venerdì 24 aprile 2009

TERREMOTO IN ABRUZZO

Mentre in Italia e nel mondo si raccolgono fondi il governo butta via i soldi !

di Dino Nardi *)

Con il terribile terremoto dell'Abruzzo vi sono state quasi 300 vittime e ingenti danni materiali che per il ministro Maroni ammontano a circa 12 miliardi di euro. Oltre che in Italia, anche in Svizzera e nel resto del mondo si stanno organizzando centinaia di iniziative dell’associazionismo italiano, dei Comites e del Cgie per raccogliere fondi a favore dei terremotati.

    Paradossalmente, mentre siamo in presenza di una solidarietà mondiale nei confronti della popolazione abruzzese colpita dal sisma, il governo Berlusconi ha deciso di non voler inserire il referendum nell’election day del 7 giugno. Una vera e propria assurdità poiché significa buttar via oltre 400 milioni di euro solo per soddisfare l'egoismo politico-elettorale della Lega Nord e mettere la maggioranza di centrodestra al riparo da eventuali ritorsioni del partito di Bossi. Oltre tutto in presenza di una situazione finanziaria dello Stato italiano già drammatica ed oggi ancor più grave dopo la notizia diffusa dalla Banca d'Italia secondo cui, a febbraio, il gettito tributario è diminuito del 9,6% rispetto allo stesso mese del 2008 e del 7,2% rispetto al mese precedente.

    Credo che anche noi che viviamo all’estero, e che stiamo duramente pagando per i tagli apportati dalla Legge Finanziaria 2009 alle politiche per gli italiani all’estero, si debba far sentire la nostra più vibrante protesta contro questo spreco di denaro pubblico!

*) Comitato di presidenza del CGIE

mercoledì 15 aprile 2009

Terremoto

di Andrea Ermano
Duecentocinque bare. Una bara. Un'altra bara sovrapposta a essa. Più piccola della prima. Colorata di bianco. Espone un giocattolo, il modellino di un motociclista rosso a cavallo del suo sfavillante bolide blu. L'immagine è ripresa dalle televisioni di mezzo mondo durante la messa funebre per le vittime del terremoto negli Abruzzi.

Mi viene in mente un frammento di Eraclito, antico sapiente greco, il quale diceva: "L'eternità è un bambino che gioca...".

L'eternità...
Ai tempi d'Eraclito c'era il tempo misurabile dall'orologio solare o dalla clessidra. Questo tempo loro lo chiamavano chrònos e stava a indicare una breve durata: il giorno, l'ora, un adesso in rapporto ad altri "adesso" venuti prima o che verranno dopo.

C'era poi il kairòs, l'istante decisivo. Ed era il tempo in cui qualcuno aveva una scelta da compiere, che come ogni scelta implicava un grado più o meno grande di drammaticità.

Il giorno, l'ora e l'adesso forse più drammatici di tutta la mia esistenza mi capitò di viverli da ragazzo. Fu nel maggio del 1976. Il commissario straordinario del Friuli terremotato decise e comandò che si cessasse di lì in poi la ricerca disperata dei morti, decise e comandò che si radessero al suolo gli edifici ancora pericolanti, decise e comandò che con la calce viva si seppellissero i cadaveri rimasti sotto le rovine.

Nel giorno della calce viva, nell'ora e nell'adesso della calce viva, fummo presi tutti da una tristezza indicibile. E da una grandissima compassione.

Oggi quel sentimento si rinnova di fronte alle distruzioni e ai lutti subiti dal popolo abruzzese.
Ricordo che in Friuli, prima della calce viva, era stata una corsa contro il tempo, fin dentro le macerie, alla ricerca dei morti.

Sulla piana di Gemona, l'ultimo corpo che ritrovammo, tra le rovine di una fabbrica, fu un operaio. Era rimasto ucciso la notte del terremoto sotto un cordolo di cemento armato a sezione quadra. Per tirarlo fuori di lì dovemmo in parte traslare e in parte rimuovere l'asse di calcestruzzo.

