lunedì 17 novembre 2008

CENTRO ESTERO

L'Avvenire dei lavoratori / Quaderno doppio 2008.1-2
Esce mercoledì prossimo il nuovo quaderno trimestale dell'ADL. Si tratta di un quaderno doppio, di 200 pagine, particolarmente denso e ricco di materiali storici, riflessioni politiche e testi letterari.

Il nuovo quaderno dell'ADL "su carta" propone all'attenzione delle lettrici e dei lettori un'ampia sezione storiografica, dedicata alla tematica del "Centro estero" con un saggio di Stefano Merli che ricostruisce l'attività di rifondazione intellettuale e morale del socialismo italiano svolta da Ignazio Silone quando egli dal 1941 al 1944 accettò di assumere la guida del Centro estero, trasferitosi a Zurigo dopo l'occupazione nazista della Francia.

Le trascrizioni dei due interventi di Filippo Turati al Congresso di Livorno offrono alcuni spunti di riflessione aggiuntivi sulla tematica delle cicliche crisi organizzative del Psi, tematica cui è imprerniato per inciso anche l'editoriale di questo nuovo ADL.

La seconda metà del volume, riservata alla sezione "Politica, economia e cultura", è inaugurata da un intervento di Paolo Bagnoli sulla necessità di salvare l'idea stessa di "sinistra" in Italia, senza la quale la parola socialismo perde il suo senso proprio.

Segue Felice Besostri con un'appassionante discussione del saggio di Raffaele Simone "Il mondo è di destra?". Si tratta della prima parte di un saggio più ampio cui Besostri sta lavorando nell'intento di chiarificare le ragioni del socialismo italiano, nonostante l'anatema che sembra incombere nel nostro Paese sulla questione socialista.

Nelle pagine della cultura Mario Barino traccia un primo bilancio degli "Incontri letterari del Cooperativo" introducendo due preziosi testi inediti e ricordando la nascita per iniziativa di Franco Facchini e Pietro de Marchi di questa iniziativa a sostegno della lingua e della letteratura italiana fuori d'Italia.

Il primo testo pubblicato è "Per resuscitare i morti" di Laura Pariani, una delle maggiori scrittrici italiane contemporanee, che qui tratteggia in modo scanzonato e affettuoso le impressioni raccolte al Cooperativo di Zurigo dopo l'incontro letterario che l'ha vista protagonista in una memorabile serata del 2006.

Il secondo testo è "Cara Clarissa" di Silvia Ricci Lempen, protagonista di una matinée letteraria tenutasi nel maggio scorso. Romana di nascita e losannese d'adozione, Ricci Lempen ha un ragguardevole cursus honorum in lingua francese. In "Cara Clarissa - possibile inizio di un romanzo in lingua italiana" inizia magistralmente un suo percorso di riappropriazione della lingua madre.

Alcune osservazioni di carattere filosofico sono esposte quindi da Andrea Ermano a margine del confronto sul fascismo in corso all'interno del mondo cattolico, ma non solo in esso.

Suggella il volume il "Coro di deportati" di Franco Fortini, poesia apparsa per la prima volta sull'ADL del 15.4.1944.
Il Sommario
del nuovo quaderno ADL
I - Centro estero

    • Editoriale
    • Stefano Merli, Il laboratorio socialista de L'Avvenire dei Lavoratori
    • Filippo Turati, Compagni amici, e compagni avversari; non voglio, non debbo dire nemici
    • Filippo Turati, Una convergenza dovrà ricongiungerci tutti quanti in una azione comune

II - Politica, economia e cultura

    • Paolo Bagnoli, I socialisti e la sinistra italiana
    • Felice Besostri, Il mondo va a destra?
    • Mario Barino, I nostri "incontri" tra poeti, scrittrici e testi inediti
    • Laura Pariani, Per resuscitare i morti
    • Silvia Ricci Lempen, Cara Clarissa
    • Andrea Ermano, Il dibattito intorno al fascismo
    • Stanzetta lirica - Fanco Fortini, Coro di deportati

L'Avvenire dei lavoratori
Quaderno doppio 2008.1-2

Pagine 200, CHF 20.00, Euro 14.00
Qui sopra la copertina del nuovo quaderno dell'ADL sulla quale campeggia un'immagine di Ignazio Silone (1900-1978), che dal 1941 al 1944 diresse il Centro estero socialista.

venerdì 5 settembre 2008

Migranti, cittadini globali


Quella per il riconoscimento del voto amministrativo - e perché no - europeo, ai concittadini stranieri, è una grande battaglia di civiltà.
di Rodolfo Ricci *)

"Migranti, cittadini globali": vi era in questa frase -- con cui nel 2005 titolammo il secondo congresso della Federazione Italiana Emigrati e Immigrati

