lunedì 13 ottobre 2014

La proprietà del potere

 
di Andrea Ermano
 
"Che i re filosofeggino o i filosofi diventino re non è da attendersi e neppure da desiderarsi, poiché la proprietà del potere corrompe inevitabilmente il libero giudizio della ragione". Questo celebre passo kantiano, risalente al saggio Per la pace perpetua (1795), mi è stato gentilmente segnalato da una lettrice in merito all'editoriale della scorsa settimana nel quale sostenevo che l'orizzonte della politica è intrinsecamente filosofico e il fine della filosofia complessivamente politico.
    Le parole di Kant mettono a fuoco un'armonia discordante tra queste due dimensioni assiali della nostra civiltà, dimensioni che non sembrano riuscire a rapportarsi l'una all'altra senza produrre paradossi.
    La necessità del rapporto è evidente, quanto meno in senso moderno, poiché una decisione politica deve presupporre il consenso dei cittadini, deve fondarsi su buone ragioni di carattere generale, deverispettare i diritti umani. Ecco, dunque, i limiti posti dalla filosofia alla politica: legittimità, universalità e dignità. Limiti tutt'altro che "astratti", dato che – quando un potere si colloca in modo sostanziale al di fuori di questi limiti – esso tende poi, regolarmente, a esplodere o implodere in tempi abbastanza rapidi.
    Qui, però si manifesta un'implicazione paradossale per la filosofia. Essa consiste nell'impossibilità programmatica di conoscere con esattezza i limiti – di legittimità, di universalità e di dignità – che la filosofia stessa indica alla politica affinché non esploda e non imploda. Il paradosso sta nel fatto che la filosofia è convinta che i Limiti della Legge esistano, ma ritiene impossibile "possedere" una volta per tutte, in modo fermo e stabile, un Sapere di quei Limiti. Eppure i Limiti della Legge, come recita l'Antigone di Sofocle, stanno lì "non certo da oggi né da ieri, ma sempre / essi vivono, e nessuno sa donde si manifestino".
    Dunque, la filosofia, non potendo conoscere i Limiti della Legge, si limita a cercarli. Ed è anche perciò che non si chiama "Sapere", ma "Amore del Sapere" (philo-sophia): Amore di un Sapere dei Limiti della Legge che è anche, forse, una speranza di riuscire a riconoscerliallorquando essi ritornino a manifestarsi.
 
 
Amore del Sapere dei Limiti della Legge… Un Amore molto speciale, al quale si addice tuttavia la definizione che Jaques Lacan fornisce dell'amore in generale: "L'amore consiste nel donare quel che uno non ha a qualcuno che non lo vuole".
    Già, perché, in effetti, il potere non vuole affatto questo dono filosofico, anzi odia tutti i limiti, che vive come altrettanti dissidenti da isolare ed eliminare. A maggior ragione tende perciò ad abbattere i Limiti della Legge, o a sospenderli, o a spostarli più in là, o quanto meno ad aggirarli. In sé il potere vuole solo assecondare il proprio insaziabile desiderio d'infinito fino al culmine iperbolico dello scatenamento e della catastrofe successiva.
    Insomma, il potere ha un tipico decorso maniaco-depressivo. È un eterno ritorno di entusiasmi e disastri. E ci sarebbe da ridere, se non ci fosse da piangere, trattandosi ormai di una ciclotimia gigantesca che sta aggredendo irreversibilmente il nostro habitat su scala globale.
    Ma noi, come nel film di Abel Ferrara 4:44 Last Day on Earth, sembriamo attendere che "la fine di tutte le cose" arrivi quieta e netta, di primissima mattina, senza eccessivi rompimenti di scatole, accompagnata solo da qualche comprensibile baruffa laggiù in strada mentre i nostri loft risuonano di trasmissioni televisive che sfumano pacatamente nel nulla.
    Ed ecco allora il paradosso della politica: disegni di legge, decretazioni munite dei requisiti di gravità e urgenza, emergenze a manovella, missioni di "pace" di qua e di là, stati d'assedio e d'eccezione… Ma, di grazia, a che serve codesto "decisionismo", se costantemente veniamo sequestrati da eventi che la politica insegue e rincorre a perdifiato senz'alcun costrutto di fatto e nemmeno di diritto?
    Qualcuno mai ha celebrato un referendum sui motori a scoppio, sui carburanti fossili o, almeno, sui materiali fissili?
    Non ce n'è bisogno, la devastazione planetaria è un plebiscito che si rinnova ogni giorno.
    Eppure, sciogliendosi i ghiacciai e salendo il livello del mare, ci troveremo inevitabilmente a fare i conti con situazioni perturbanti.
    Come governare allora sette-otto miliardi d'individui perturbati?
    Sarà possibile governarli tutti senza il loro consenso, la loro collaborazione, la loro cooperazione attiva?
    Sì, in effetti, sommessamente, noi attendiamo di conoscere delle proposte su come governarli tutti.
    Li minacciamo a mano armata?
    Li sediamo, o aizziamo, con l'ipnosi?
    Gli spalmiamo addosso ulteriori triliardate di derivati finanziari?
    A buon diritto attendiamo proposte su ciò. Tra l'altro anche perché "loro", in ultima analisi, siamo "noi".
  
 
Giunti sin qui, mi viene in mente il seguente passo, tratto da La Repubblica di Platone 'riscritta' da Alain Badiou:
    «"Ma non desideriamo noi che gli abitanti del Paese di cui stiamo immaginando il destino... abbiano tutti tutte le qualità dell'indole filosofica? Perché a loro e solo a loro, a tutti loro, ai nostri amici del grande popolo, dovremo affidare gli incarichi richiesti per l'organizzazione di una vita collettiva finalmente liberata, finalmente degna dell'Idea che l'umanità possa costruire se stessa al di là delle semplici costrizioni della propria sopravvivenza".
   "Che tutti siano filosofi?!".
    "Tutti senza eccezione", dice Socrate a bassa voce. "Sì, senza nessuna eccezione".»