martedì 26 marzo 2019

Tra il serio e il faceto

di Andrea Ermano

 

Ci dicono dall’Unesco che oggi si celebra la Giornata mondiale della poesia. Sul sito dell’ONU (vai al sito) si legge una lirica di César Vallejo (1892-1938) che inizia così:

 

Tutte le mie ossa sono d'altri;

io forse le ho rubate!

 

Sul sito Le parole e le cose Vallejo viene descritto come “il poeta della povertà fino alla miseria… il poeta del poco e del nulla, che non basta, ma che deve essere fatto bastare, perché non c’è altro”. Un poeta chiaramente “di sinistra”.

      A proposito di poesia, Alberto Asor Rosa ricorda che nel suo libro Scrittori e popolo (1964) aveva “stroncato” i romanzi di Pier Paolo Pasolini. E Pasolini una volta a un convegno gli disse: «Sei quello che nella mia vita mi ha fatto più male». E figuriamoci se poteva essere quello il più grande dolore di un grande poeta. Sublime ironia chiaramente “di sinistra”.

    L’ultimo libro di Asor Rosa è dedicato a Machiavelli che tra la fine del Quattrocento e l’inizio del Cinquecento scrive pagine di ghiaccio bollente affinché gli “staterelli” si uniscano di fronte alla nuova costellazione geopolitica, che poi altro non è se non l’inizio della globalizzazione inaugurata con la scoperta dell’America.

    «L’Italia soggiace alla superiorità politica e militare delle grandi potenze europee. Le famiglie di Roma e Firenze, a cui Machiavelli si rivolge, potrebbero costituire embrionalmente lo Stato nazione», dice Asor Rosa in un’intervista a Luca Telese.

    Ovviamente, nessuno ascolta il Segretario fiorentino, sicché “i principi italiani vengono schiacciati dall’impero”, nota Asor Rosa ricordando che la sconfitta subita dal Bel Paese in quei trent’anni a cavallo tra la fine del Quattrocento e l’inizio del Cinquecento è una “grande catastrofe”, una catastrofe politica “di lunga durata”, come scrive Machiavelli.

    «La storia italiana ha questo di bello: quando uno prende un qualsiasi avvenimento del passato, scopre che qualcosa di incredibilmente attuale emerge sempre», osserva Asor Rosa con un’allusione abbastanza trasparente alla situazione degli “staterelli” europei che si presentano divisi e frammentati all’alba di una nuova era.

    Oggi è giunto a Roma Xi Jinping, l’erede di Mao. E ieri in un ampio articolo apparso sul Corriere il leader cinese ha illustrato il punto di vista della grande potenza imperiale asiatica in tema di rapporti con l’Italia.

    «La Cina è disponibile per consolidare la comunicazione e la sinergia con l’Italia in seno alle Nazioni Unite, al G20, all’Asem e all’Organizzazione Mondiale del Commercio su tematiche come la governance globale, il mutamento climatico, la riforma dell’Onu e del Wto e altre questioni rilevanti, al fine di tutelare gli interessi comuni, promuovere il libero scambio e il multilateralismo e proteggere la pace e la stabilità mondiale e consentire uno sviluppo fiorente», scrive tra l’altro il Presidente della Repubblica popolare cinese.

    L’illustre ospite venuto da Pechino ribadisce più volte concetti come cooperazione, amicizia e progresso, accanto a un leitmotiv: la lunga esperienza storica delle nostre due civiltà cosmopolitiche. L’Italia è stata per ben tre volte una potenza mondiale, e sempre sotto il segno del pluralismo culturale. Xi Jinping ricorda due epoche egemoniche italiane: i tempi dell’Impero romano e quelli rinascimentali delle Repubbliche marinare. Sia detto quasi tra parentesi e con grande, laica pacatezza che ci sarebbe però anche un terzo impero mondiale storicamente domiciliato nel Bel Paese, quello che la rivista Limes ha definito “l’impero del papa”.

