Dalla strage di operai in protesta per le otto ore nella Chicago del 1886 si sono celebrati 134 Labour Days. E quanto alla condizione di vita della classe operaia la storia d'Italia e dell'umanità hanno registrato enormi passi avanti, ma non senza fasi di ricaduta all'indietro ed epoche di vera e propria barbarie. E però un "Primo Maggio" così…
di Andrea Ermano
È stato il più strano 1° maggio di sempre. Non di una festa del, ma di una meditazione sul lavoro si è trattato, di una lunga meditazione filtrata dalla sensibilità di grandi artisti, nell'ormai tradizionale "Concertone" di CGIL, CISL e UIL, giunto al suo trentesimo appuntamento. Una presentatrice di eccellenza, Ambra Angiolini visibilmente commossa nell'enorme vuoto di Piazza San Giovanni, ha condotto il grande evento in forma telematica, senza "assembramenti", ma seguito a casa da milioni di persone. A esso hanno preso parte star di levatura internazionale come Patti Smith, Sting, Vasco Rossi, Zucchero, Gianna Nannini e giovani talentuosi come Ermal Meta, Fabrizio Moro e tantissimi altri (vai al video su Raiplay).
Questo è il primo "Primo Maggio" in cui – a parte qualche piccolo flash mob qua e là – non si sono viste manifestazioni pubbliche dei sindacati né nelle piazze d'Italia e nemmeno nel resto del mondo: a causa della "distanza fisica" necessaria a contrastare la diffusione del Covid-19. Su questa emergenza e anche sugli altri problemi in discussione Maurizio Landini, segretario generale della CGIL, ha rilasciato al direttore del settimanale "L'Espresso", Marco Damilano, un'ampia intervista che propone al dibattito della sinistra italiana il grande tema di un "nuovo modello di sviluppo" (vai al video sul sito de L'Espresso).
Sulla formula "nuovo modello di sviluppo" usata da Landini, non propriamente nuova, converrà ritornare. A colpire più di tutte sono state le parole del Capo dello Stato, cadute come un fulmine, non a ciel serenosolo perché la parola "sereno" poco s'addice alla situazione:
«Non ci può essere Repubblica senza lavoro».
Il Presidente, richiamando il fondamento primo della nostra architettura istituzionale, ha sostanzialmente detto che se cede il fondamento l'intero edificio rischia di crollare. Il che ci spinge a un breve ripasso costituzionale. A partire dall'Articolo 1:
«L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro».
La Repubblica è la forma che lo Stato italiano ha assunto dopo la disfatta della dittatura mussoliniana e della monarchia sua alleata per un intero ventennio, segnato dalle persecuzioni contro gli oppositori, dall'assassinio politico contro figure quali Don Minzoni, Matteotti e i fratelli Rosselli, dalle leggi razziali contro i cittadini di religione e ascendenza ebraica, dalla tragedia conseguita al coinvolgimento nella Seconda Guerra Mondiale, coinvolgimento fortemente voluto dal duce, che programmò il sacrificio inutile di migliaia di ragazzi per potersi "sedere al tavolo dei vincitori".
Alla fine dell'avventura il Regno d'Italia – ormai diviso in un'area padana prona ai voleri di Hitler e in un territorio centro-meridionale liberato dagli Anglo-Americani – fu ridotto a un panorama di macerie.
Ricordiamolo ai nuovi e vecchi smemorati.
L'articolo 1 della Costituzione qualifica la forma repubblicana come "democratica". Che cosa significa qui "democrazia"? Lo spiega il secondo comma dell'articolo: «La sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione». Le forme e i limiti della Costituzione sono necessari in quanto e per quanto il popolo sovrano è costituito da persone dotate, ciascuna per sé, di diritti fondamentali. Tant'è che l'Italia democratica e repubblicana «riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità», come chiarisce l'Articolo 2. Ed è in nome di questi diritti che conseguono «doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale».
La concatenazione dei "principi fondamentali" della Carta approda al memorabile Articolo 3 nel quale è solennemente sancita la pari dignità sociale e l'eguaglianza davanti alla legge di tutti i cittadini «senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali».
Sicché è un fondamentale "compito" (compito!) della Repubblica: «Rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese».
Insomma, l'Italia democratico-repubblicana poggia sul basamento costituzionale del lavoro e assegna a se stessa il compito di favorire concretamente la partecipazione di cittadine e cittadini in quanto lavoratori e lavoratrici all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
Ma che cosa vuol dire tutto questo? Chi sono ormai i lavoratori? E ha ancora un senso la parola "lavoro" oggi o non avevano ragione certe grandi agenzie finanziarie quando proclamarono necessario "superare" queste tendenze 'socialisteggianti' della Costituzione italiana?