(FIEI) -- la registrazione di un mutamento epocale delle condizioni della cittadinanza effettiva delle persone nel processo di ricomposizione del capitalismo su scala globale. Ciò che chiamiamo oggi globalizzazione non è altro che il libero dispiegarsi fuori dei vincoli e dei confini nazionali dei processi di produzione e riproduzione del capitale multinazionale; allo stesso tempo, globalizzazione è il processo di mobilità accentuata delle persone attraverso i confini di regioni, paesi e continenti alla ricerca di condizioni migliori di vita; una mobilità richiesta ed incentivata dalle condizioni produttive e riproduttive del capitalismo, al punto che oggi, i sistemi economici di grandi paesi e continenti, come gli USA o l'Europa non potrebbero reggersi senza la forza lavoro di decine di milioni di immigrati.
Ciò è non solo evidente, ma riconosciuto ampiamente dai rappresentanti della grande impresa multinazionale e non; è confermato dai dati statistici per i quali oltre il 6% del PIL italiano deriva dall'apporto dei lavoratori migranti; per i quali sono oggi oltre 20 milioni i cittadini migranti sul suolo europeo, sono oltre 200 milioni i cittadini migranti sull'intero pianeta.

Cittadini migranti che attraverso le loro rimesse costituiscono l'unico concreto elemento di sviluppo dei rispettivi paesi di origine (circa 300 miliardi dollari all'anno di trasferimenti, cifra superiore di cento miliardi al complesso degli IDE, cioè degli investimenti totali provenienti dall'estero verso i paesi in via di sviluppo e i paesi poveri).

Le recenti dure proteste dei leader dei governi latino-americani contro la Direttiva "Ritorno" della UE, che ricordavano il tempo in cui tali paesi hanno accolto decine di milioni di migranti dall'Europa, costituiscono un elemento di chiarezza storica e al tempo stesso un monito a comprendere di cosa stiamo parlando: del futuro dei rapporti nord e sud, del destino stesso del pianeta.

Non può più essere che le merci fluttuino liberamente e le persone siano costrette dai vincoli unilaterali dei paesi del nord; queste condizioni non possono reggere.

Il fallimento dei negoziati di Doha sul commercio internazionale conferma, per altre vie, il raggiungimento di una soglia non più sopportabile.
A globalizzazione dei traffici finanziari e di merci deve corrispondere un nuovo ed adeguato complesso di diritti di cittadinanza per i lavoratori migranti e tutti coloro che si muovono attraverso i confini nazionali.

Il dibattito riaperto finalmente da Veltroni sul voto amministrativo agli immigrati residenti sul nostro territorio, dopo anni di investimento politico - da destra a sinistra - sulla "percezione della sicurezza", deve costituire un'occasione di ampia mobilitazione per l'affermazione dei diritti di cittadinanza dei migranti e di riflessione sui destini globali e nazionali.

Vale la pena ricordare, a tal proposito, che la mobilità dentro i nostri confini (ovvero i flussi di migrazione interna) hanno nuovamente raggiunto i livelli più alti registrati negli anni '60-'70: annualmente sono circa 270.000 gli italiani che lasciano le regioni del meridione e si stabiliscono nelle regioni del centro-nord per motivi di lavoro. Nel decennio sono stati oltre mezzo milione i siciliani che hanno lasciato l'isola prevalentemente verso il nord-est del paese.

A fronte di questi dati impressionanti, siamo chiusi dentro una assurda discussione sul federalismo fiscale come toccasana della situazione nazionale, quando è chiaro che il nord del paese continua ad assorbire risorse umane e a produrre ricchezza grazie anche all'enorme salasso di forza lavoro dal sud d'Italia e del mondo.

Allo stesso tempo, la spesa pubblica -in particolare quella sanitaria- del paese viene contenuta grazie all'apporto di oltre un milione di donne immigrate che si occupano di ciò di cui lo Stato non può o non vuole occuparsi: l'assistenza agli anziani e il lavoro riproduttivo nelle famiglie italiane.

Cosa si deve attendere per riconoscere i diritti basilari di partecipazione a questi milioni di concittadini stranieri ?

Quanto al voto, è bene sapere che paesi molto più avanzati del nostro hanno già da tempo riconosciuto il diritto di voto amministrativo a tutti gli stranieri o alle principali comunità etniche immigrate: tra questi la Svezia, la Danimarca, l'Olanda, la Norvegia, la Spagna, la stessa Inghilterra.



Il 15 Gennaio del 2003 il Parlamento Europeo approvò la risoluzione n. 136 nella quale si raccomandava a tutti gli Stati membri di concedere il voto amministrativo a tutti gli stranieri regolarmente residenti sui rispettivi territori da almeno tre anni e la cittadinanza ai residenti da almeno 5 anni. (Il Congresso FIEI approvò all'unanimità la proposta di introduzione del voto amministrativo e della cittadinanza agli stranieri secondo quanto previsto da questa risoluzione).

