giovedì 18 aprile 2019

Cronache di non ordinaria barbarie

 In vista del 25 aprile noi ci appelliamo alle tante ragazze e ragazzi che nuovamente nutrono ideali socialisti, affinché facciano crescere con ogni mezzo

legale e civile un deciso NO alla barbarie salviniana che si sta allargando

e che irride apertamente i valori della Costituzione nata dalla Resistenza.

 

di Andrea Ermano

 

Un’immagine che in questi giorni ha fatto il giro del mondo ritrae dimostranti della destra romana mentre a Torre Maura calpestano il pane destinato a poche decine di nomadi accolti in una struttura di solidarietà in quel quartiere. E mentre prendono a calci il pane, esclamano: “Devono morire di fame”. Questo gridano all’indirizzo delle famiglie nomadi accolte a Roma, intendendo, com’è lecito supporre, tutte le famiglie nomadi.

    Morire di fame!? Ma hanno una vaga idea di che cosa significa? E dopo? Torre Maura verrà ribattezzata “Torre della Fame”, come la Torre della Muda, quella in cui nel 1289 fu rinchiuso per ordine dell'arcivescovo di Pisa il Conte Ugolino insieme ai figlioletti? Dante racconta la fine del conte come un atroce episodio di cannibalismo, in cui chi perisce per primo viene mangiato da chi gli sopravvive, ma gli sopravvive solo per poco, finché la Torre non li avrà ammazzati tutti. E dopo? Nella Divina Commedia Ugolino della Gherardesca morde in eterno il cranio dell'arcivescovo Ruggieri.

    Qualche giorno fa l’ex presidente degli Stati Uniti visitando la Germania ha fatto presente che oggi a difendere l’Occidente e i suoi valori c’è sostanzialmente solo l’Europa (osteggiata da Trump non meno che dalle superpotenze orientali). Barack Obama ha altresì aggiunto che, pur con i suoi tanti acciacchi, l’Europa rappresenta oggettivamente il punto più elevato che la qualità della vita umana abbia mai raggiunto durante l’intera storia del mondo.

    Peccato che un’ondata di “sovranisti” al soldo di governi stranieri sembri impegnata a scassare tutto. E ciò proprio nell’epoca in cui il modello UE potrebbe rivelarsi particolarmente utile all’umanità intera (oltre che a noi stessi).

    Poco ce ne cala, dunque, se la barbarie è popolare (oltre che populista). «Non solo è morale, ma fondamentale condurre anche le battaglie impopolari. In particolare, quella che riguarda i Rom, ha commentato l’ex direttore del TG1, Gad Lerner: «Quando gli hanno calpestato il pane, l’altro giorno a Torre Maura, io l’ho sentito come un gesto addirittura sacrilego. Mi ha proprio ferito».

    E, in quanto israelita, Lerner ha aggiunto di avere pensato alla Pasqua ebraica, che si festeggerà tra due venerdì: «Celebreremo la liberazione dalla schiavitù in Egitto sollevando il pane azzimo, dicendo: Questo è il pane dell’afflizione… Per secoli su quel pane azzimo c’è stata l’accusa che noi lo avremmo impastato con il sangue dei bambini cristiani. Esattamente come per secoli si è continuato a dire che “gli zingari rubano i bambini”. La stessa identica diffamazione e denigrazione che ci ha portato insieme nei campi di sterminio».

    Sì, perché, come puntualizza Lerner, «mezzo milione di Zingari sono morti nei campi di sterminio. Solo che adesso agli Ebrei non si osa più dire una cosa del genere. A loro, invece, si continua a dire che se lo meritano perché sono tutti ladri. Allora mi piacerebbe tantissimo che le Comunità Ebraiche andassero a offrire del pane azzimo ai Rom, là dove vivono».

    Ci permettiamo di rilanciare questo appello di Lerner in vista anche di un’altra Festa della Liberazione che si celebrerà prossimamente nel nostro Paese, il 25 aprile.

    Chiediamo a tutte le persone di sinistra e in particolare alle tante ragazze e ragazzi che nuovamente nutrono ideali socialisti, affinché dimostrino con ogni mezzo legale e civile la nostra solidarietà per i Rom e la nostra ripulsa più decisa per questa barbarie che si sta allargando.

    Ieri il leader della Lega e ministro degli interni Matteo Salvini, a margine della Festa della Polizia a Roma, ha detto che intende disertare le celebrazioni per la Liberazione: «Il 25 aprile non sarò a sfilare qua o là, fazzoletti rossi, fazzoletti verdi, neri, gialli e bianchi».

    Come rileva con giusta “costernazione” Renzo Balmelli nelle sue Spigolature, siamo per la prima volta di fronte a un Ministro degli Interni che irride apertamente i valori della Costituzione su cui ha giurato.