    Per parte sua la Cina è stata la maggiore potenza globale per la maggior parte dei secoli di cui si compone la storia umana, fino circa al Settecento. E oggi non fa molto per nascondere l’aspirazione a riprendersi quel ruolo.

    Che detta aspirazione egemonica rischi di condurre a una guerra fredda 2.0 con gli Stati Uniti è evidente. La Casa Bianca ha definito il protocollo d’intesa Roma-Pechino un «approccio da predatori, senza vantaggi per il popolo italiano». Già Obama aveva individuato nella nuova strategia cinese «una chiara sfida all’architettura nata nel 1944 a Bretton Woods per volere di Franklin Roosevelt», rimarca Federico Rampini sulla Repubblica di ieri. E si sa che quando gli americani si appellano ai valori rooseveltiani questo accade perché devono coalizzare gli alleati occidentali in clima appunto di guerra fredda.

    Dopodiché Rampini fa bene a ricordare che l’Italia quanto a cautela sulle tecnologie sensibili sembra dare ascolto ai moniti provenienti dagli USA, mentre altri paesi europei si mostrano ben più filo-cinesi di noi. D’altronde, la «disgregazione di ogni solidarietà occidentale è stata accelerata dallo stesso Trump, che con il suo approccio bilaterale al contenzioso commerciale Usa-Cina non ha mai tentato di cementare una coalizione d’interessi con gli alleati», ma è onesto riconoscere che «il fuggi fuggi in direzione di Pechino era già iniziato sotto Obama, quando i quattro maggiori paesi UE (Italia inclusa) decisero di aderire all’Aiib, la banca della Via della Seta». 

    È ovvio che siamo alle prime mosse di una partita decisiva in quest’epoca storicamente interessante.

    Un po’ di competizione va bene, tanto all’interno dell’Europa quanto nei riguardi degli alleati americani, ma anche ovviamente nei confronti degli interlocutori cinesi.

    I conflitti, invece, non sono nell’interesse di nessuno e soprattutto non nell’interesse dell’umanità, dato che occorre preservare tutti un alto grado di cooperazione sulla crisi ambientale e sulle altre emergenze globali di cui si sostanzia il tempo in cui viviamo, l’Antropocene, l’era geologica nella quale è alla stessa attività umana che si riconducono le cause delle grandi trasformazioni climatiche e tecno-scientifiche dalle quali dipenderà la nostra esistenza sul pianeta. E questa è la cosa “di sinistra” che volevamo dire nel contesto attuale.

    Per concludere tra il serio e il faceto cercheremo ora di capire se la Cina venga a trovarci con intenzioni più “di destra” o più “di sinistra”.

    Qui occorre il “sapere indiziario” di Carlo Ginzburg. E bisogna allora fare attenzione non alle dichiarazioni magniloquenti, ma a dettagli che possono parere insignificanti, occorre badare bene agli “indizi” appunto, come quando Xi Jinping, elogia il Made in Italy “sinonimo di prodotti di alta qualità” e poi aggiunge cripticamente che: «La pizza e il tiramisù piacciono ai giovani cinesi».

    Sembra niente. E anzi, dopo le tante belle parole su Virgilio e Pomponio e Marco Polo e Moravia, un esegeta superficiale potrebbe trovarsi un po’ spiazzato. Invece è proprio qui, nel rinvio alla “cultura materiale” della Pizza e del Tiramisù che a nostro parere si cela un messaggio in codice molto importante.

    La Pizza è facile.

    È napoletana. Napoli è amministrata da De Magistris. E De Magistris è uomo “di sinistra” (noi lo sappiamo bene perché quando è venuto a tenere una conferenza stampa nella nostra sede, il Coopi di Zurigo, ha voluto farsi un selfie di fronte allo storico ritratto di Carlo Marx).

    Ergo, nel riferimento alla Pizza non possiamo non leggere una chiara implicazione “di sinistra”.