Fu sempre nel 2003, in ottobre, che Gianfranco Fini, allora Ministro degli Esteri, si espresse a favore del voto amministrativo durante un convegno al Cnel. Ma lo aveva già fatto il 6 luglio a San Paolo del Brasile, di fronte ad una nutrita platea di connazionali emigrati, paragonando le traversie dell'emigrazione italiana con quelle degli extracomunitari e riconoscendo al Brasile e agli altri paesi latino americani di non essere mai stati xenofobi o razzisti vero i nostri migranti.

"Volevamo braccia e sono arrivati uomini e donne", l'espressione del grande scrittore svizzero Max Frisch attraversava l'Europa del nord negli anni '70 ed '80 e riguardava noi, l'integrazione e il riconoscimento dei diritti degli emigrati italiani e del sud Europa.

Così complicato ricostruire un civile confronto intorno a queste questioni, che non siano le assurde proposte dell'esame di lingua italiana, delle carte dei diritti e dei doveri, ecc. ecc.?
Perché questi esami e queste carte dovrebbero essere sostenuti e sottoscritte per ottenere il diritto di voto o la cittadinanza e non invece all'atto dell'assunzione di un rapporto di lavoro?
Basterebbe riflettere su questo per capire quanta ipocrisia e disonestà intellettuale inquina l'aria di questo nostro paese.

La battaglia politica per il riconoscimento del voto amministrativo - e perché no - europeo, ai concittadini stranieri, è una grande battaglia di civiltà e può costituire un elemento importante di chiarificazione dei destini dell'Italia.

In questo contesto le rappresentanze sociali ed istituzionali degli italiani all'estero possono svolgere una significativa funzione.

*) Segretario generale della FIEI

venerdì 18 luglio 2008

Figli di un destino cinico e baro?

di Andrea Ermano
"E allora prendete un passaporto e andate tutti a..."  l'orazione pubblica di Beppe Grillo ai manifestanti "No Cav Day" di Piazza Navona si era conclusa una decina di giorni fa con il solito "vaf..." alla politica italiana, incluse le più alte cariche dello Stato.

Grillo incarna ormai due detti marxiani. Il primo riguarda la situazione che si ha quando la classe dirigente di un paese ne costituisca il maggior impedimento allo sviluppo: è, questa, la situazione rivoluzionaria. Il secondo detto marxiano allude a certi corsi e ricorsi storici che dapprima si presentano come tragedia, poi come farsa. In Grillo la rivoluzione italiana è la farsa da un comico patriota che non significa nulla.

Ma la Guzzanti supera Grillo sia in comicità sia in patriottismo. L'esito ne risulta rovesciato. La farsa viene ricatapultata nella rivoluzione e la corte papale tra i diavolacci dell'Inferno, come in Dante.
Non potendo sorpassare in arditezza tutto ciò, Antonio Di Pietro ci ha messo qualche giorno per raccogliere le idee, finché l'arresto del governatore abruzzese Del Turco è sopraggiunto a togliergli ogni imbarazzo:
ecco l'inizio di una nuova Tangentopoli in un paese corrotto più che mai!
Ma se c'è un Grillo per ogni Sabina Guzzanti non manca neppure un Cavaliere per ogni Antonio Di Pietro. Ed ecco dunque Berlusconi che spiega il caso Del Turco alla nazione: ennesimo teorema cui certa magistratura ricorrerebbe per condizionare la vita politica!
A questo punto il procuratore dell'indagine abruzzese non poteva che convocare una conferenza stampa. In essa egli negava recisamente la tesi del teorema ed elencava invece una lunga serie di fatti date dati, sostanzialmente riconducibili alle dichiarazioni di un ras locale, postosi sotto l'egida della magistratura, come pentito, un attimo prima che lo arrestassero in quanto corruttore.

Le tangenti del pentito sarebbero a Del Turco servite all'acquisto di tre case a Roma nonché "a comprare il passaggio di otto senatori" dello SDI nelle file del PD.

Qui manca il riscontro. E' vero infatti che il governatore aveva abbandonato il Partito Socialista per entrare nel Partito Democratico. Ma i senatori? Se lo SDI ne avesse avuti otto, di senatori, il Governo Prodi sarebbe ancora in carica.

Il neo segretario del PS, Riccardo Nencini, cioè la parte (teoricamente) lesa, conferma che "non c’erano senatori socialisti. Se anche vi fossero stati, non sarebbe stata un’operazione praticabile perché i socialisti non sono in vendita".

In effetti, se uno resta socialista nel 2008 sembrerebbe meno in vendita di altri. Ma i media su Del Turco hanno ugualmente rinverdito la favola nera: ex socialista, dunque corrotto. Vabbè, ma Del Turco è stato tante cose: non solo segretario del Psi, ma anche segretario generale aggiunto della Cgil, ministro delle Finanze, presidente dell'Antimafia.

No. Del Turco è un ex segretario del Psi. Vabbè, ma vi sembra giusto che poi la gente attribuisca la colpa del persistente malaffare italiano ai "craxiani" che continuano pervicacemente a inquinare il Paese degli Onesti.

