giovedì 25 giugno 2009

Alle radici della crisi globale

Tra integralismo religioso e secolarizzazione selvaggia
di Andrea Ermano

1. Ho visto ieri delle foto ritraenti la nipotina di Che Guevara: seminuda, con addosso solo due bandoliere caricate a carote. Era uno spot a favore della "rivoluzione vegetariana".

Paolo Rossi dice che gli uomini di spettacolo sono "gente sempre circondata di donne". Anche quando devono governare un grande paese.

Roma evoca nuovamente nel mondo quella perversa temperie che la rese tristemente celebre all'epoca di Papa Borgia e che diede impulso alla Grande Riforma, un miscuglio d'integralismo cattolico e di secolarizzazione selvaggia.

A proposito di secolarizzazione Papa Ratzinger ha tenuto un interessante discorso, su cui magari intessere una bella serie di dialoghi platonici di nuova generazione.

Intanto però sul pianeta Terra si predica e si spara. A Teheran (ma non solo a Teheran) sono state ammazzate un bel po' di persone, tra cui una povera ragazza di nome Neda.

Martirio laico in un mondo in crisi nera, nel quale la secolarizzazione selvaggia del mercato globale e la reazione manesca dell'integralismo religioso si sciolgono come neve al sole: cadono a pezzi, e con loro cade a pezzi anche la falsa dialettica anti-politica a esse legata.

2. La protesta di Teheran rimbalza in tutto il mondo e suscita lo sdegno generale dell'opinione pubblica. In Iran il sistema teocratico di relazioni sociali, tra i sessi e tra i ceti, combinato con un esito poco cristallino delle elezioni, ha motivato una vasta protesta. La repressione che ne è seguita sta causando centinaia di feriti, centinaia di arresti e un assurdo tributo di morti. Morti ammazzati. Perché? Protestavano.

Protesto anch'io. Mi rifiuto anzitutto di commentare la situazione italiana. Sulla quale covo un sospetto: che essa illustri (per così dire) la catastrofe del liberismo selvaggio e della sua "egemonia culturale", ben riassunta dagli autoscatti delle ragazze "escortes", chiamate ad allietare le feste di Palazzo Grazioli.

3. Viene in mente un durissimo film dei fratelli Cohen, No country for Old men. Mi sento vecchio in un mondo che "non è un paese per vecchi". Il film coheniano seguiva i meandri insanguinati di un megapacco di soldi provenienti da loschi traffici. Il denaro veniva trovato per caso nel cofano di un'automobile... Ma forse mi confondo. Forse precipitava dal soffitto di un ufficio... E non precipitava in testa a un imprenditore? No. Chiedo scusa. Sono vecchio. Mi confondo. Quello è un altro film... Il Caimano.

4. Ma quando è iniziato tutto ciò?! La grande ondata del liberismo selvaggio ha preso le mosse più o meno trent'anni fa, quando Khomeini saliva al potere in Iran e Reagan negli USA. Una coincidenza? Non direi.

Il neo-liberismo e il neo-integralismo sono entrambi figli del mondo globalizzato, nati entrambi da una rivoluzione tecnologica che aveva partorito un potere finanziario planetario, onnipotente, privo di freni inibitori e di contrappesi.

Il turbo-capitalismo degli anni Ottanta ha assecondato un moto di collisione tra le placche continentali (chiamiamole così, alla grossa, per capirci) delle diverse civiltà.

Queste "grandi civiltà", intese come quei sistemi culturali continentali in cui il genere umano si articola da millenni, erano fino ad allora rimaste relativamente estranee le une rispetto alle altre. Poi, tutt'a un tratto, in forza delle nuove tecnologie di comunicazione, si sono viste irretite in una bruciante prossimità. Che, con inaudita ruvidezza, le gettava tutte quante sull'arena del villaggio globale, a combattere una battaglia per la quale le singole nazioni risultavano ormai troppo sottodimensionate rispetto alla scala multinazionale della competizione.

Che fare? Urgevano nuovi investimenti identitari su base multinazionale. Fu così che le radici cristiane, ma anche induiste, confuciane, islamiche ecc. apparvero naturalmente utili e preziose a definire orizzonti di identità più vaste, ben oltre quelle angustamente nazionali, ma non meno suscettibili di veicolare profondi coinvolgimenti emotivi di massa.