    Più complessa l’esegesi del Tiramisù, a causa della paternità contesa di questo fantastico dolce fatto di mascarpone, savoiardi, amaretto, cacao e caffè.

    Con la massima imparzialità possibile noi dobbiamo domandarci se Xi Jinping si riferisca al Tiramisù quale fu legittimamente creato all’Albergo Roma di Tolmezzo, ridente città alpina guidata da un sindaco di centrosinistra, o non intenda accidentalmente quella sorta di maionese impazzita spacciata per Tiramisù a Treviso (città per altro assai cara a chi scrive benché attualmente governata da un sindaco di destra).

      Il dilemma potrebbe apparire insolubile. Ma… Ma nei giorni scorsi il leader della destra italiana Salvini non ha forse mostrato, costui, di gradire pochissimo la visita di Xi Jinping? Ed è sulla base di questo indizio che noi in fin dei conti propendiamo a favore della tesi secondo la quale il Tiramisù vada considerato un dessert di centrosinistra, anzi decisamente “di sinistra”.

 


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LA GRANDE PICCINERIA RIDENS

 

Oggi parliamo delle leggende metropolitane sottese a un’osservazione apparsa sul Corriere di ieri: «Si pensi a Bettino Craxi che anni fa, tornando da Pechino con una foltissima delegazione, fece fermare l'aereo in India per visitare il fratello ospite del santone Sai Baba». Sarà vero? Se si verificano i fatti si scopre che…

 

di Andrea Ermano

 

Non siamo mai stati “craxiani” e nemmeno simpatizzati di “santoni” indiani, ma che dire delle ragazze e dei ragazzi eterni adolescenti che sul Corriere continuano ad accanirsi sul capro espiatorio socialista, a vent’anni dalla morte? Bel coraggio...

    Ma lasciamo di ciò e atteniamoci al fact checking.

    La visita di Craxi in Cina fu la prima di un Presidente del Consiglio italiano dopo il ristabilimento dei rapporti diplomatici con Pechino. Su di essa Gennaro Acquaviva, allora coordinatore dello staff del premier, pubblicò alcune precisazioni che – per la cronaca, ma ormai anche per la storia - qui di seguito riportiamo integralmente. Provate p.f. a leggere con attenzione ed equanimità questo testo, datato 16 novembre del 1986 (vedi link di Repubblica).

    «In relazione agli articoli apparsi su Repubblica del 12 novembre 1986, con il titolo “Perché così pochi?” e del 13 novembre 1986, con il titolo “Gli ospiti di Craxi”, ed il cui contenuto si riferisce alla composizione della delegazione ufficiale e del seguito che hanno accompagnato il presidente del Consiglio nella sua visita ufficiale in Cina, nonché al programma delle sue visite successive, la prego di consentire alla Presidenza del Consiglio le seguenti precisazioni.

    Il presidente del Consiglio ed il ministro degli Affari Esteri sono stati accompagnati in Cina, oltre che dalle rispettive consorti, da una delegazione ufficiale composta da 9 funzionari della Presidenza del Consiglio e da 6 funzionari del ministero degli Affari Esteri. La delegazione ufficiale, composta da persone in parte della Presidenza del Consiglio, in parte del ministero degli Affari Esteri ed in parte di altre Amministrazioni, comprendeva 3 consulenti dell’Ufficio economico della Presidenza, 6 addetti alla sicurezza, 6 addetti al cerimoniale, 3 addetti alle telecomunicazioni, un addetto amministrativo, 2 interpreti, 4 addetti alla Stampa, 3 segretarie, un comandante del velivolo presidenziale, un fotografo ufficiale.