No. Del Turco è il successore di Craxi, un uomo chiamato cinghiale e assurto a simbolo del malaffare italiano.
Sarà dunque a causa dell'autodistruttività intrinseca al "male" che il mestiere di leader socialista nel nostro Paese appare tanto foriero di disgrazie?
Nessun leader socialista, neanche quelli universalmente riconosciuti come galantuomini, è sfuggito a una qualche "disgrazia". Turati venne disgraziatamente massacrato di botte e morì in esilio. Matteotti fu seviziato e assassinato. Saragat e Pertini finirono in galera, al confino, in esilio, ma sopravvissero e divennero Capi di Stato.

Come loro, anche Nenni, dopo un duro esilio, rientrò in Italia, tra mille onori, e alla fine fu nominato senatore a vita.

Del pari fu senatore a vita anche Francesco De Martino, che però ebbe un figlio rapito dalla camorra.
Ma ecco un dubbio. Forse che in Italia anche i nostri ideali migliori siano caduti ostaggio di un destino cinico e baro?

Il punto sta proprio qui. Noi socialisti siamo sommessamente convinti che il destino passa e gli ideali restano.

giovedì 29 maggio 2008

NOVITÀ EDITORIALE: L'utopia laica di Philippe Grollet

E' uscito in questi giorni come pubblicazione dell'ADL su carta il volume "Laicità, utopia e necessità" di Philippe Grollet, esponente di spicco del movimento laico belga. L'edizione italiana del libro, apparso a Bruxells nel 2005, è stata curata da Vera Pegna che, insieme a Silvana Mazzoni, ha approntato anche la traduzione del testo di Grollet dal francese. E' il nono volume della collana "Tragelaphos", dedicata alla storia e alla teoria della pluralità culturale. Qui di seguito ne riportiamo la nota editoriale.

Per acquisti team@avvenirelavoratori.eu

Philippe Grollet, l'autore del presente volume, è avvocato presso il foro di Bruxelles e ha presieduto nel corso di quasi quattro decenni dapprima il Cercle du Libre Examen, poi l'associazione Bruxelles Laïque e infine il Centre d'Action Laïque. Siamo lieti e onorati di poter rendere accessibile il suo pensiero alle nostre lettrici e ai nostri lettori.

Laicità, utopia e necessità propone al pubblico italiano un resoconto di esperienze e di riflessioni che provengono dalla società civile belga impegnata in difesa dell'uguaglianza tra tutti i cittadini nel libero esercizio del pensiero, della parola, del culto e del pluralismo culturale.

Il presente volume contiene una preziosa Prefazione del professor Manacorda, che ringraziamo con deferenza; segue di tre anni l'altra nostra pubblicazione recente nel medesimo ambito tematico, intitolata La laicità indispensabile, in cui avevamo raccolto gli atti dell'omonimo convegno tenutosi a Roma nel 2003 per iniziativa dell'Unione Atei Agnostici Razionalisti (uaar).

Tanto Laicità, utopia e necessità quanto La laicità indispensabile sono state curate da Vera Pegna, cui si ascrive anche il merito d’aver contribuito in modo determinante alla promozione del convegno romano del 2003.

Da allora sono trascorsi cinque anni, si sono moltiplicati gli incontri, sono apparse varie pubblicazioni: la laicità anche nel nostro Paese è ritornata al centro del dibattito. L'Italia laica accorcia così le distanze che tradizionalmente la separano su questo tema dall'opinione pubblica europea e internazionale.

lunedì 19 maggio 2008

DIFENDERE I CITTADINI IMMIGRATI

di Rodolfo Ricci *)
Non so cosa si debba aspettare ancora prima di intervenire con azioni concrete di mobilitazione per difendere i diritti dei concittadini immigrati, bersaglio di infami attacchi indiscriminati come è accaduto a Napoli e in alte città d'Italia.

L'ignoranza crescente intorno alle condizioni degli immigrati, costruita scientificamente da media al servizio di orientamenti e gruppi politici che hanno impostato sulla cosiddetta "questione della sicurezza" la loro campagna elettorale, prefigura una guerra tra poveri che rischia di scatenarsi con effetti devastanti per le condizioni di convivenza democratica.

Pochi sanno che in Italia sono presenti, solo per fare un esempio, solo 150.000 Rom, in confronto agli oltre 300.000 presenti in Inghilterra, o in Germania o in Francia. Pochi sanno che la metà dei morti sul lavoro nel nostro paese sono lavoratori immigrati, quasi sempre assunti "in nero", sempre super sfruttati, da sud al nord "avanzato".

Pochi sanno che ben oltre un milione solo le badanti che curano i nostri anziani e si stima che oltre mezzo milione di esse siano in condizioni di "clandestinità".

