi sorprende. Quando scendiamo, c’informa: “Ma Berlusconi, come uomo, dice mia madre, è peggio di Mussolini”.
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Ora, sembrerà uno scherzo, ma l’opinione della mamma del tassinaro zurighese riferitaci da lui medesimo riflette lo stato d’animo di tantissime donne, ben oltre i confini del nostro Paese, in quartieri e continenti anche distantissimi tra loro.
L’enorme frana d’immagine cui alludiamo iniziò a Casoria, nel Napoletano – ricordate? – con la festa per il diciottesimo compleanno di una ragazza, Noemi Letizia, fin lì totalmente sconosciuta ai più. Fu allora che Veronica Lario, in una celebre intervista, annunciò l’intenzione di divorziare dal marito-premier, dato che lui trovava il tempo per “rilassarsi” con le minorenni, ma non quello per presenziare al compleanno dei figli, disse.
Da allora, nell’inconscio collettivo del villaggio globale, l’immagine del nostro Presidente del Consiglio sta praticamente “a zero”. Certo, in Italia lo strapotere politico, mediatico, finanziario e persino ecclesiastico ha sopito non poco i sentimenti della gente.
E però, appena passi i confini del Paese, tutti quelli che incontri, ma proprio tutti, ti domandano: “Perché vi tenete uno come Berlusconi?”.
Il discredito internazionale combinato con l’ira che lievita nell’animo delle donne, e non solo delle donne, ha ormai distillato un’osmosi inesorabile che lentamente corrode ogni microfibra del gradimento berlusconiano. Chi mai potrebbe arrestare questo processo, così vasto e così profondo?
Dunque, stiamo entrando in una nuova fase.
Sì perché, se due anni fa il nostro problema politico consisteva nell’irraggiungibile capitale di consenso intorno all’Uomo di Arcore, abilissimo nelle campagne di autopromozione elettorale, ma incapace di avviare le riforme di cui il Paese ha urgentemente bisogno, ebbene, oggi il berlusconismo è censurato nei sondaggi dal 70% degli intervistati. E persino il Vaticano pensa a uno "sganciamento soft", certo non prima d'essere passato all'incasso: «La prospettiva più accreditata Oltretevere è un altro anno di Berlusconi a Palazzo Chigi (con l’approvazione del ddl Calabrò anti-eutanasia e di altri provvedimenti a difesa di vita, famiglia, libera istruzione) poi, scongiurando il ricorso alle urne, il passaggio di mano ad altro "esponente del centrodestra" in primis Giulio Tremonti», riferisce oggi il vaticanista della Stampa, Giacomo Galeazzi.
Auguriamoci, nel centocinquantesimo anno di unità nazionale, che l’Italia abbia il cuore di mettere guinzaglio e museruola alle bestie fameliche, evitando i soliti riti di fine regime, ché stavolta potrebbero sortire effetti esiziali per l’intero sistema.
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Urgono le riforme, che per ora nessuno farà, né oggi né domani. E allora, per il dopodomani, proviamo a buttar giù due o tre idee semplici, suscettibili ovviamente di precisazioni e sviluppi.
Saltiamo a piè pari le varie questioni istituzionali, per le quali occorre un’assemblea costituente. Qui ci limitiamo in tutta brevità al merito, ai contenuti.
Prioritario, massimamente prioritario, sarebbe ricucire la solidarietà generazionale, cioè fare qualcosa per i giovani. Quindi, ad esempio, bisognerebbe abbattere il debito pubblico, aggredire precarietà e disoccupazione, realizzare opere di risanamento sociale e infrastrutturale.
Il debito pubblico è un furto perpetrato dalle vecchie generazioni ai danni delle giovani. Giusto sarebbe allora se i vecchi facessero qualcosa. Perciò Giuliano Amato ha recentemente proposto di prelevare dai grandi patrimoni del terzo più ricco della popolazione otto-dieci mila euro pro capite annui. In circa un lustro porterebbero il disavanzo al 60-80% del PIL. Sarebbe una buona azione.
Contro precarietà e disoccupazione i socialisti propongono da tempo l’introduzione di un reddito minimo di cittadinanza (ricordo che se ne parlava già una vita fa nei nostri convegni di studio internazionali). Tanto per cominciare lo si potrebbe gradualmente applicare a un primo scalone d’età tra i 20 e i 30 anni.
Contro il degrado sociale e infrastrutturale, sarebbe opportuno introdurre un obbligo di leva civile per tutte le ragazze e per tutti i ragazzi. Grazie a questa nuova coscrizione lo Stato potrebbe affrontare compiti d’intervento nelle principali emergenze sociali, ambientali e infrastrutturali.
Non mancano esempi di cose da fare, dagli argini dei fiumi ai terrazzamenti delle montagne in dissesto idrogeologico, dalla manutenzione delle strade alle misure antisismiche o di ristrutturazione eco-compatibile, dall’accudimento di anziani e disabili ai programmi di accoglienza e riqualificazione professionale, dalle opere di conservazione del patrimonio culturale alla sua valorizzazione, la lista sarebbe qui troppo lunga.
Durante questi venticinque anni di follie liberiste, il sistema Italia ha complessivamente battuto la fiacca. Il Paese non versa in buone condizioni.
È nell’interesse di tutti costruire una prospettiva di speranza per le nuove generazioni.