    Ultim’ora lievemente farsesca. Nell’Italia del salvinismo dilagante è ritornato Caio Giulio Cesare. Così si chiama di nome un pronipote di Mussolini. Ebbene questo Caio Giulio Cesare Mussolini è ora candidato alle europee nella lista di Fratelli d’Italia e dichiara: «Sono stato scelto per le mie lauree, ma userò il cognome per farmi eleggere». Le lauree? Suvvia. Che la Meloni se lo sia preso in lista proprio invece per il cognome ducesco, va da sé, secondo il motto per cui a pensar male si fa peccato, ma s’indovina. E però questo Caio Giulio Cesare Mussolini, nonostante la ridondanza di nomi e cognomi, non medita una marcia su Roma, a differenza sia del bisnonno sia dello storicamente ben più importante e influente Divo Giulio. Anche questo qui vorrebbe varcare il Rubicone, ma in senso inverso. Destinazione Bruxelles. Galli, Britanni e Germani sappiate che lui sta arrivando, forse.

 

 

 


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giovedì 4 aprile 2019

Ciao, Cino Da Monte

 

Prendendo commiato da Romano Marchetti (1913-2019), nome

di battaglia "Cino Da Monte", decano dei partigiani italiani.

 

di Andrea Ermano

 

Era “sazio di giorni” si legge attorno a certe figure bibliche la cui fuoriuscita dal ‘tempo’ vuol essere presentata come lo spegnersi naturale, in tarda età, di un giusto. Sazio di giorni mi pare un’espressione adeguata alla notizia, triste, della scomparsa di Romano Marchetti, che aveva compiuto centosei anni nel gennaio scorso ed era il decano dei Partigiani italiani, nome di battaglia "Cino Da Monte".

    Lo avevo conosciuto verso la metà degli anni Settanta, io ventenne, lui pensionato di fresco. Ora non mi va di confidare a un “coccodrillo” giornalistico la lunga sequenza di convergenze e divergenze e incroci e intrecci di cui si sostanzia un’amicizia durata più di quattro decenni, amicizia che per altro condivido con tante altre persone, vive e morte, compagne e compagni, nei confronti delle quali e dei quali Romano è stato a volte mite, a volte severo, sempre generoso di sé.

    Qui devo dire solo che senza di lui non mi sarei caricato del mio fardello, quello che la vita mi ha riservato nel compito di coordinare le attività del “Centro Estero socialista” di Zurigo. Senza Marchetti “Cino Da Monte” non avrei compreso, percepito e saputo sentire, con l’intensità necessaria, il significato del “Centro Estero”, che in anni ormai lontanissimi, ma non dimenticati, aveva ispirato l’opposizione al ‘mussolinismo’ fin dai tempi della “Guerra alla guerra” per sfociare dopo l’8 settembre 1943 nella Resistenza contro la barbarie nazifascista.

    Dal punto di vista storico e in tema di Resistenza italiana, la cultura politica di cui “Centro Estero” di Zurigo a trazione siloniana è stato punto di riferimento indiscusso si è concretizzata non da ultimo nelle repubbliche partigiane dell’Ossola e della Carnia, nonché nella “Brigata Maiella”, che era guidata da Ettore Troilo e che fu l’unica formazione partigiana decorata di medaglia d'oro al valore militare alla bandiera.

    Durante l’autunno del 1944 il collegamento del “Centro Estero” con la Repubblica dell’Ossola veniva mantenuto tramite i “passatori” che dalla Svizzera importavano armi e viveri nella Zona Libera. Come per la “Brigata Maiella” anche il coordinamento delle operazioni in sostegno dell’Ossola fu assunto da due socialisti di tradizione turatiana: Luigi Zappelli (1886/1948), che era stato sindaco di Ver­bania prima del fascismo e che ritornerà a esserlo dopo la Liberazione, e Gu­gliel­mo Canevascini (1886/1965), che fu Consigliere di Stato ticinese dal 1922 al 1963.

    Con la Repubblica Libera della Carnia si trattò di un collegamento più ideale che materiale. Il “contagio” partì da Fermo Solari (1900/1988), nome di battaglia "Somma". Solari discendeva da una antica famiglia carnica di orologiai e si era diplomato ingegnere a Friburgo in Svizzera nel 1926. Fu dal 1942 il principale esponente friulano del Partito d’Azione, divenne poi successore di Ferruccio Parri quale vicecomandante generale del Corpo Volontari della Libertà e nel 1947 fu eletto alla Costituente.