    La delegazione recatasi in Cina, avuto specialmente riguardo al numero dei componenti a vario titolo, non è dissimile da quella che abitualmente accompagna il capo del Governo ed il ministro degli Esteri nelle visite ufficiali che compiono insieme in paesi importanti e lontani. Del resto l'ampiezza della delegazione non è diversa da quella che si riscontra nelle delegazioni degli altri paesi, in occasione di visite ufficiale in Cina. La delegazione cinese che accompagnava il segretario del Partito comunista Hu Yaobang nella sua visita ufficiale in Italia nel giugno scorso, era composta da 42 persone.

    I lavori preparatori della visita dell'on. Craxi, la prima che un capo di governo italiano rendeva al paese amico dal ristabilimento dei rapporti diplomatici, sono stati curati con il concorso di ministeri, enti ed organizzazioni, taluni dei quali rappresentati nella delegazione. La delegazione italiana ha viaggiato su un aereo Alitalia noleggiato come d' uso per l’occasione ed è stata ospitata dal governo cinese che aveva messo a disposizione tre ville nella residenza di Stato di Diaoyutai, di cui una in particolare, oltre che per il ministro degli Esteri, per il seguito del presidente del Consiglio. In realtà essa ha poi ospitato anche funzionari e della Presidenza del Consiglio e del ministero degli Esteri.

    L'entità del nolo [Alitalia] è noto è funzione dei tempi e della distanza non del numero delle persone a bordo.

    Da parte cinese l’invito era stato formalmente esteso anche ai familiari del presidente del Consiglio, che erano presenti nella persona dei figli Stefania e Vittorio e della fidanzata di quest'ultimo, signorina Francesca di Frassineto.

    Sempre da parte cinese, nei contatti preliminari alla visita, era stato espresso l’auspicio che il presidente del Consiglio potesse essere accompagnato, se gradito, da un certo numero di suoi ospiti per i quali si sarebbero potuti organizzare visite e colloqui paralleli a quelli governativi ma ad essi connessi. I colloqui avrebbero potuto arricchire gli esiti e i contenuti della visita, anche nella prospettiva di favorire ulteriori contatti nei diversi settori di reciproco interesse.

    La scelta degli ospiti è stata limitata a cinque personalità del mondo politico, imprenditoriale e culturale, sulla base anche di indicazioni pervenute da parte cinese circa gli argomenti che si potevano utilmente affrontare. Essi erano: il sindaco di Venezia, dr. Nereo Laroni, il commissario della Comunità economica europea, on. Carlo Ripa di Meana (che era accompagnato dalla consorte), la senatrice Margherita Boniver, il presidente della Banca Nazionale del Lavoro, dr. Nerio Nesi, ed il sovrintendente del Teatro alla Scala di Milano prof. Carlo Maria Badini. Ciascuno di essi ha avuto, nel quadro della visita, colloqui con personalità cinesi.

    Il presidente del Consiglio si è infine fatto accompagnare da due segretarie particolari e dalla signora Ludovica Barassi, che ha curato per conto del presidente un reportage filmato dell’intera visita.

    2) Per quanto riguarda le successive tappe dei giorni 3 e 4 novembre, va rilevato che da parte del governo indiano si nutriva da tempo l’aspettativa per una visita del presidente del Consiglio in India. Un invito ufficiale era pendente dal 1981 anno della visita della signora Gandhi a Roma.

    Non potendosi realizzare, data la brevità dei tempi e gli impegni già assunti da parte indiana, una visita ufficiale si è deciso di optare per un incontro di lavoro. Alla parte indiana veniva prospettata la disponibilità del presidente del Consiglio per i giorni 3, 4 e 5 novembre. Successivamente l’ambasciatore indiano a Roma comunicava al Cerimoniale diplomatico della Repubblica, sabato 25 ottobre pomeriggio, la scelta del primo ministro Gandhi per un colloquio il giorno 5 novembre, preceduto da una colazione. Lunedì 27 ottobre veniva perciò resa nota con un comunicato di Palazzo Chigi la fissazione dell’incontro.