Le placche continentali smisero di essere i territori di un confronto tra nazioni culturalmente affini e scesero in campo esse stesse in qualità di veri e propri "giocatori".

I global players disponevano ora del sostegno di nuove identità continentali contrapposte ad altre identità continentali nel nuovo ambito di un competizione economica planetaria. Con buona pace della bella retorica sul dialogo tra le grandi religioni mondiali, che venivano massicciamente "funzionalizzate" dentro la turbo-secolarizzazione di un conflitto dai contorni ancora impensati.

5. Sono consapevole dell'estrema approssimazione di questi pensieri, ma non saprei come altrimenti tratteggiare il nesso essenziale che lega la rivoluzione tecnico-scientifica alle due filiazioni cui accennavo: la secolarizzazione selvaggia del neo-liberismo e la reazione oscurantista portata avanti in modo speculare dal neo-integralismo religioso.

Ciò detto, chi negherà che -- da Wall Street alle piazze di Teheran passando per l'ineffabile "egemonia culturale" della destra italiana come pure per mille altri fenomeni similari – la falsa dialettica tra turbo-secolarizzazione e turbo-integralismo giace ormai realmente in una crisi nera.

La ragioni di ciò son presto dette. Ciascuno dei due poli dialettici si frantuma a causa della propria intima fragilità e poi nessuno dei due regge più nemmeno all'urto reciproco, ancorché in puro stile wrestling.

Ma proprio in questa crisi, così gravida di rischi, c'è una speranza. Perché, se la falsa dialettica riflette l'impossibilità di governare la globalizzazione in forza del potere assoluto, vuoi del potere finanziario sull'homo oeconomicus vuoi del potere religioso sull'homo sacer, allora questa nostra è, deve essere, l'età della Politica.

Infatti, se riflettiamo, volendo prescindere dalla guerra, solo la Politica può configurarsi come un modo per risolvere le terribili tensioni interne alle dimensioni economiche o religiose, non meno che quelle tra l'economia e la vita religiosa o culturale tout court.

Ergo, la Politica in rapporto alla globalizzazione non può che declinarsi in "cosmopolitica", termine filosofico molto antico che rinvia però al problema, per noi attuale, di articolare un governo del mondo globalizzato.

6. Ma allora forse il socialismo democratico europeo e internazionale è tutt'altro che un vecchio arnese da buttare... L'osservazione può apparire persin ridicola in orecchi contemporanei, guastati dal cicaleccio mediatico, regolato dal rubinetto pubblicitario, azionato a sua volta dal potere del denaro.

Tento sommariamente di motivare questa mia tesi un po' bizzarra.
In primo luogo il socialismo democratico ci parla della giustizia e della libertà di e per tutti gli esseri umani, nessuno escluso.

In secondo luogo il socialismo democratico costituisce una grande, strutturata e diffusa posizione politica globale (e verosimilmente non cesserà di rappresentare una tale realtà, anche se abbia perso il tre per cento dei seggi all'europarlamento di Strasburgo).

In terzo luogo il socialismo democratico può fornire un suo contributo al necessario processo costituente cosmopolita, un contributo tanto più insostituibile in quanto radicato nella lunga tradizione politico-organizzativa del movimento operaio internazionale, una tradizione politico-organizzativa fatta di partiti, sindacati, cooperative e istituzioni culturali operanti in quasi tutti i paesi del mondo.

Sarebbe sciocco spregiare, per biechi interessi parte, il sostegno che i socialisti democratici possono dare a finalità generali, utili cioè al genere umano, quali che esse siano, e fossero pure le "rivoluzioni vegetariane" della nipotina del Che. Poi, chissà, magari, strada facendo -- e sia detto per inciso, con tutto il rispetto per la gens Guevara – potrebbero emergere, al limite, delle priorità, forse anche più urgenti...

7. Per quanto detto, ritengo che si stia aprendo uno spazio del tutto inedito a sinistra, uno spazio che, intendiamoci, potrebbe anche chiudersi traumaticamente in un mese. Ma si tratta di uno spazio ampio, che mai, da cent'anni a questa parte, era stato così aperto.

Si pensi all'ultimo secolo di storia: prima l'imperialismo e poi la prima guerra mondiale, quindi lo stalinismo e il nazifascismo, poi la seconda guerra mondiale seguita a ruota dalla guerra fredda... Infine, come si diceva, la globalizzazione del turbo-capitalismo nemico di ogni socialità e del neo-integralismo nemico di ogni libertà individuale.

