giovedì 26 marzo 2009

Piccolo  convivio per una grande Idea

di Andrea Ermano

QUALCHE GIORNO FA, il 18 marzo 2009, il Coopi di Zurigo è entrato nel suo 105° anno di attività. Pietro Nenni disse che questa vecchia istituzione di migranti ed esuli rimase sempre, durante tutto il ventennio fascista, un punto di riferimento per chi si batté contro il regime.

    Ma la guerra al fascismo, prima in Spagna e poi in Italia, non ha rappresentato l'unico capitolo di una lunga storia. Prima ci fu l'opposizione alla grande guerra, il Manifesto di Zimmerwald, e prima ancora l'organizzazione germinale del sindacato di lingua italiana in Svizzera.

    Il Coopi, o in extenso la "Società Cooperativa Italiana Zurigo", nasce in effetti come luogo di focose riunioni sindacali, promosso dai socialisti italiani Armuzzi, Biagini, Dezza, Lezzi e Malpeli. I socialisti vi collocheranno la redazione della loro storica testata, L'Avvenire dei lavoratori, che nel 1905 è anche l'organo dell'Unione Sindacale Svizzera. E nel secondo Dopoguerrà sarà proprio il presidente socialista dell'Unione Sindacale Svizzera, Ezio Canonica, a condurre dal Coopi una grande campagna contro il razzismo e la xenofobia. Una lotta che giungerà a termine nei primi anni Settanta con la sconfitta di Schwarzenbach e delle sue iniziative anti-stranieri.

    La fondazione del sindacato, la lotta pacifista contro la prima guerra mondiale, la lotta al fascismo durante il ventennio, la battaglia contro la xenofobia e l'impegno di questi unltimi tempi amari per una sinistra laica e socialista di stampo europeo -- ciascuna di queste fasi ha comportato anni e anni di lavoro e di sacrifici. La cui somma sono per l'appunto un secolo e più di storia.

    Ma nell'entrare in questo 105° anno di attività, vorrei offrire uno scorcio sulla vita interna del Coopi, una volta tanto senza grandi immagini panoramiche. Vorrei dedicare qualche riflessione allo "Stammtisch", cioè alla nostra tavolata conviviale che si riunisce ogni settimana e che considero uno dei fattori che negli ultimi anni meglio hanno contribuito a rendere possibile il conseguimento di un traguardo, non certo ovvio né scontato.

    Lo "Stammtisch" -- che è anche il soggetto del quadro comensoliano con Ezio Canonica, Werther Ravaioli, Edda Ferrari-Burrino e altri, esposto da qualche decennio ormai al Coopi -- rappresenta una vecchia consuetudine, coltivata dai nostri predecessori e reintrodotta alcuni anni fa per impulso di Alexander Weber come spazio conviviale del comitato direttivo, spazio aperto a cooperatici, cooperatori e simpatizzanti nel quale ci occupiamo in modo informale di anticipare e prefigurare temi rilevanti per le nostre attività. Prefigurare, in questi anni di campane a morto, non è stato facile, perché dalla caduta del Psi in Italia alcuni avrebbero gradito mettere le manine anche sul centro estero socialista, per cancellarlo.

    Ma lo "Stammtisch" del Coopi ci ha aiutato a superare fasi anche drammatiche, con l'arma della serenità, un bicchiere di rosso, un piatto di penne fumanti, trasparenza, coscienza pulita... Tra gli animatori del nostro piccolo convivio per una grande idea che non muore vorrei qui menzionare, senza far torto a nessuno, coloro che hanno preso parte più assiduamente all'appuntamento settimanale. Oltre ai soci d'onore Mario Barino e Renzo Balmelli, cito Maria Ermano-Satta, Hanspeter Meyer, Maurizio Montana ed Alexander Weber. 

 
    Lo "Stammtisch" costituisce uno specchio abbastanza fedele dei pregi e difetti. In esso si riflettono le nostre capacità di "vedere" i problemi e prefigurare delle soluzioni, dicevo. Ma questo "specchio" ci aiuta anche nella consapevolezza, non meno preziosa, delle difficoltà e dei limiti che sempre accompagnano il nostro umano agire. Perché "per quanti sforzi tu faccia, alla fine resteranno sempre un profugo al quale non hai prestato sufficiente soccorso e uno squadrista al quale non hai sufficentemente riempito la faccia di schiaffoni", come mi disse Ettore Cella-Dezza, qualche settimana prima di spegnersi alla veneranda età di novant'anni.