Poiché in quell'anfiteatro di rovine i caterpillar avrebbero provocato disastri ulteriori, la liberazione del povero corpo morto comportava un lavoro lungo. Nel compiere il quale, bisognava darsi frequentemente il cambio. Non potevi indugiare nei pressi di strutture pericolanti. Le scosse si susseguivano a ritmo pazzesco. Rischiavi di finire sotto un'addizionale di macerie.

Soprattutto, non riuscivamo a sopportare l'odore della putrefazione. Evidentemente, nella natura dei nostri nasi ginnasiasti, qualcosa si ribellava a che qualcuno potesse morire di quella morte violenta e improvvisa. Forse anche nell'insofferenza olfattiva abitava una sussultante forma di pietà.

Invece non ricordo in me alcuno spreco di riflessione all'idea che un giorno o l'altro anch'io sarei stato (e resto) fatalmente destinato a finire sotto terra.

Non ci pensavo proprio.
Il tempo della vita, quando hai vent'anni, sembra coincidere con l'eternità.
Già, l'eternità...
I greci la chiamavano aion, originariamente aiwon, parola apparentata col latino aevum e con il nostro "evo", che significa: lunga durata conchiusa.

La mente umana colloca l'eternità al vertice di questa nozione. Una durata chiusa a forma di cerchio e dunque infinita. Ma l'immagine alla radice dell'eternità è il tempo della nostra vita: una "lunga durata" che in realtà si rivela piuttosto breve, per via della morte.

Ma, appunto, l'eternità è il "tempo della vita" concepito senza la morte.
Pensare la vita senza la morte. Come in una partita a scacchi nella quale aggiungi e togli alfieri, torri, cavalli, re, regine e pedoni.

Metti la vita.
Togli la morte.
Un gioco?
Certo che è un gioco, ma ciò non sminuisce affatto né l'idea di eternità né quella puerile serietà nota sotto il nome di "teoria".

Giocare possiede qualcosa di veramente sovrano: "Il comando di un bambino", lo definiva Eraclito nel frammento dal quale ho preso le mosse e che adesso riporto in extenso: "L'eternità è un bambino che gioca con le pedine: è il comando di un bambino" (DK 22 B 52).

L'eternità è anche un bambino abruzzese che dal profondo di una piccola bara bianca ci comanda di volere con ogni nostra fibra l'esistenza di un luogo nel quale lui continui ancora a giocare felice: un luogo in cui "non vi sarà più la morte né lutto né lamento né affanno" (Ap 21.4).

Non vi sarà più la morte né lutto né lamento né affanno... Questo passo, tratto dall'Apocalisse di Giovanni, figurava nel messaggio di Papa Ratzinger per i terremotati d'Abruzzo. Esso rinvia a un futuro che si presenta come l'utopia di una vita "eterna" (non vi sarà più la morte), ma anche di una vita "beata" (né lutto né lamento né affanno).

Nel nostro continente, a partire dal terremoto di Lisbona, gli eventi tellurici producono una sorta di stato d'emergenza anche nella vita culturale inducendo i teologi a una sorta di mobilitazione generale nella quale si dà fondo alle riserve. E l'Apocalisse appartiene indubbiamente alle riserve più cospicue che la nostra cultura abbia prodotto.

In concomitanza con le grandi catastrofi naturali riemerge la questione della giustizia, della bontà e dell'esistenza stessa di Dio.

Lisbona, capitale del Portogallo, un paese allora fanaticamente cattolico, venne colpita il 1° novembre 1755 in coincidenza con l'importante festività religiosa di Ognissanti.

Il grande sommovimento tellurico provocò almeno 60 mila morti, ma il peccaminoso quartiere dell'Alfama venne risparmiato, mentre furono rase al suolo quasi tutte le più importanti chiese della città e un porto, chiamato Setubal, a trenta chilometri da Lisbona, s'inabissò.