Tutto questo è sostanzialmente finito.
Quindi, lo spazio politico, di per sé, ci sarebbe. Bisogna ora vedere se ci sono anche delle donne e degli uomini in grado di cogliere il senso dell'epoca cosmopolitica nuova.

mercoledì 17 giugno 2009

Non tutto e perduto


È vero. Le cose non vanno bene per il centro-sinistra europeo, e in Italia in particolare, ma non tutto è perduto. Per tre ragioni...


di Andrea Ermano


È vero che il centro-sinistra in Europa, e in Italia, sta poco bene, ma non tutto è perduto. Per tre ragioni.

    Anzitutto, il gruppo socialista democratico (ASDE) e il gruppo della Sinistra Europea perdono l'uno una ventina e l'altro una decina di seggi a Strasburgo, che in parte però vengono recuperati dai Verdi. Insomma, non è ancora caduto il tetto celeste.

    In secondo luogo, se Atene piange, Sparta non ride. Il PPE guadagna un solo seggio, uno. Mentre il liberali ne perdono una ventina (ne perdono quanti i socialisti democratici, ma sono ben lungi dalle proporzioni parlamentari di questi ultimi). E l'estrema destra guadagna a Strasburgo come il gruppo misto, ma resta un fatto: non c'è maggioranza in Europa senza i Socialisti.

    In terzo luogo, al di là delle foto istantanee, occorre comprendere la dinamica autodistruttiva innescatasi a destra dopo vent'anni di reazione economica e religiosa condotta in entrambe le direttrici senza tregua, senza quartiere e senza risparmio di mezzi.

    Ma se la bancarotta (in senso stretto) del liberismo selvaggio come quella (in senso traslato) del neo-integralismo religioso lasciano sul terreno un panorama di macerie, pur vi è anche uno spazio reale (che negli ultimi decenni non c'era mai stato) per un'azione politica di sinistra.

    C'è chi se la sente di negare questi tre presupposti? Se sì, attendiamo di conoscerne le argomentazioni.

    Altrimenti, per quel che concerne il centro-sinistra europeo, e in particolare italiano, la conclusione è abbastanza evidente. Occorre procedere in direzione, come diceva il poeta, "ostinata e contraria", rispetto a quella indicata da rutelliani e para-rutelliani, i quali reclamano a gran voce la rottura con il PSE e i sindacati.

    Follia. Non s'interrompe un'emozione. Ed è emozionante, adesso, dopo la morte e la rimorte del Socialismo, vivere ancora... Finita la Terza Via, svolti a sinistra.

    Il movimento operaio europeo sarà sordo, grigio e quel che vi pare, ma pur sempre meglio di queste immani, oceaniche, assurde vanità.

    Dopodiché, Barbara Spinelli ha giustamente sottolineato sulla Stampa i limiti di un socialismo democratico che si proclami europeo solo a parole restando nei fatti appiattito sulla mera dimensione nazionale.

 

Per giunta mentre a Washington la grande svolta si sta imperniando proprio sul raccordo tra questione sociale e nuova laicità, secondo il binomio tipico della sinistra riformista europea.

    Che la questione sociale vada assolutamente affrontata (sia sul piano generale sia poi ovunque su scala locale) è cosa ormai tanto evidente per ragioni umanitarie (ma ormai anche per ragioni di semplice buon senso e di responsabilità politica) da non richiedere qui ulteriori parole.

    Assolutamente indispensabile è però anche una nuova laicità globale tanto nei rapporti con il mondo tecnico-scientifico (non solo in Occidente) quanto nei rapporti tra l'Occidente e il Mondo islamico (non solo ad Oriente).

    Sarebbe davvero assurdo se, proprio mentre l'America di Obama proietta su scala globale la sua rilettura della tradizione politico-sociale europea, in Europa questa venga abbandonata, per inseguire "nuovismi" fuori dal mondo da un bel po' di tempo.

    Si dirà che certi nuovismi, a volte, ritornano... la crisi del 1929 portò l'America a Roosevelt e l'Europa a Hitler. Chissà che oggi l'ascesa Obama negli USA non preluda a chissà quale altro sfracello.