La violenza crescente contro gli immigrati e contro i Rom, è qualcosa che deve mobilitare innanzitutto le nostre coscienze e che deve sollecitare un'immediata azione sul piano politico e sociale che rimetta il diritto e i diritti al primo posto; che chiarisca che la condizione di clandestinità è strutturale in ogni migrazione, come anche quella che ha caratterizzato l'emigrazione italiana nel mondo, fatta, per metà, di clandestini fino a tutti gli anni '70 del secolo scorso; che la violenza è innanzitutto la violenza delle condizioni di vita che riguardano larghe masse di cittadini nelle periferie delle nostre città e metropoli, create certamente non dagli immigrati; che la sicurezza deve occuparsi innanzitutto dell'impressionante sviluppo delle attività illecite e dell'economia criminale che nel nostro paese fattura circa 100 miliardi di Euro all'anno e pervade larghi settori della politica e della società italiana, europea e mondiale. Che la violenza in Italia attraversa larghi settori del mondo giovanile e non solo ed è fondamentalmente autoctona ed alimentata da messaggi culturali veicolati da un mediocre e servile sistema di comunicazione e di informazione.

Contro i pericolosi rigurgiti di razzismo contro gli immigrati va organizzata una lunga battaglia culturale e politica che deve vedere a capo soprattutto coloro che l'emigrazione l'hanno vissuta, la conoscono e la rappresentano nella società e in Parlamento.

L'ora dell'impegno non è domani, ma oggi, subito. Chi sa e vuole schierarsi lo faccia ora.

*) Segretario generale della Federazione Italiana Emigrazione ed Immigrazione (Filef e Fernando Santi)


giovedì 8 maggio 2008

PUBBLICAZIONE: L'utopia laica di Philippe Grollet

Esce in questi giorni come pubblicazione dell'ADL su carta il volume "Laicità, utopia e necessità" di Philippe Grollet, esponente di spicco del movimento laico belga. L'edizione italiana del libro apparso a Bruxells nel 2005 è stata curata da Vera Pegna che, insieme a Silvana Mazzoni, ha approntato anche la traduzione del testo di Grollet dal francese. E' il nono volume della collana "Tragelaphos", dedicata alla storia e alla teoria della pluralità culturale. Qui di seguito ne riportiamo la nota editoriale.

Philippe Grollet, l'autore del presente volume, è avvocato presso il foro di Bruxelles e ha presieduto nel corso di quasi quattro decenni dapprima il Cercle du Libre Examen, poi l'associazione Bruxelles Laïque e infine il Centre d'Action Laïque. Siamo lieti e onorati di poter rendere accessibile il suo pensiero alle nostre lettrici e ai nostri lettori.

Laicità, utopia e necessità propone al pubblico italiano un resoconto di esperienze e di riflessioni che provengono dalla società civile belga impegnata in difesa dell'uguaglianza tra tutti i cittadini nel libero esercizio del pensiero, della parola, del culto e del pluralismo culturale.

Il presente volume contiene una preziosa Prefazione del professor Manacorda, che ringraziamo con deferenza; segue di tre anni l'altra nostra pubblicazione recente nel medesimo ambito tematico, intitolata La laicità indispensabile, in cui avevamo raccolto gli atti dell'omonimo convegno tenutosi a Roma nel 2003 per iniziativa dell'Unione Atei Agnostici Razionalisti (uaar).

Tanto Laicità, utopia e necessità quanto La laicità indispensabile sono state curate da Vera Pegna, cui si ascrive anche il merito d'aver contribuito in modo determinante alla promozione del convegno romano del 2003.

Da allora sono trascorsi cinque anni, si sono moltiplicati gli incontri, sono apparse varie pubblicazioni: la laicità anche nel nostro Paese è ritornata al centro del dibattito. L'Italia laica accorcia così le distanze che tradizionalmente la separano su questo tema dall'opinione pubblica europea e internazionale.

Se può apparire curioso che a una vecchia editrice d'emigrazione, giunta al centodecimo anno d'attività, sia toccato il privelegio di fornire impulso al dibattito circa la laicità in Italia – tema sul quale durante gli anni Novanta gravava un plumbeo silenzio mediatico –, occorre tuttavia ricordare che l'impegno de L'Avvenire dei lavoratori su questo fronte non è certo nuovo. Per lungo tempo, durante il ventennio fascista, la nostra testata rappresentò l'unica voce libera di netta ed ininterrotta opposizione al regime mussoliniano, al clericalismo concordatario, alle persecuzioni religiose e razziali.

Le ragioni per cui oggi la "Questione laica" (insieme, per inciso, alla "Questione sociale") ritorna di bruciante attualità, le ragioni per cui ciò avviene ben oltre i confini nazionali, risiedono a nostro giudizio nel compito generale della politica contemporanea: l'umanità è posta di fronte all'esigenza, grande e drammatica, di costituire un governo pacifico dell'economia globalizzata e delle pluralità culturali. Si staglia all'orizzonte una sfida immane, alla quale proprio perciò ogni soggetto è chiamato a dare un contributo, per piccolo che esso sia.

