di PAOLO BAGNOLI *)
Nella sua lunga storia tanti sono stati i momenti difficili che la sinistra italiana ha dovuto affrontare. Pietro Nenni soleva dire che "quando tutto sembra perduto c’è sempre una cosa che si può ancora fare perché l’umanità non muore. "
Queste parole ci battono in testa in queste ore che segnano un altro dei tanti momenti difficili della sinistra italiana;un qualcosa di impensabile nelle dimensioni e nei modi con i quali esso si è realizzato perchè chi mai avrebbe pensato che un giorno né socialisti né comunisti sarebbero stati presenti in Parlamento.
La cosa deve essere seriamente valutata;questa volta non bastano né le autocritiche né le dimissioni; la ripartenza, per chi vuole ripartire e non capitolare alla necessità del Pd, non può avvenire nei metodi usuali: aspettando che coloro che hanno condotto alla sconfitta rimangano in attesa che passi la nottata: ora è scoccato il momento delle idee forti e della credibilità, le alchimie, le furberie, le sottigliezze sono ripieghi italici che il voto si è portato via. Ora occorrono uomini all’altezza dell’ideale, ma occorre che esso sia chiaro, distinto, netto e accenda la voglia di lottare.
Per che cosa? In primo luogo per la democrazia poiché questo è il compito del socialismo.
La nascita del Pd ha determinato terremoti dalle lunghe onde di assestamento. Nato sulla sbandierata convinzione che il socialismo è morto e la sinistra finita, ha cominciato ad uccidere il proprio genitore, vale a dire il governo Prodi e poi, polarizzando lo scontro con Berlusconi, ha non solo perso e male, ma ha fatto a Berlusconi quello che può essere considerato il regalo a lui più gradito: cancellare la sinistra dal Parlamento della Repubblica.
Dicevamo che ha perso male: in effetti il 33,17% raccolto da Veltroni inglobando i radicali è ben poco più rispetto al risultato a suo tempo raccolto dall’Ulivo senza radicali, circa il 31,27%: solo che, mentre l’Ulivo, insieme alla sinistra era riuscito a vincere Berlusconi ora il Pd ha vinto un’opposizione netta. Al di là delle ciance messe in giro sulla straordinaria rimonta, sul fatto che al nord-est si sarebbe sfondato perché c’era una forte candidatura come quella di Calearo ed altre simili amenità, Berlusconi ha vinto con un margine che non lascia equivoci in proposito. L’aveva detto che sarebbe andata così, ma non era stato creduto, visto che non sempre è uomo di verità: questa volta, invece, è stato di parola. Bisogna riconoscerlo.
Le dichiarazioni di prammatica e il tono soft dell’uomo del loft non sono riuscite a nascondere il fallimento di un progetto politico. Non è un caso che, per consegnarsi alla stampa, Veltroni abbia voluto con sé, sul palco, tutto lo stato maggiore del partito, quasi ad ammonirlo (simul stabunt simul cadunt). Ma già si colgono i segnali della nascente polemica interna: le dimissioni di prodi, il PD del nord, ecc.
Altro che americanizzazione del sistema politico italiano, come si è affannato a ripetere un Bertinotti distrutto di fronte alle telecamere, apertamente dichiaratosi colpevole per il distacco dalla classe operaia. Ma anche – aggiungiamo noi – per non aver sostituito il consenso operaio con quello della aristocrazia, della finanza e pure, sembra, di qualche alto prelato, che a sentire il suo amico Mario D’Urso egli avrebbe sicuramente raccolto “comiziando" con bon ton in esclusivi salotti romani e non solo.
Altro che americanizzazione del sistema: un giudizio negativo che, pur con tutte le sue colpe, gli Stati Uniti non si meritano. Qui siamo solo allo stravolgimento involutivo dell'anomalia italiana. E al soffocamento ricercato e perseguito del pluralismo. Un tale quadro non ci conferma nell’uscita dalla transizione, ché essa anzi si è involuta nel vizio assurdo del personalismo populistico e nel ricercare quello che, nella nostra storia, si presenta sempre nei momenti acuti di crisi: ossia il domatore che impugna la frusta e prende in mano la situazione riducendo tutto a se stesso.