    Può darsi. Dopo tutto, in Italia abbiamo un problema serio. Che non va sottovalutato. I colpi di coda del Gattopardo includono una minaccia (esplicita) di scardinamento costituzionale... E quindi nessun dorma.

    Ma c'è uno spazio di movimento che la sinistra democratica ha la possibilità e cioè il dovere di occupare, evitando che altri soggetti lo facciano su opposti fronti, irresponsabilmente, privi di una visione politica coerente. E con effetti che si profilerebbero perciò dirompenti per tutti.

 

 

 

 

lunedì 8 giugno 2009

Quale ciclo va a finire?

In Europa la vittoria del centro-destra è meno grande di quanto non appaia. E lo stesso vale per la sconfitta del centro-sinistra. Dopo un ventennio di reazione economica e religiosa senza quartiere (e senza risparmio di mezzi) le  urne europee ci consegnano un responso di arretramento tutto sommato contenuto. In realtà, proprio adesso le forze progressiste possono passare al contrattacco, oggi più che mai, anche perché il ciclo del liberismo selvaggio e del neo-integralismo è giunto ormai al capolinea. Con ciò si giunge anche al termine della "terza via" di blairiana memoria. È l'ora di una sinistra capace di porre accenti molto decisi sulla centralità sociale, sull'urgente riforma ambientalistica e sulla tutela della laicità: queste sono le innovazioni di cui abbiamo bisogno e che vanno realizzate nel solco di una tradizione della quale il PSE non ha nulla  di che vergognarsi.

di Andrea Ermano

Con un affluenza bassa (del 43,5 per cento) il panorama che si delinea può essere riassunto a grandi linee in uno spostamento a destra dell'asse politico europeo, in esso si distinguono un chiaro rafforzamento delle posizioni xenofobe sulla destra ma anche un avanzamento sulla sinistra delle ragioni ecologiste, si consolida il centrodestra cattolico-moderato mentre il centro-sinistra democratico e socialista subisce un sensibile ridimensionamento.

    In particolare, il PPE si conferma prima forza politica a Strasburgo (267 seggi, +1 seggio, esclusi i 21 seggi dei Tories britannici), seguita dal Partito Socialista Europeo (159 seggi, -41 seggi, esclusi i 22 seggi del PD). I socialisti accusano una sensibile riduzione dei consensi, che corre parallela a quella della sinistra radicale facente capo alla Sinistra Europea (33 seggi, - 8 seggi), ma parzialmente compensata dall'incremento di voti ecologisti che portano i Verdi a 51 seggi (+ 9 seggi).

    Sul versante di destra, oltre al già citato PPE, si segnala una flessione delle forze liberiste facenti capo all'Alleanza dei Liberali e dei Democratici (81 seggi, - 7 seggi), e alla destra moderata del gruppo Indipendenti/Democratici (20 seggi, -17), mentre si registra un avanzamento delle formazioni euro-scettiche e/o xenofobe raccolte nell'UEN (35 seggi, +8).

    Il maggior incremento parlamentare è registrato dal gruppo misto che al momento conta ben 90 seggi, dei quali la metà è data dagli eletti del PD italiano e dei conservatori britannici, ma si suppone che il PD stabilirà un rapporto di collaborazione con il PSE, mentre non è ancora sicuro se i Tories rientreranno nel PPE.

    Le forze di sinistra in Europa escono complessivamente indebolite dal responso delle urne. Il ridimensionamento il Partito del Socialismo Europeo è sensibile ma non tragico: se includiamo nel calcolo dei seggi il PD italiano, si tratta di una flessione inferiore al 3% dei seggi. Grazie anche alla vittoria in Grecia dove i socialisti si candidano al governo del paese guidati dal presidente dell'Internazionale, George Papandreu. Anche in Spagna il premier Zapatero subisce un sorpasso (di 4 punti percentuali, con il 42% del PPE contro il 38% del Psoe), ma la sua è l'immagine comunque forte di un leader coraggioso, che si prepara ad assumere tra poco più di sei mesi la presidenza di turno dell'UE. Vittorie socialiste in controtendenza si segnalano anche in altri paesi del nord e del centro Europa.

    Si può dire che le urne europee decretano una sconfitta della sinistra tradizionale guidata dai socialisti e dai democratici, i quali hanno perso complessivamente una ventina di seggi a Strasburgo. Si tratta di una flessione pari a circa il 3%. 

