lunedì 21 dicembre 2009

La notizia della settimana

       
Editoriale 

La notizia della settimana
 
di Andrea Ermano

La violenta aggressione ai danni di Silvio Berlusconi è un fatto grave, non meno delle rudimentali bombe rinvenute all'Università Bocconi e a Gradisca. Fatti che rappresentano per l'Italia un doppio segnale.

    In primo luogo essi sono il segnale di un clima politico surriscaldato. Troppe "spallate", troppe ronde, troppi sgomberi xenofobi, insulti istituzionali, discorsi sulla guerra civile che rimbalzano da un palazzo all'altro. Parla di guerra civile Berlusconi, parla di guerra civile Buttiglione. E nel Palazzo probabilmente si pensa che sarebbe ora di chiudere con le allegre mascherate e le escort e le corna e il cucù e le battute stonate.

    Ma poi l'Italia è un paese un po' così, ciclotimico, con fasi carnevalesche, fasi quaresimali e fasi di crisi d'ordine, a un ritmo di tre o quattro lustri l'una dall'altra. In alternativa alla forzatura post-democratica cui visibilmente tendono alcuni pezzi della destra ci sarebbe il passo indietro del premier, come chiedono a gran voce gli oppositori del "No B Day".

    Alcuni esponenti politici moderati, come Pierferdinando Casini, temono che si scivoli verso elezioni anticipate e stravolgimenti costituzionali. Il discorso del premier a Piazza del Duomo, poco prima della folle aggressione, sembrava invece indicare piuttosto una volontà di moderazione: "Niente elezioni anticipate", "State sereni".

    Vabbe', stiamo sereni. In fondo è Natale, e non possiamo non desiderare un po' di pace per tutte le donne e tutti gli uomini di buona volontà.

    Dopodiché, il mondo non sembra appassionarsi alle italiche baruffe. Fortunatamente o sfortunatamente, a seconda dei punti di vista, la notizia della settimana viene da Copenaghen, dal summit sul clima. Al Gore avverte che l'allarme è molto serio e nessuno che ricordi dov'erano i ghiacciai trent'anni fa, dubita del referto scientifico sul surriscaldamento. Eppure il summit di Copenaghen, quanto meno nel momento in cui scriviamo, non sembra approdato a un accordo. Le agenzie titolano ormai dai ieri che si teme il nulla di fatto, a causa di interessi economici e nazionali combinati.

    Sappiamo bene che se c'è il surriscaldamento per causa delle emissioni di CO2 allora possono conseguirne effetti importanti sul pianeta sul quale abitiamo. E sappiamo bene che la "carbonizzazione" dell'atmosfera è collegata al modello economico imperante. Lo scrive anche Carlo d'Inghilterra sulla Stampa e Le Monde: "Mi pare si debba adottare un nuovo approccio, partendo dal mondo com'è davvero". Ma allora, prosegue Carlo, bisogna accettare "il fatto che l'economia dipende dalla natura e non viceversa. Dopotutto la natura costituisce il capitale su cui si fonda il capitalismo".

    Dunque, il capitalismo trasforma la natura in ricchezza, ma si fonda su una ricchezza, il capitale, che è materialmente e sostanzialmente "natura". Ah, quante volte, nelle nostre riunioni di gioventù, rossa e infuocata, ce lo siamo detti e ridetti. E chissà che cosa faceva il principe del Galles a quei tempi.

    Fa piacere trovarsi tutti d'accordo, a una certa età. Ben scavato, vecchio Carlo!
    Forse bisognerebbe aggiungere che quando si parla di capitale, ci sarebbe di mezzo non solo la natura, ma anche il lavoro, l'umanità che suda sotto il bello e il cattivo tempo.

    Insomma, esiste la natura, ma anche la storia, che è anche storia del sudore.
    Ma a parte questo dettaglio, si può dire che questa questione di cui parliamo quando parliamo di surriscaldamento climatico è una questione politica globale che ci investe non solo nelle nostre economie e nelle nostre culture, ma anche nella nostra stessa personalità e nella nostra mentalià.

     Il futuro che ci attende, e che nessuno conosce, si annuncia nel segno di una grande trasformazione, che avrà comunque luogo. Noi ci auguriamo che essa possa avvenire come prodotto benigno del nostro lavoro. In questa prospettiva ciascun soggetto – individuale, collettivo, statuale o transnazionale – avrà di che interrogarsi circa il proprio essere ed agire.

    Da noi una sola domanda: c'è in giro un folle così folle da pensare che la trasformazione cosmopolitica che verrà, se verrà, possa essere pensata e costruita senza, o contro, la maggioranza degli esseri umani, cioè senza le lavoratrici e i lavoratori?