Laicità, utopia e necessità, chiusa in stampa dal dicembre scorso, esce con qualche mese di ritardo rispetto ai programmi editoriali 2007. Ce ne scusiamo con gli abbonati: abbiamo preferito evitare una possibile, ma impropria, funzionalizzazione di questo libro nella spettacolarità elettorale in atto. Predisponendo l'uscita del presente quaderno a urne chiuse intendiamo lanciare un appello alla coscienza politica di tutti e di ciascuno affinché la "Questione laica" cresca anche in avvenire come istanza – utopica e necessaria – di Giustizia e di Libertà. (AE / Zurigo, 3 aprile 2008)

mercoledì 23 aprile 2008

Ma il tono soft dell'uomo loft stavolta non basterà...

di PAOLO BAGNOLI *)
Nella sua lunga storia tanti sono stati i momenti difficili che la sinistra italiana ha dovuto affrontare. Pietro Nenni soleva dire che "quando tutto sembra perduto c’è sempre una cosa che si può ancora fare perché l’umanità non muore. "

Queste parole ci battono in testa in queste ore che segnano un altro dei tanti momenti difficili della sinistra italiana;un qualcosa di impensabile nelle dimensioni e nei modi con i quali esso si è realizzato perchè chi mai avrebbe pensato che un giorno né socialisti né comunisti sarebbero stati presenti in Parlamento.

La cosa deve essere seriamente valutata;questa volta non bastano né le autocritiche né le dimissioni; la ripartenza, per chi vuole ripartire e non capitolare alla necessità del Pd, non può avvenire nei metodi usuali: aspettando che coloro che hanno condotto alla sconfitta rimangano in attesa che passi la nottata: ora è scoccato il momento delle idee forti e della credibilità, le alchimie, le furberie, le sottigliezze sono ripieghi italici che il voto si è portato via. Ora occorrono uomini all’altezza dell’ideale, ma occorre che esso sia chiaro, distinto, netto e accenda la voglia di lottare.

Per che cosa? In primo luogo per la democrazia poiché questo è il compito del socialismo.
La nascita del Pd ha determinato terremoti dalle lunghe onde di assestamento. Nato sulla sbandierata convinzione che il socialismo è morto e la sinistra finita, ha cominciato ad uccidere il proprio genitore, vale a dire il governo Prodi e poi, polarizzando lo scontro con Berlusconi, ha non solo perso e male, ma ha fatto a Berlusconi quello che può essere considerato il regalo a lui più gradito: cancellare la sinistra dal Parlamento della Repubblica.

Dicevamo che ha perso male: in effetti il 33,17% raccolto da Veltroni inglobando i radicali è ben poco più rispetto al risultato a suo tempo raccolto dall’Ulivo senza radicali, circa il 31,27%: solo che, mentre l’Ulivo, insieme alla sinistra era riuscito a vincere Berlusconi ora il Pd ha vinto un’opposizione netta. Al di là delle ciance messe in giro sulla straordinaria rimonta, sul fatto che al nord-est si sarebbe sfondato perché c’era una forte candidatura come quella di Calearo ed altre simili amenità, Berlusconi ha vinto con un margine che non lascia equivoci in proposito. L’aveva detto che sarebbe andata così, ma non era stato creduto, visto che non sempre è uomo di verità: questa volta, invece, è stato di parola. Bisogna riconoscerlo.

Le dichiarazioni di prammatica e il tono soft dell’uomo del loft non sono riuscite a nascondere il fallimento di un progetto politico. Non è un caso che, per consegnarsi alla stampa, Veltroni abbia voluto con sé, sul palco, tutto lo stato maggiore del partito, quasi ad ammonirlo (simul stabunt simul cadunt). Ma già si colgono i segnali della nascente polemica interna: le dimissioni di prodi, il PD del nord, ecc.

Altro che americanizzazione del sistema politico italiano, come si è affannato a ripetere un Bertinotti distrutto di fronte alle telecamere, apertamente dichiaratosi colpevole per il distacco dalla classe operaia. Ma anche – aggiungiamo noi – per non aver sostituito il consenso operaio con quello della aristocrazia, della finanza e pure, sembra, di qualche alto prelato, che a sentire il suo amico Mario D’Urso egli avrebbe sicuramente raccolto “comiziando" con bon ton in esclusivi salotti romani e non solo.

Altro che americanizzazione del sistema: un giudizio negativo che, pur con tutte le sue colpe, gli Stati Uniti non si meritano. Qui siamo solo allo stravolgimento involutivo dell'anomalia italiana. E al soffocamento ricercato e perseguito del pluralismo. Un tale quadro non ci conferma nell’uscita dalla transizione, ché essa anzi si è involuta nel vizio assurdo del personalismo populistico e nel ricercare quello che, nella nostra storia, si presenta sempre nei momenti acuti di crisi: ossia il domatore che impugna la frusta e prende in mano la situazione riducendo tutto a se stesso.

Le recenti elezioni non consegnano alla storia solo i vincitori ed i perdenti, ma anche i cancellati. E’ il caso dei socialisti di Boselli e dei comunisti di Bertinotti. Ma per i primi il problema è ben più complesso che per i secondi considerato che il muro di Berlino è caduto nell’89 mentre il socialismo in Europa vive e vince, come anche recentemente in Spagna.