    La sconfitta dunque c'è. Ma c'è anche una sua percezione eccessiva, sviata dalla grancassa dei media, che per parte loro non sono innocenti, non avendo saputo dare rilievo alle tematiche propriamente politiche e specificamente europee.

    In Italia le Europee hanno portato a un indebolimento del partito berlusconiano a favore della Lega e quindi nella prospettiva di maggiori tensioni interne. Il PD è stato punito, ma non esce completamente distrutto dalle urne, come si sarebbe potuto temere se fosse continuato lo snervamento dell'ultimo Veltroni.

    Il successore Franceschini ha posto accenti "di sinistra" e ha recuperato. Ora bisogna vedere se potrà essere lui l'uomo della prossima fase del PD, quella che uscirà dal primo "congresso vero" di questo partito.

    Come il PD in Italia, così il PSE in Europa, il centro-sinistra continuerà a esserci ma come si è detto la terza via è finita e occorre porre l'accento sulla nuova centralità della Questione Sociale, che va contemperata con l'impegno ecologicsta e quello a salvaguardia della laicità minacciata. In Italia, lo scenario del PD si gioca su questi temi di contenuto e da esso discenderà anche la scelta di un leader adatto alla nuova linea e alle alleanze che da essa discendono.

    Noio ci auguriamo per il bene del Paese che il centro-sinistra italiano a Strasburgo si colleghi al PSE.
    Quanto a quest'ultimo, le sconfitte possono rappresentare un'opportunità di rinnovamento delle persone e dei metodi di governo.

    A botta calda il prof. Buttiglione ha commentato i risultati rilanciando l'idea neo-guelfa di una Grande Europa delle Radici Cristiane che a suo dire sarebbe ora possibile grazie alla sconfitta dello schieramento laicista.  Non sappiamo se adesso riuscirà a farsi nominare commissario europeo, dopo il sonoro schiaffone subito qualche anno fa a causa delle sue posizioni omofobe, sappiamo però che la situazione uscita dalle urne è men peggio di quel che appare.

    In assenza di uno sfondamento del centro-sinistra socialista democratico, il tentativo di porre la costruzione europea sotto l'egemonia di quella "nuova evangelizzazione" lanciata dalla Curia romana alcuni anni or sono sembra ormai destinato ad infrangersi contro l'esigenza di costruire un ruolo cosmopolitico dell'Europa, rispetto al quale il "particulare" dei vari potentati, non escluso quello vaticano, è d'impedimento.

    Il nuovismo di maniera cinicamente brandito in funzione antisocialista è un'arma ormai spuntata.
    Non si può ignorare il peso della storia, che a sinistra si sostanzia in una tradizione politico-organizzativa nata due secoli fa, proprio nel cuore dell'Europa, e che oggi è diffusa in tutto il mondo.

    Dopo un ventennio di destra economica e/o integralista all'offensiva senza quartiere (e senza risparmio di mezzi) le urne d'Europa ci consegnano sì un responso di arretramento, ma tutto sommato contenuto.

    In realtà, adesso le forze progressiste possono passare al contrattacco, oggi più che mai, anche perché il ciclo del liberismo selvaggio e del neo-integralismo è giunto ormai al capolinea.

    Con ciò si giunge anche al termine della "terza via" di blairiana memoria. È l'ora di una sinistra capace di porre accenti decisi sulla solidarietà sociale, sull'urgente riforma ambientalistica e sulla tutela della laicità: queste sono le innovazioni di cui abbiamo bisogno e che vanno realizzate nel solco di una tradizione della quale il PSE non ha nulla di che vergognarsi.   

mercoledì 3 giugno 2009

Come sollevare con gran fatica un masso e farselo ricadere sui piedi

Ogni giorno che passa, sempre più chiaramente, assistiamo non a uno, ma a due plebisciti virtuali...

di Andrea Ermano

Nome e cognome: Sardo Marchetti. Il giornalista Cangini si chiede:"Chi fu costui?" Se lo chiede in un fondo apparso oggi sul Quotidiano Nazionale.

    "Marchetti era il direttore delle elementari di Tolmezzo che nel 1907 non confermò l'incarico al maestro supplente Benito Mussolini perché... incapace di imporre la disciplina alla seconda classe".