Le recenti elezioni non consegnano alla storia solo i vincitori ed i perdenti, ma anche i cancellati. E’ il caso dei socialisti di Boselli e dei comunisti di Bertinotti. Ma per i primi il problema è ben più complesso che per i secondi considerato che il muro di Berlino è caduto nell’89 mentre il socialismo in Europa vive e vince, come anche recentemente in Spagna.
Nel Parlamento del Paese i socialisti erano entrati per la prima volta, con Andrea Costa, poco più di cent'anni or sono, nel 1902. Nessuno potrà dire che la democrazia italiana sia da oggi più ricca. Le "innovazioni" istituzionali e politiche realizzate non fanno l’Italia più vicina alle grandi democrazie. Questo bipartitismo personalizzato persevera un’anomalia e non ne configura la risoluzione.
In Europa vi sono solide democrazie in cui sono assenti i comunisti. Ma in ognuna di esse vi è una forza socialista. Aggiungiamo anche che l’esperienza del Psi scomparso nel 1994 non era sicuramente paragonabile a quella del laburismo inglese o della Spd tedesca, ma da poco più di due secoli il socialismo, con le sue lotte e le sue conquiste, rappresenta una grande forza culturale, sociale e politica del movimento democratico, anche nel nostro Paese.
Oggi il cordone ombelicale con la rappresentanza politico-parlamentare si è rotto; era da ingenui aspettarsi dalla Costituente socialista una ripresa impetuosa. Tuttavia, che i socialisti di oggi – quelli raccolti, appunto, nella Costituente – sarebbero andati peggio dello Sdi che ne costituisce il perno, era inimmaginabile, ma la dice lunga pure sul fatto che una rinascita vera del socialismo possa verificarsi continuando a ruotare attorno al partito di Enrico Boselli.
Se il socialismo vorrà continuare ad essere presente nella vita italiana occorre non tanto prendersela con Walter Veltroni che non ha voluto ammettere il Ps alla mensa del Pd; lasciamo agli oppositori UDC del centro-destra rimproverare al loft la forte polarizzazione che ha favorito, obbiettivamente, il Pdl e la Lega. E' vero, nella tenaglia i socialisti sono stati annientati e l’Arcobaleno spiumato inesorabilmente, a favore del Pd. E' vero, questi voti "utili" non sono serviti a contrastare la vittoria a Berlusconi. Ma ad ognuno le proprie responsabilità.
In un quadro pesantemente drammatico per la sinistra italiana, i socialisti devono guardare dentro se stessi, e soprattutto nel profondo di una società smarrita ed impaurita che chiede certezza e concretezza anche a fronte di una globalizzazione che induce più timori che opportunità. Questo dice il risultato della Lega.
I socialisti, al di là dei temi che sono loro propri, devono dare una risposta di sinistra riformatrice e cioè di governo, intercettando motivi ideali, economici, sociali e civili del Paese in cui agiscono. Devono disegnare la loro idea di Paese con profilo netto e con un senso marcato di innovazione politica. Devono agire con umiltà e capacità di radicamento popolare.
I socialisti possono ripartire se si pongono al livello della situazione non solo nell’ottica di riaccendere una fiammella, ma di iniziare un cammino, forse lunghissimo, per costruire, ricostruendo, una sinistra quale mai abbiamo avuto.
Ci auguriamo che di ciò si rendano conto quanti, comunisti o meno, vogliono ridare all’Italia una sinistra all’altezza della propria tradizione, del proprio nome e di quanto le compete a fronte dell’aspra crisi democratica che sta incistando l’Italia.
*) Ordinario Dottrine Politiche all'Università di Firenze, direttore dell'Istituto Storico della Resistenza in Toscana, già senatore della Repubblica nelle fila del PSI