Nel Parlamento del Paese i socialisti erano entrati per la prima volta, con Andrea Costa, poco più di cent'anni or sono, nel 1902. Nessuno potrà dire che la democrazia italiana sia da oggi più ricca. Le "innovazioni" istituzionali e politiche realizzate non fanno l’Italia più vicina alle grandi democrazie. Questo bipartitismo personalizzato persevera un’anomalia e non ne configura la risoluzione.

In Europa vi sono solide democrazie in cui sono assenti i comunisti. Ma in ognuna di esse vi è una forza socialista. Aggiungiamo anche che l’esperienza del Psi scomparso nel 1994 non era sicuramente paragonabile a quella del laburismo inglese o della Spd tedesca, ma da poco più di due secoli il socialismo, con le sue lotte e le sue conquiste, rappresenta una grande forza culturale, sociale e politica del movimento democratico, anche nel nostro Paese.

Oggi il cordone ombelicale con la rappresentanza politico-parlamentare si è rotto; era da ingenui aspettarsi dalla Costituente socialista una ripresa impetuosa. Tuttavia, che i socialisti di oggi – quelli raccolti, appunto, nella Costituente – sarebbero andati peggio dello Sdi che ne costituisce il perno, era inimmaginabile, ma la dice lunga pure sul fatto che una rinascita vera del socialismo possa verificarsi continuando a ruotare attorno al partito di Enrico Boselli.

Se il socialismo vorrà continuare ad essere presente nella vita italiana occorre non tanto prendersela con Walter Veltroni che non ha voluto ammettere il Ps alla mensa del Pd; lasciamo agli oppositori UDC del centro-destra rimproverare al loft la forte polarizzazione che ha favorito, obbiettivamente, il Pdl e la Lega. E' vero, nella tenaglia i socialisti sono stati annientati e l’Arcobaleno spiumato inesorabilmente, a favore del Pd. E' vero, questi voti "utili" non sono serviti a contrastare la vittoria a Berlusconi. Ma ad ognuno le proprie responsabilità.

In un quadro pesantemente drammatico per la sinistra italiana, i socialisti devono guardare dentro se stessi, e soprattutto nel profondo di una società smarrita ed impaurita che chiede certezza e concretezza anche a fronte di una globalizzazione che induce più timori che opportunità. Questo dice il risultato della Lega.

I socialisti, al di là dei temi che sono loro propri, devono dare una risposta di sinistra riformatrice e cioè di governo, intercettando motivi ideali, economici, sociali e civili del Paese in cui agiscono. Devono disegnare la loro idea di Paese con profilo netto e con un senso marcato di innovazione politica. Devono agire con umiltà e capacità di radicamento popolare.

I socialisti possono ripartire se si pongono al livello della situazione non solo nell’ottica di riaccendere una fiammella, ma di iniziare un cammino, forse lunghissimo, per costruire, ricostruendo, una sinistra quale mai abbiamo avuto.

Ci auguriamo che di ciò si rendano conto quanti, comunisti o meno, vogliono ridare all’Italia una sinistra all’altezza della propria tradizione, del proprio nome e di quanto le compete a fronte dell’aspra crisi democratica che sta incistando l’Italia.

*) Ordinario Dottrine Politiche all'Università di Firenze, direttore dell'Istituto Storico della Resistenza in Toscana, già senatore della Repubblica nelle fila del PSI

venerdì 29 febbraio 2008

TURCI A PROPOSITO DEL "RIFORMISTA"

“Il cambiamento annunciato a il Riformista comporta la chiusura di una delle poche, anzi dell’unica, voce fra i quotidiani italiani impegnata sul fronte del socialismo liberaldemocratico”. Lo afferma il deputato del Partito socialista Lanfranco Turci. “E' un segno preoccupante della normalizzazione che si cercherà di imporre dopo le elezioni su un terreno di comune gradimento ai due partiti piglia tutto che si stanno costruendo nel corso di questa campagna elettorale: Pd e Pdl. E' una sferzata per tutte le forze socialiste, laiche e liberaldemocratiche – conclude l’esponente socialista - che ci impegna a moltiplicare gli sforzi in questa campagna elettorale e a pensare seriamente alla forza nuova del socialismo italiano che dovremo costruire dopo le elezioni, comunque esse vadano”.