"Dapprima s'udì provenire dalle viscere della terra un rombo come di tuono, subito dopo una violenta scossa abbatté gran parte della città", racconta il geologo scozzese Charels Lyell. "Il mare prima si ritirò, lasciando il molo e la riva a secco, con tutte le navi e le barche che vi erano ormeggiate, quindi tornò rombando, sollevandosi di quindici metri oltre il suo solito livello".

Distruzione di luoghi sacri. Morte di battezzati innocenti. Fenomeni naturali mostruosi,.. Che cosa si manifestò a Lisbona nel 1755? Fu collera divina o una semplice casualità? Il dilemma impegnò le menti eccelse di Voltaire, Kant e Goethe, come pure d'innumerevoli loro contemporanei.

Perché mai Dio aveva creato la Natura in modo tale da uccidere dei bimbi che nulla di male avevano fatto?
Errore tecnico?
Indifferenza?
Ira incontrollata?
Era quello un genere di domande, per altro inevitabili nell'orizzonte culturale europeo, atte a produrre la riemersione di antiche e profonde perplessità: "Dio o vuol togliere i mali e non può, oppure può e non vuole, ovvero non vuole né può, o infine vuole e può... Se vuole e può, il che solo si confà a Dio, da che cosa deriva allora l'esistenza dei mali e perché non li toglie?"

Mistero.
"Mistero" è un vocabolo d'etimologia incerta che significa suppergiù questo: ignoriamo la risposta, ma se anche ne conoscessimo i contenuti incontreremmo serie difficoltà nel tentare di dirli ad altri.

Il secolo del terremoto di Lisbona fu anche il Secolo dei Lumi. Epoca di grandi rivoluzioni. Anche il pensiero europeo ebbe le sue. Muovendo da quella "copernicana", Kant condusse a vittoria la rivoluzione "morale-pratica". E nello stato d'eccezione proiettato dal terremoto di Lisbona sullo speculum dello spirito europeo la ragion pratica conquistò il potere decretando che noi esseri umani non sapremmo che cosa dover fare se non cercassimo di darci una mano a vicenda. Almeno nelle disgrazie.

Ecco, su questo punto decisivo l'Italia di oggi sta dando, a quanto pare, buona prova di sé. L'Abruzzo di oggi è una regione moderna, affrancatasi da certe crudeltà belluine che si scatenarono nella Marsica dopo il sisma del 1915.

Oggi i soccorsi sono giunti rapidamente. Tantissime le persone che si sono impegnate, si stanno impegnando e continueranno ad impegnarsi nella gara della solidarietà. La gente abruzzese ha dimostrato, nel dolore, una grandissima, umanissima dignità. Sì, c'è ancora un barlume di speranza per il nostro Paese.

Bando perciò alle polemiche, almeno per ora. Ma il punto che segue va tenuto ben fermo. L'ira di Dio o l'indifferenza della Natura non hanno colpito solo vecchie chiese e altri monumenti d'inestimabile valore storico, architettonico e artistico. Sono crollati in Abruzzo anche edifici di recente costruzione, edifici soggetti cioè alle norme antisismiche. I quali sarebbero ancora in piedi se quelle norme fossero state rispettate e fatte rispettare. Invece quegli edifici sono caduti uccidendo delle persone.

Al di là delle responsabilità civili e penali che la magistratura avrà il compito di appurare, vero imputato è qui quel certo grigiore morale di cui si nutre nel nostro Paese una micro-illegalità diffusissima che consente di battezzare "cemento armato" la sabbia del mare.

Dobbiamo renderci conto che in quella sabbia di mare c'è molto Paese reale, la sua classe dirigente reale, il suo cattolicesimo reale, con la sua società civile reale. Se quella è sabbia assassina, allora tutti ne siamo un poco complici.