    Quanto diversa sarebbe la storia d'Italia, prosegue il ragionamento del giornalista, se quell'oscuro direttore didattico avesse concesso alla futura celebrità una seconda chance per tentare di farsi ubbidire dai bambini di quelle oscure scuole tolmezzine.

    L'aneddoto storico serve a Cangini per introdurre, in modo alquanto suggestivo, questa triplice tesi:
    1) La sinistra dovrebbe riflettere sull'errore commesso quindici anni fa con la liquidazione dell'arcinemico Bettino Craxi, perché una volta distrutta la prima repubblica l'asse politico si spostò a destra e la palla passò a Berlusconi.

    2) La sinistra dovrebbe riflettere sull'errore commesso nel combattere l'arcinemico Berlusconi senza sapergli contrapporre una miglior capacità di governo, sicché l'arcinemico è uscito rafforzato dal training di ribaltoni e demonizzazioni cui la sinistra lo ha sottoposto.

    3) La sinistra dovrebbe riflettere sull'errore che sta commettendo nel favorire una transizione da Berlusconi al suo successore, che sposterà ulteriormente a destra l'asse politico del paese o quanto meno cementerà l'egemonia politica e culturale dell'attuale maggioranza.

    Orbene, tanto per cominciare, avendo io assolto le scuole elementari a Tolmezzo, posso testimoniare che Mussolini era verosimilmente inadatto a ottenere obbedienza in quell'ambiente di bambini un po' troppo ribelli. Prova ne sia che molti anni dopo, nel settembre 1944, proprio quei bambini, una volta divenuti adulti, salirono sui monti, armi alla mano, e vi fondarono la Zona Libera della Carnia, prima repubblica partigiana d'Italia.

    L'impresa non devette risultare facile. La Zona Libera era circondata da oceaniche armate naziste, ferocissime, armatissime, e ivi sostenute da un'ulteriore armata, quella dei Cosacchi, che erano rimasti fedeli allo Zar, e ai quali i capi nazi-fascisti avevano promesso quel lembo di terra dell'estremo Nordest italiano.

    Ma, come narrano Claudio Magris in Illazioni su una sciabola e Carlo Sgorlon in L'armata dei fiumi perduti, i Cosacchi non ottennero alcuna terra e, persa la guerra, si misero in marcia verso l'Austria. Compirono infine un tragico gesto collettivo: pur di non doversi consegnare alla giurisdizione sovietica, e dunque alla Siberia di Stalin, si autoannegarono nelle acque del fiume Drava.

    Solo pochi di loro, ho sentito dire una volta, decisero di sottrarsi a quella glaciale alternativa del destino, tra Drava a Siberia, rimanendo in Carnia come dei sans-papiers, profughi semi-clandestini, supplici ufficiosi, povera gente d'altrove entrata a far parte della povera gente di lì.

    Dimenticavo. Nel governo provvisorio della Repubblica Libera della Carnia fu commissario politico Romano Marchetti, ex tenente del regio esercito, simpatizzante del Partito d'Azione. E figlio proprio di quel Sardo Marchetti di cui s'è detto.

    Quando rientro a Tolmezzo, ci si vede sempre con Romano Marchetti in osteria per il tajut, rituale calice di vino da centellinare chiacchierando in compagnia.  In vari decenni di consuetudine eno-dialogica noi ex ragazzi di lì abbiamo disputato intorno a infiniti argomenti sotto l'egida di quel vecchio agronomo oggi ultranovantenne, il mitico capo partigiano "Da Monte", uomo d'intelligenza e di gran spirito.

    Con Romano Marchetti s'è parlato veramente di tutto. E, come si fa con i maestri di vita, noi lo si è sottoposto a un fuoco di fila di discussioni interminabili, che Marchetti pazientemente, sovranamente, dominava con l'enigma dell'arguzia.

    Ripensando a quegli ammaestramenti di lunga gittata mi par ovvio assumere che Romano abbia ereditato dal genitore insegnante alte attitudini pedagogiche. 

   Mai però, in tutta la sterminata floridezza argomentativa di quelle rimpatriate, mai ho sentito una sola parola di rimpianto per non aver trattenuto a Tolmezzo come maestro elementare colui che sarebbe dipoi salito al potere in forza del manganello e degli incendi alle Case del Popolo, colui che avrebbe assunto la "responsabilità storica e politica" dell'assassinio di Giacomo Matteotti e della dittatura fascista.