    Personalmente, sono convinto che il metodo dialogico e conviviale potrà darci una mano ad affrontare le grandi sfide sociali che si stanno delineando all'orizzonte, a causa della crisi economica globale nella quale siamo entrati. 

    Sarebbe ingenuo illudersi che queste sfide non interpelleranno, uno a uno, anche ciascuno di noi. 
    Ed è saggio allora, a mio giudizio, consolidare il lavoro fatto nel Coopi affinché questra vecchia istituzione possa permetterci -- come luogo d'incontro -- di essere meno soli, indicando nel contempo un esempio di impegno politico, sociale, editoriale, ma nell'amicizia. Non come in certa sinistra dove tutti odiano tutti, divorati come sono da ambizioni elettoralistiche di bassa lega, che trasformano ogni compagno in un potenziale avversario.

    No. Occoorre più grandezza, bisogna saper guardare oltre il proprio orticello. E lavorare insieme agli altri, il che presuppone la capacità di apprezzarli, di valorizzarli, gli altri, e non quella pur tanto diffusa, di svilirli e umiliarli. Non dimentichiamo che il nostro socialismo umanista è anche e soprattutto un'attitudine morale, cioè di rapporto con gli altri, con ciascun singolo non meno che con l'umanità in generale.

    Perciò, per tutto ciò considero l'appuntamento dello "Stammtisch" una insostituibile riserva affettiva e umana. E per queste ragioni il valore del Coopi è destinato, secondo me, a crescere nei prossimi anni. Le difficoltà non sono certo finite, ma mi pare di vedere, quanto al Coopi, una luce in fondo al tunnel.

    Qualche giorno fa, a sera, guardando la sala da pranzo del Coopi, con attenzione, nel cercar d'immaginare come essa apparirebbe in una foto per internet (ne avevamo parlato poco prima proprio allo "Stammtisch"), mi sono reso conto, ancora una volta, della meravigliosa galleria comensoliana nella quale abbiamo il privilegio di trascorrere splendide ore conviviali.

    Sarà un effetto collaterale di "Piazza Cella", lo spazio urbano che la Città di Zurigo due settimane fa ha inaugurato con denominazione in italiano per onorare Erminia ed Ettore Cella, due grandi esponenti del Coopi, sarà quel che sarà, ma prima d'ora non ero mai stato così consapevole di questo sentimento: voglio davvero bene al luogo di questa nostra "idea che non muore". E so di non essere il solo in questo profondo affetto. Ho sinceramente fiducia che i frutti presto arriveranno. I fatti ci stanno dando ragione. La riscossa della sinistra italiana seguirà.

A tutte e a tutti un buon anniversario dal centro estero socialista.

mercoledì 18 marzo 2009

Zurigo, Piazza Cella

La città sulla Limmat inaugura il primo toponimo in lingua italiana e lo dedica a due figure storiche della Società Cooperativa, che il 18 marzo entra nel suo 105° anno di attività.

di Andrea Ermano

Si è svolta a Zurigo il 9 marzo scorso l'inaugurazione della "Piazza Cella", con scopertura della targa toponomastica (primo toponimo in lingua italiana in città), un bel discorso della municipale socialista zurighese Esther Maurer e la lettura di alcuni passaggi tratti da "Nonna Adele - Das Damoklesschwert" da parte dell'attore Francesco Fiordeponti (nella foto qui sotto: la targa toponomastica).

Ecco la dicitura:

Piazza Cella
Erminia Cella (1888-1959)
Wirtin im Restaurant "Cooperativo" (1935-1952),
damals Treffpunkt der antifaschistischen
italienischen Emigration und Mutter von
Ettore Cella (1913-2004),
Schauspieler und Regisseur.