    Dovendo impiegare i due giorni del 3 e del 4 novembre e non essendo materialmente possibile organizzare altre visite in paesi dell’area, con così breve preavviso, il presidente del Consiglio dei ministri ha deciso di visitare il giorno 3 le città di Hong Kong e Macao, che rappresentano due territori dipendenti e non sovrani, e al tempo stesso due città di grande interesse economico-commerciale.

    Nel corso della visita, il presidente del Consiglio ha avuto colloqui con le locali Autorità. Il giorno 4 infine il presidente del Consiglio si è recato, in forma strettamente privata, a visitare il fratello Antonio da tempo residente in India.»

    Fin qui Gennaro Acquaviva, che ha fama di persona seria. Certo, poi è più facile atteggiarsi a ridens sulla salma di un leader socialista morto vent’anni fa che non saper fare decentemente il proprio mestiere.

    Dopo più di tre decenni da quel viaggio, in cui ravvisiamo davvero poche ragioni di damnatio memoriae e che invece si evidenzia come un fondamentale atto di politica internazionale nell’interesse del nostro Paese, sarebbe ancor più facile ironizzare sulle legioni di capaci di tutto e di buoni a nulla partecipi o complici dei vari establishment nazionali giunti al potere dopo la fine della prima Repubblica.

    Senza contare il seguito davvero divertente dei comici.

    All’epoca dei fatti il quotidiano La Repubblica riportò il testo di Acquaviva senza poter minimamente controbattere nel merito. Tant’è che Scalfari, avversario storico del leader socialista, fu indotto a questo arzigogolo senza contenuto: “La lettera che qui pubblichiamo non richiede alcun commento. I lettori, leggendo questa prosa e la narrativa che essa contiene saranno certamente in grado di esprimere un loro meditato giudizio su un episodio che ha vivamente interessato l'opinione pubblica”, si legge in calce al testo di Acquaviva.

    Ma scusate, come può quel testo non richiedere alcun commento? È come dire che la macchina dell’odio si muove “a prescindere” e se i fatti non corrispondono tanto peggio per i fatti.

    Dopodiché, non dobbiamo stupirci se la sinistra italiana che, caduto il Muro di Berlino, avrebbe potuto unificarsi in una grande cosa socialdemocratica, si è invece disfatta sotto il peso della doppia morale “a prescindere”.

    E perché stupirsi se, eliminata per via giudiziaria l’alternativa socialista, l’Italia è poi passata da un sistema ad “economia mista” (lo stato regola e il mercato) a un sistema ad “economia di mercato” (lo stato è regolato dalle appetizioni dell’anarchia finanziaria)? E basta vedere dove codesta “economia di mercato” ci ha condotti e ci sta conducendo.

    Soprattutto, non stupiamoci se sotto l’egida neo-liberista vuoi di destra vuoi di sinistra (si fa per dire) la corruzione è aumentata, l’etica pubblica è scemata e la cultura politica è terribilmente regredita.

    Per la cronaca, ma anche per la storia, riportiamo di seguito la posizione del capro espiatorio sul liberismo.

    «Il liberismo parte dal presupposto che le scelte individuali si armonizzino spontaneamente e che tutte contribuiscano naturalmente quasi per una segreta armonia provvidenziale a realizzare il massimo interesse comune. ? proprio questo presupposto che il socialismo ha messo in discussione; e di qui la nostra critica alla logica spontanea del mercato autoregolato che produce squilibri, alienazione e atomizzazione del tessuto sociale. Di qui la richiesta di una forma organica di integrazione tra politica ed economia. Senza negare una relativa autonomia della vita economica che è il presupposto materiale della strutturazione pluralistica della società, il socialismo ha cercato di sottoporre il processo produttivo e distributivo ad un’istanza diversa da quella del profitto e dell’interesse individuale, ad un’istanza cioè etico-politica».

    Con il senno di poi scopriamo che la vera questione morale era anzitutto quella menzionata dal capro espiatorio nella sua critica al “mercato autoregolato che produce squilibri, alienazione e atomizzazione”. O no?

 

 


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