    Promulgò le leggi razziali, trascinò l'Italia in una sanguinaria avventura bellica e prese parte alla Shoah a fianco della Germania nazista. 

    Ciò detto pro veritate, vorrei aggiungere qualche considerazione sulle tre tesi di Cangini.
    Anzitutto affiderei al piano storico la ricostruzione dei rapporti tra il Psi, il Pci e la Dc all'epoca di Tangentopoli: quali che siano stati questi rapporti, non mi par bello tuttavia sentir evocare Bettino Craxi da chi trova semplicemente comodo inventarsi che il padre di Noemi Letizia sarebbe stato l'autista del leader del Psi. Craxi ebbe certamente a commettere i suoi errori, ma amava il suo paese.

    In secondo luogo mi sfugge il senso di un discorso che prende le mosse da Mussolini per andare a parare nel desiderio che la sinistra se ne stia buona sennò chissà che sfracelli. 

    Vogliamo parlare di politica?
    "Quindici anni sono trascorsi, il mondo è cambiato e la sinistra è sempre lì che solleva e risolleva il masso che le cade sui piedi", e questo accade secondo Cangini per via della "congiunzione astrale di linciaggio morale con supporto mediatico-giudiziario e di luci dalla ribalta internazionale puntate sull'Italia".

    Molto bella l'immagine del masso che ricade sui piedi. Tra poco ci torno. Ma, di grazia, che c'entra la sinistra? Di quale linciaggio morale stiamo parlando? Di quello vilmente perpetrato dalla signora Veronica Lario ai danni del marito in quanto questi frequenterebbe le minorenni? Parliamo della parola del premier a Porta a Porta o in apertura dei TG? O ancora delle "rivelazioni" della Santaché sul Giornale?

    E, di grazia, che c'entra la sinistra con il circuito mediatico-giudiziario? Di che circuito vogliamo discutere? Di quello che dà eco flebile alla condanna penale comminata all'avvocato Mills per corruzione? La condanna è diaframmata quanto al corruttore dall'impunità istituzionale e dai termini di prescrizione.

    Soprattutto: quali sarebbero le "luci dalla ribalta internazionale" cui l'articolo si riferisce? Quelle di un premier che la bandana, le corna, il kapò e il cucù?

    L'opinione pubblica internazionale è realmente scandalizzata. La snistra non c'entra. E ogni giorno che passa, sempre più chiaramente, assistiamo non a uno, ma a due plebisciti virtuali.

    Da un lato c'è il plebiscito che il Cavaliere sventola all'interno del nostro Paese sostenendo la tesi secondo cui il mandato popolare lo collocherebbe al di sopra dei costumi e della legge (che a destra viene rivendicata ormai solo contro gli immigrati).

    L'altro plebiscito è quello internazionale, fatto di centinaia di milioni di sghignazzi che però sono anche da prendere molto sul serio, perché esprimono un'inquietudine vera per l'involuzione post-democratica in atto.

    Silvio Berlusconi è adatto a governare?
    Se sì, dove e quando l'ha dimostrato? Se no, come vogliamo definire chi contribuisca ad aggravare ulteriormente la crisi di sistema in cui senza dubbio versa l'Italia da tanti, troppi anni?

    Altre domande: A quando l'avvio di un processo riformatore?  E, questo processo riformatore di cui il Paese ha bisogno, può essere utilmente condotto a buon fine dal Cavaliere?

    Il problema politico sono le riforme.  Perché se non si compie un percorso riformatore le nostre libertà costituzionali – acquistate a prezzo anche del sangue di tanti ragazzi in Carnia o Val d'Ossola, a Casa Cervi o a Cefalonia e in mille altri fronti di resistenza antifascista – potrebbero non reggere alla sfida degli eventi.

    Ci consenta insomma, Franco Cangini, di rilanciare così la sua domanda: A che vi serve sollevare con tanta  fatica un masso grande come il mondo per farvelo ricadere sui piedi?

    Suvvia, l'Italia ha già vissuto una bruttissima deriva post-democratica. A causa di essa il mondo si vide infine indotto a entrare nel nostro Paese, ingiungendo al nemico nazi-fascista di uscire dai bunker a mani alzate.

    Se quei tempi non sono passati invano, è giunta l'ora di tagliare le unghie al Gattopardo. E di riformare il sistema.

Museo della Repubblica Partigiana -  www.carnialibera1944.it