A fronte di ciò, il presidente Napolitano, saggiamente, onestamente, ha richiamato la necessità di condurre tutti, ma proprio tutti, "un esame di coscienza: non per battersi il petto, ma per vedere che cosa è indispensabile e urgente fare perché mai più ciò accada".

giovedì 9 aprile 2009

Undici settimane

Franceschini prefigura un accordo esterno con il PSE e poi va alla manifestazione della Cgil. 

di Andrea Ermano 

Mancano undici settimane al voto europeo. E non è dato conoscere il luogo esatto in cui andrà a collocarsi il PD nell'emisfero di Strasburgo. Il segretario Franceschini giura che nell'europarlamento i democrats rimarranno "uniti" e che non entreranno nel PSE ma che, insieme al PSE, confluiranno in un gruppo del tutto nuovo. Giura anche il plenipotenziario Fassino: "Abbiamo avviato con i socialisti europei un confronto sul percorso con cui costruire un gruppo nel quale siedano insieme gli eletti socialisti e gli eletti del PD".

    L'impressione a lume di naso è che qualcuno all'interno del PD abbia minacciato i solititi... Casini.
    Comunque, lasciateci dire (per una volta) che il problema è "ben altro".
    Il problema politico principale sta in un centro-sinistra ai minimi storici mentre la destra veleggia verso lidi insperati. E in questo quadro bene a fatto Dario Franceschini a rievocare la categoria del clerico-fascismo (coniata da Don Sturzo) per descrivere il rapporto tra la Curia e il Cavaliere.

    Sì, l'attuale situazione italiana tende al clerico-fascismo. Non di altro si può parlare quando le gerarchie vaticane benedicono un partito il cui leader viene eletto per acclamazione da una platea di seimila delegati plaudenti in standing ovation, un partito il cui leader ha di fatto nominato gli organi dirigenti interni, reclamando poi l'elezione diretta e un potere di fatto illimitato per il capo del governo, cioè per sé.

    Dopo tutto ciò, L'Osservatore Romano ha arditamente salutato la nascita del PDL berlusconiano come il partito "maggiormente in grado di esprimere i valori comuni degli italiani, tra i quali quelli cattolici sono una parte non secondaria".

    Benedetti superpoteri al governo... Mentre un certo prefetto prefigura l'apartheid sui mezzi pubblici di una certa città senza scatenare un doveroso mare d'indignazione... quanto meno nelle televisioni del premier...

    Ma, porca la miseria, nessun altro leader occidentale controlla tre-sei-nove catene televisive né detiene un potere di candidatura di fatto assoluto (tramite i listoni bloccati del cosiddetto "porcellum") né gode dell'unzione vaticana un tanto a miliardo.

     Noi siamo fermamente convinti che questo teatrino non può durare. Ma per intanto la situazione è quella che è. E perciò, non saremo certo qui a sottilizzare millimetricamente sulla collocazione del PD a Strasburgo. Speriamo solo che Rutelli non se li manovri tutti fuori dal quadro delle alleanze...

    Dopodiché, una chiarificazione anche su questo punto arriverà. Inevitabilmente. E allora, che sono, in fondo, undici settimane? Franceschini, si capisce, vuol evitare di fare altri regali elettorali al centro-destra, ma vuol evitare anche di fornire facili alibi ad alcuni ex della Margherita pronti forse a passare armi e bagagli con l'UDC dove molti per parte loro accarezzano forse l'ipotesi di riconciliarsi con il Cavaliere...

    Dati i tempi, ci contentiamo di poco. L'ora della riscossa non può essere molto lontana. Ieri, per essere lieti ci è bastato vedere Dario Franceschini con Guglielmo Epifani al corteo della Cgil. Ma domani? Ci sarà battaglia, domani? La battaglia di domani, come diceva Aristotele, è una "contingenza futura" che c'interpella, ma senza certezze. Perché forse domani non ci sarà battaglia. O forse sì.