    Con il “sanguigno” Solari “Somma” entra in contatto Romano Marchetti a Udine nel 1943: «Ho fatto la guerra in Grecia e in Albania come ufficiale degli Alpini, e ne sono uscito… “sedentario”, sia per delle brutte ferite alle gambe sia a causa del tifo, che mi aveva portato in fin di vita. Vengo richiamato dopo un anno circa di convalescenza e sono alla caserma di Udine dall’ottobre del 1942 fino all’inizio del ’43. Verso dicembre o gennaio, un giorno mi trovo nella compagnia deposito cui ero stato assegnato insieme al direttore della casa editrice Idea, Nino Del Bianco; a un certo punto dico “la guerra è perduta, cosa possiamo fare per questa Italia?”. Lui tace, ma l’indomani o dopo qualche giorno mi porta un opuscolo. Del Bianco era già aggregato ad un piccolo gruppo in un certo modo diretto da Fermo Solari, che intendeva prepararsi al fatto che l’Italia doveva ritornare alla democrazia. Fermo Solari aveva scritto l’opuscolo lì a Udine… e l’aveva firmato anagrammando il proprio nome».

    Così Marchetti in un’ampia intervista da lui rilasciata nel 2005 e disponibile sul sito “Carnia Libera” (vai al sito): «Mi carico di opuscoli, vengo su in Carnia e giro sia a piedi che in bicicletta creando la rete. Ogni tanto veniva da me quello che faceva altrettanto per la Garibaldi, era un reduce di Spagna: “Ugo”, Giovanni Pellizzari, di Preone. Mi attendeva fuori della Chiesa di domenica. Facevo i primi tre giorni della settimana a Udine, perché l’incarico di insegnante allo Zanon [l’Istituto per Geometri, n.d.r.] era solo per tre giorni; gli altri quattro fra Maiaso e, non so, Ovaro, Forni di Sopra, Enemonzo, Villa Santina, Comeglians, la Val Pesarina, Ravascletto, Preone; e soprattutto nella Val Chiarzò: avevo creato una rete. Non proprio una rete, ma qualcosa di simile, ha cercato di fare anche Pellizzari. Però lui aveva meno entratura, direi, mentre io conoscevo un po’ di gente: ad esempio avevo un amico a Paularo che era stato in guerra con me in Grecia, Giovanni Del Negro, oppure a Sutrio avevo preso contatti indirettamente perché conoscevo il figlio di uno di Sutrio, Enzo Moro, che abitava a Tolmezzo, ma andava su e giù. Quasi dappertutto, insomma, la rete era completa… Una delle mie basi era anche l’ambulatorio di Aulo Magrini, in Val Pesarina: mi mettevo in coda come fossi un paziente, e gli portavo gli opuscoli. Un altro contatto era Marco Raber, a Comeglians, che era stato nella milizia forestale».

    Costruita la “rete”, Marchetti assume la funzione di “Delegato politico” della Brigata Osoppo. Il suo principale merito storico sta senza dubbio nell’unificazione del comando con la Brigata Garibaldi in Carnia: «L’idea di riunire Osoppo e Garibaldi era anche dei comunisti. Molto spesso “Andrea” Mario Lizzero e “Ninci”, l’uno commissario e l’altro comandante di tutte le formazioni del Friuli, me l’avevano anche detto. Ma non occorreva che me lo dicessero: io già dall’inizio non capivo questa divisione».

    Anche grazie all’unificazione tra le brigate Osoppo e Garibaldi furono evitati nel Friuli occidentale sanguinosi episodi di lotta intestina tra partigiani come la Strage di Porzûs. Sicuramente è da questa unità d’azione che può nascere la Repubblica Libera della Carnia: «A fine settembre ’44 il comandante osovano "Da Monte" Romano Marchetti propose ai comunisti, che accettarono immediatamente, di creare un comando unificato Garibaldi-Osoppo. La decisione divenne operativa, ma, all'insaputa dello stesso “Da Monte”, che per le sue posizioni liberalsocialiste fu esautorato dai suoi superiori», si legge sul sito Carnia Libera (vai al passo).

    Fu esautorato, ma così nasceva la Repubblica Libera che aveva capitale Ampezzo e un'estensione di 2.580 Kmq, per una popolazione di quasi 90.000 persone, la più ampia in Italia.

    E qui mi fermo. Perché è qui la cifra forse più vera della lunga esistenza di Romano Marchetti, “sublime anarchico” della Carnia tante volte sconfessato e scomunicato nel tempo che passa per ripresentarsi con le sue idee vittoriose di Giustizia e Libertà nel tempo che viene e che verrà: «La moralità rinacque in me al tempo della Resistenza. Poi magari è morta di nuovo, ma la vera moralità, ripeto, ricomparve quando mi feci partigiano».

 

 

 


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