In italiano: <<Piazza Cella - Erminia Cella (1888-1959), Gerente al Ristorante "Cooperativo" (1935-1952), allora punto d'incontro dell'emigrazione antifascista italiana, e madre di Ettore Cella (1913-2004), attore e regista>>

Alla cerimonia erano presenti una quarantina di persone, altre ad alcuni funzionari dell'amministrazione cittadina al seguito di Esther Maurer. Per la famiglia di Ettore c'era il suo compagno di una vita, Richard Lenggenhager, per la società Cooperativa hanno presenziato Amilcare Biagini (decano dei soci cooperatori e figlio del compagno co-fondatore Alessandro Biagini), il presidente emerito Sandro Simonitto e chi scrive.

 
Il problema della denominazione dello spazio urbano era stato posto da un comitato di abitanti  del quartiere, che chiedevano di battezzare il luogo "Piazza Angelo", dopo che un portinaio di nome Angelo era stato ucciso in quel luogo un anno fa.

L'amministrazione non ha ritenuto che quella denominazione fosse del tutto rispondente ai requisiti regolamentari e di legge, decidendo che il luogo venisse dedicato a Erminia ed Ettore Cella, in segno di riconoscenza nei riguardi di tutta la comunità italiana.

 
Crediamo di interpretare il comune sentire diffuso nelle nostre fila estendendo tale riconoscimento a tutte le altre comunità di lavoratori emigrati. Lo facciamo in quello spirito di fratellanza internazionalista che da sempre contraddistingue i socialisti e che ci pare più attuale che mai oggi, in un'epoca a forte vocazione cosmopolita.

martedì 3 marzo 2009

D'ora in poi...

A margine della denuncia cattolica per "omicidio volontario" nei riguardi di Beppino Englaro
di Andrea Ermano
"Signori, da ora comportatevi come se foste già indagati per omicidio", questa la frase con cui l'avvocato Campeis ha avvisato Beppino Englaro, il dott. Amato Del Monte e i sanitari udinesi dopo la firma del protocollo di comportamenti necessari per accompagnare Eluana alla morte.

Questo avveniva alla fine del gennaio scorso, come riferiscono i quotidiani di sabato 28 febbraio 2009, sui quali rimbalza la notizia: un esponente "pro-life" ha presentato la denuncia per "omicidio volontario aggravato" nei riguardi di tutti i firmatari del "protocollo". Secondo le cronache il denunciante dichiara di non avere solo denunciato il padre di Eluana, ma anche di pregare in suo favore.

Rifugge da queste ipocrisie Giuliano Ferrara e attacca a testa bassa il "circo mediatico giudiziario" reo di avere "perseguito per la ragazza il destino dell’eutanasia passiva". Un omicidio sarebbe stato fatto passare per un atto di carità: "In confronto Goebbels era un fanciullino", aggiunge il direttore del Foglio e conclude: "Non ho mai provato un simile schifo in vita mia". E questa sì che è una notizia apocalittica, dato che lo schifo appartiene anzitutto a chi lo percepisce. Davvero non sanno ciò che fanno quei dignitari vaticani e berlusconiani tanto solerti nel censurare il Presidente della Repubblica prendendo in bocca la categoria infuocata dell'assassinio? Ed è verosimile che tutti gli altri sbaglino?!

Sbaglierebbero, nel Caso Eluana, la corte europea dei diritti dell'uomo, la corte costituzionale, la corte di cassazione, i medici, i familiari e gli amici della famiglia. E poi sbaglierebbe anche tutto il resto del mondo giacché in nessun paese civile appare immaginabile una siffatta gazzarra.

Non da oggi assistiamo in Italia le ciclotimie dell'autoritarismo clerico-fascista, rappresentano un fenomeno non nuovo né episodico nel nostro Paese. Dopo la sconfitta del fascismo, Papa Giovanni, aveva avviato con il Concilio Vaticano II un tentativo di riforma, affinché non potesse mai più accadere che la Chiesa di Roma si ritrovasse regolarmente alleata, quando non addirittura ispiratrice, delle forze reazionarie, come era avvenuto varie volte nel corso del tempo, e da ultimo negli anni Trenta con il dilagare del fascismo europeo.

Ma forse allora non è un caso che nel giorno esatto dell'anniversario del Concilio il papa abbia riabilitato i lefebvriani, esponenti dell'estrema destra cattolica.