venerdì 28 febbraio 2020

RASSEGNA STAMPA

Ho chiesto nel nostro gruppo redazionale che cosa dovevo scrivere questa settimana di grande incertezza tematica. Mi è stato consigliato di buttare un occhio sulla rassegna stampa di oggi.

 

di Andrea Ermano

 

Per trovare un’ispirazione tra le tante voci dell’attuale panorama politico italiano mi sono andato a guardare le titolazioni d’apertura nei principali siti e giornali di questo giovedì 27 febbraio 2020. E ho trovato quanto segue:

 

    Il Corriere della Sera: «L’OMS: “Bene l’Italia, basta panico”».

    Libero: «Diamoci tutti una calmata. Virus: ora si esagera».

    La Repubblica: «Riapriamo Milano».

    Il Sole 24 ore: «Turismo, meccanica, moda: 2020 in fumo».

    Il Messaggero: «Virus, indennizzi e aiuti al turismo».

    Enciclopedia Treccani: «Lo sport ai tempi del Coronavirus».

    Avanti!: «La truffa del calcio in epoca di Coronavirus».

 

La lista è incompleta, né umanamente potrei commentare una così grande e variegata messe di notizie. Sicché, preso dall’imbarazzo della scelta, dopo una lunga e ponderata riflessione, mi sono risolto a parlare del: coronavirus.

    Dieci giorni fa ho rivisto un giovane esercente cinese, un bravo sarto sempre molto laborioso e coscienzioso. Forse, incontrandolo, e prima di dargli la mano, avrei dovuto domandargli se non fosse per caso rientrato in Italia di recente, magari transitando, con volo subdolamente indiretto, da qualche paese terzo, per aggirare il blocco astutamente imposto agli arrivi dall’Impero di Mezzo.

    Ebbene, lo confesso: mi sono completamente dimenticato di domandarglielo, anche perché lui aveva l’aria di non essersi mai mosso dalla cittadina nella provincia italiana dove abito e dove lui gestisce un negozio, aperto sei giorni alla settimana. A livello preconscio, inconscio o subconscio devo avere pensato che non si può andare e tornare dalla Cina durante un unico turno di riposo di 24 ore, a meno che non si abbia a disposizione l’Air Force One o qualcosa del genere.

    Abbiamo quietamente parlato del più e del meno per qualche minuto. Poi, accomiatandoci, ci siamo salutati, con la consueta stretta di mano. A futura memoria aggiungo che dieci giorni fa non era ancora scoppiato in modo così virulento questo bel po’ po’ di pandemia con 528 contagiati, 14 morti e 37 persone guarite.

    Fino a dieci giorni fa il coronavirus sembrava una cosa remota.

    A un certo punto alcuni leader hanno iniziato a chiedere la chiusura delle frontiere, accusando il governo di non avere fatto nulla contro l’incombente minaccia virale.

    L’obiettivo politico – secondo alcuni osservatori – è abbastanza chiaro: creare una contrapposizione tra Governo di Roma e Lombardo-Veneto (a guida nazional-leghista) con lo scopo dichiarato di far cadere il premier Conte e, promuovere un governo di emergenza nazionale, fondato sull’accordo dei due Mattei e affidato alla guida di qualche grande personalità tecnica.

    “Idea anti-virus: governo d’emergenza”, titola la Stampa di Torino.

    E però proprio il Lombardo-Veneto, che ospita i due focolai, è guidato da un presidente di Regione che a sua volta ha un caso d’infezione da coronavirus all’interno del proprio entourage.

    «Il Governatore Fontana in isolamento: “Potrei essere positivo nei prossimi 12 giorni”», titola RaiNews.

    Prima, il Governatore Fontana (noto “difensore della razza bianca”), guidava la carica di cavalleria contro la nuova peste. Appena saputo di essere lui stesso potenzialmente infetto, ha cambiato idea, dichiarando trattarsi nel caso del coronavirus di “poco più che una normale influenza”.

    Mirabile understatement lumbard.

    Non sbaglia Il Foglio nel sostenere che questo coronavirus è “L’influenza che spiega l’Italia”.

    Sì, questo coronavirus ci spiega come siamo fatti noi italiani. Per anni, decenni e secoli ci buttiamo colpe l’uno addosso all’altro in quella terribile “inimicizia fraterna” di cui scrive Cacciari alludendo agli scontri infiniti tra i Romolo e Remo che imperversano nel nostro disgraziato Paese dalla fondazione dell’Urbe ai giorni nostri.

    Ciclicamente sfiniti dall’eccesso di ostilità mimetica, proviamo a un certo punto un irresistibile impulso: trasformare la nostra guerra di “tutti contro tutti” in una persecuzione “tutti contro uno”. E allora ecco il famoso “dalli all’untore” di manzoniana memoria. Salvo che alla fine è anche Don Rodrigo a morire di peste.

 

 


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