Ricordo che, un quarto di secolo fa o poco meno, quando mi fu affidato il coordinamento editoriale de "L'Avvenire dei lavoratori", alcuni giornalisti e intellettuali mi consigliarono di cambiare la dicitura della testata e, cioè di togliervi l'espressione "lavoratori" onde svecchiarne l'immagine. E allora riflettemmo a quelle sollecitazioni, che aderivano allo spirito dei tempi, nel più selvaggio decennio egemonico della ideologia neoliberista.
In quella seconda metà degli anni Novanta un ex alto dirigente del PSI, uomo brillante, assunse la direzione di "MondOperaio" e, con un colpo di fantasia, decise di cambiare la storica testata di Pietro Nenni ribattezzandola in "Mondo-Opera-Io".
Non sapendo più che farsene dell'"Operaio" lo si scisse in due parole: "Opera" e "Io".
Che genio. Ma c'era un ma. In che modo avremmo potuto riformulare noi "L'Avvenire dei lavoratori", ottenendo una pirotecnia di pari livello?
La nostra testata, l'aveva già modificata Ignazio Silone, riformulando l'originario al singolare "L'Avvenire del Lavoratore" (1897) in "L'Avvenire dei lavoratori" al plurale (1944).
Dopo qualche bottiglia di cognac, ci venne quest'idea.
Dato che – al pari dell'"Io" in "Mondo-Opera-Io" – anche la parola "Re" in "Lavorato-Re" è in fondo sussumibile al concetto genere della soggettività sovrana, si sarebbe potuto ricorrere a esortazioni ingegnose, del tipo: "Vedi qua" (=To'), "popolo sovrano" (=Re), ché ci hai un compito da svolgere (=Lavora!).
"Lavora! To'! Re!". Per una notte ad alto tasso alcolometrico parve una soluzione veramente azzeccata. E un giornalista – appellandosi alla sostanziale analogia tra il popolo sovrano e il popolo lavoratore – propose persino la variante in anagramma: "To', il Re Lavora!".
Che sbornia. E che mal di testa il giorno dopo. Scherzi a parte, torniamo al monito del presidente Mattarella: «Non ci può essere Repubblica senza lavoro».
Dato però che il coronavirus sta provocando una grave recessione, e quindi un'ondata di "senza lavoro", ci si deve chiedere in tutta serietà quali misure saranno possibili per assorbire tutta questa disoccupazione.
Francesco Mutti, che guida l'industria di conserve alimentari "Mutti", azienda di famiglia fondata a Parma nel 1899 e oggi leader nel settore del pomodoro, ha anche lui un'idea: «Mancano i braccianti? Si arruoli chi ha il reddito di cittadinanza». Perché non parlarne? L'idea è interessante, anche se apre a una lunga serie di domande. Ci permettiamo qui di formularne due:
1. Come mai quest'anno, guarda caso, mancano i braccianti?
2. Se lo Stato paga gli "arruolati" da reddito di cittadinanza, l'industria Mutti Spa pagherà poi lo Stato, affinché questi possa estendere il reddito di cittadinanza, come pure sarà necessario vista l'emergenza Covid-19?
Riguardo alla prima domanda, sulla mancanza di "braccianti", è chiaro che ci si riferisce alla mancanza di "immigrati" e quindi si pone con immediata drammaticità un problema di "accoglienza" che gli apprendisti stregoni non hanno ancora ben metabolizzato: noi, l'italia, siamo un paese di vecchi. Ma, in assenza di una lungimirante politica di accoglienza, saranno gli immigrati a evitare il Belpaese. E a quel punto i raccolti (ma anche molto altro) dovranno andare a farseli – giocoforza – i nonni.
Ciò premesso, siamo assolutamente convinti – e non da oggi – che:
a) Il reddito di cittadinanza deve essere rafforzato e anzi esteso agli innumerevoli casi di emergenza non inquadrabili nell'istituto della Cassa Integrazione.
b) Il reddito di cittadinanza deve accompagnarsi a una progressiva obbligatorietà della leva civile – in sostituzione di quella militare sospesa vent'anni fa – volta alla costruzione di un massiccio Servizio Civile Universale.
c) Il Servizio Civile Universale deve progressivamente diventare un potente strumento democratico del popolo sovrano in termini di partecipazione alla vita economica, sociale e politica del Paese, incluse le emergenze ambientali e infrastrutturali o anche quelle connesse all'accoglienza nonché alla formazione permanente ecc.
d) La partecipazione diretta, responsabile e parzialmente autogestionaria dei cittadini alla vita economica, sociale e politica del Paese deve articolarsi – come scriveva Ernesto Rossi – in una pluralità molto agile e dinamica di modi e forme.
e) La partecipazione diretta deve rafforzare (non indebolire!) anche nei contenuti la dimensione politico-istituzionale della "rappresentanza".