Caro Turci, lasciaci ricordare che l'ADL, durante il ventennio, ha pubblicato l'Avanti! parigino di Nenni, Saragat e tant'altri. Non sarebbe la prima volta che l'Italia resta senza una voce specificamente socialista. Questo è il dato storico da cui partire nella necessaria riflessione. - La red dell'ADL

venerdì 22 febbraio 2008

Un punto di riferimento

di Andrea Ermano

Per l'Italia che ho lasciato per ragioni di studio io provo la stessa nostalgia di cui parla più sotto Renzo Balmelli in rapporto al sogno caraibico. Sono nato nella seconda metà degli anni Cinquanta. Sono cresciuto nel Belpaese ai tempi della "dolce vita" e ho fatto le scuole all'epoca del movimento operaio e studentesco. Risiedo all'estero da trent'anni. Non ho dovuto subire né la violenza degli "anni di piombo" né l'insostenibile leggerezza di quelli della "Milano da bere" né le vessazioni partitocratiche successive. Non ho interessi da difendere, se non ideali e affettivi. Come altri connazionali all'estero, seguo per passione civile le vicende del mio Paese. E adesso, in questo preciso istante, provo disagio perché penso alla prossima tornata elettorale, entrata nel tritacarne di forze scatenate e opache. Opache anche a sinistra, come mostra bene Felice Besostri nel seguito.

Mi metto nei panni dei miei concittadini in Italia, di chi si troverà a scegliere tra listoni bloccati e anche abbastanza eterogenei. Una gran maggioranza della Camera potrebbe andare al Pdl, contraddetta magari al Senato da una ingestibilità sempre in agguato se tutte le altre foze faranno dei buoni risultati a livello regionale, chi qua, chi là. Comunque sia, il responso delle urne volta verrà trattato anche questa nei palazzi del potere secondo prevalenti convenienze del potere. Sta lì a dimostrarlo il triste destino della laicità (che è la pari dignità dei cittadini "senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali"). Ma ben oltre questo tema scottante, il popolo di sinistra si chiede quale specifico ancoraggio al mondo del lavoro e alla dimensione politica europea venga "messo in programma" dalle tre forze politiche dell'ex centro-sinistra che, a quanto pare, non stipuleranno apparentamenti elettorali tra loro. Queste forze sono: 1) la galassia PD di Veltroni, 2) l'alleanza Arcobaleno di Bertinotti e 3) il piccolo Partito Socialista di Boselli.

L'unico orizzonte possibile per un'Italia cosmopolita è dato a sinsitra dalla famiglia socialista europea. E l'unica una forza politica a dirlo è a rischio di esclusione dal Parlamento. Forse, il Partito Socialista attendeva la graziosa concessione di qualcuno. Non è arrivata. E adesso il Partito Socialista si ritrova in gravi ambasce. Avrebbe fatto meglio ad ascoltare Spini quando proponeva il dialogo con Bertinotti sul "socialismo del XXI secolo"? Non necessariamente. Ma certo è che la Costituente socialista avrebbe potuto puntare a una semplice alleanza di sinistra, partendo dal valore comune della laicità. Così non è stato. Pazienza.

Qualche esponente dell'ex SDI lamenta di non avere ricevuto da Veltroni la stessa proposta avanzata invece a Di Pietro, il quale manterrà simboli e bandiere in campagna elettorale, avendo però assunto l'impegno solenne di entrare a far parte, insieme al PD, dello stesso gruppo nel nuovo Parlamento. Si tratta, come chiarisce Piero Fassino di un processo di confluenza politico-organizzativa del l'IDV nel PD. E' questo quel che vogliono i socialisti di Boselli? Chi reclama il simbolo della rosa rossa fino ad aprile per entrare poi nelle fila veltroniane a maggio, poteva farlo prima: come Benvenuto, Del Turco, Amato e altri autorevoli esponenti del vecchio Psi che sostengono il progetto di "riunire tutti i riformismi" sotto un unico tetto democrat.

Bella frase, quella dei riformismi. Ma che cosa significa se non si dice poi come ci si colloca rispetto al Socialismo Europeo, al Lavoro e al Vaticano? Fuor di Palazzo, nella realtà, tra gli adulti, si tratta di tre temi politicamente ineludibili. Ma in Italia forse non se ne parla con franchezza per ragioni tattiche. Forse nel nostro Paese questi tre temi stanno diventando se non proprio "tabù", quanto meno degli argomenti, come dire, "per adulti": da non diffondere in Tv durante le fasce protette. E Veltroni, leader politico molto attento alla cura del consenso, evita di affrontare questi temi in modo troppo spericolato. Lo si può comprendere. Ma intanto nulla è chiaro.

Quel che si dice non corrisponde molto né a quel che si pensa né a quel che si fa. Così vanno le cose oggi in Italia. E invece occorrebbe, soprattutto nel nostro Paese, una politica coerente per pensiero, programma e azione. Dopodiché può anche darsi che a tempo debito i rapporti con la famiglia del Socialismo Europeo, con il movimento operaio e sindacale e con la bulimia vaticana verranno ben definiti dal PD. Può darsi che ciò avverrà con generale soddisfazione di tutti o quasi, eccetto De Mita. Ma la coerenza è e resta un'altra cosa, soprattutto se e quando per le proprie idee e convinzioni c'è un prezzo da pagare.

Anche perciò la Costituente socialista, nonostante una rappresentanza parlamentare palesemente a rischio (soprattutto a causa di un sistema elettorale iniquo), resta a nostro giudizio un fondamentale punto di riferimento politico per il nostro Paese.