    Workers of all countries unite!
    E anche qui non possiamo non ribadire l'auspicio di un po' di pace a tutte le donne e a tutti gli uomini di buona volontà.

Poscritto - Alcuni motivi di fondo qui sopra esposti mi si sono chiariti per la prima volta qualche tempo fa nel corso di una "due giorni" indimenticabile di conferenze e colloqui tra Lugano e Varese con

Dario Robbiani (Novazzano 1939 - Lugano 2009), un gigante del giornalismo e del socialismo di lingua italiana in Svizzera che ci ha lasciati e al quale desidero dedicare anch'io un mio personale e affettuoso pensiero, con riconoscenza.    

venerdì 11 dicembre 2009

Interlocuzioni al plastico

Cosa Nostra nel "biennio orribile" 1992-1993 ha condotto una sorta di interlocuzione al plastico volta a condizionare la transizione dalla Prima alla Seconda repubblica.

Non è dato ancora sapere quali fossero i "soggetti" e quali i "progetti"cui la catena  di efferati delitti rispondeva, ma la logica in cui s'inquadra è quella "Strategia della tensione" che ebbe inizio il 12 dicembre di quarant'anni fa con la Strage di Piazza Fontana.

di Andrea Ermano

Sentir dire che il Presidente del Consiglio della sesta o settima potenza industriale sarebbe il mandante di alcune stragi compiute nel suo stesso Paese dalla criminalità organizzata? È normale questo?

    La tesi di cui sopra viene da tempo adombrata dall'europarlamentare Giuseppe De Magistris e dal giornalista di Repubblica Giuseppe D'Avanzo. Ma non si tratta di semplici illazioni. Qualche giorno fa sono filtrate registrazioni nelle quali il Presidente della Camera riportava le cose di cui sopra, definendole "un'atomica". Poi è venuta la volta di Gaspare Spatuzza, che ha ribadito in tribunale le cose di cui sopra in qualità di pentito e testimone. Infine il vecchio giornalista Lino Jannuzzi ha ricordato come già il boss Salvatore Cancemi avesse dichiarato le cose di cui sopra un bel po' di anni fa, anch'egli di fronte ai giudici.

    Insomma, serpeggia in Italia la leggenda nera secondo cui Silvio Berlusconi e il suo fido compagno Marcello Dell'Utri sarebbero "i responsabili delle stragi" compiute dal braccio terroristico di Cosa Nostra nel biennio 1992-1993.

    Sapevamo finora che dietro alla sequela di attentati c'era una qualche mafia. Ma per quale ragione mai Cosa Nostra potrebbe aver avuto interesse a una seconda "Strategia della tensione"?

    Ecco due risposte ipotetiche.
    prima ipotesi - Una prima ipotesi consiste nel vedere l'organizzazione mafiosa come struttura tecnicamente in grado di realizzare attentati e perciò prescelta in vista di una seconda "Strategia della tensione". Manovalanza sanguinaria che serviva non a destabilizzare ma a ri-stabilizzare il sistema (in analogia con la prima "Strategia della tensione") evitando cioè che il crollo della Prima repubblica approdasse a esiti inaccettabili per il vecchio blocco di potere.

    seconda ipotesi - Una seconda ipotesi consiste nel vedere Cosa Nostra come soggetto autonomo che, nel caos di fine repubblica, decide per propria iniziativa di condizionare la politica, e ciò per regolare dei vecchi conti, ma anche affinché, nella "transizione", si evitino approdi inaccettabili in rapporto agli interessi consolidati della "borghesia mafiosa".

    La differenza tra le due ipotesi, che non si distinguono molto rispetto allo scopo finale (condizionare le dinamiche politiche della "transizione"), starebbe dunque nel "soggetto" che decide di sollecitare e fare spazio a interlocutori "ragionevoli", capaci di "salvare" il Paese dai "comunisti" ante portas.

    Nella prima ipotesi il "soggetto" coinciderebbe con un aggregato di poteri forti e deviati: una vecchia conoscenza, che fa nuovamente parlare di sé, nel quarantennale di Piazza Fontana.

    Nella seconda ipotesi il "soggetto" starebbe più semplicemente in una qualche "cupola" vittima di furore megalomane.

    Lo stato dell'arte, per quel che si sa, è da riassumersi così: 1) La "cupola corleonese" per bocca di Riina giura la propria estraneità ai fatti. 2) Alla "famiglia palermitana" dei fratelli Graviano appartiene il pentito Gaspare Spatuzza che sostanzialmente accusa Berlusconi e Dell'Utri di avere promosso delle stragi con "morti che non ci appartengono". 3) Il figlio di Ciancimino, ex sindaco Dc di Palermo, afferma che, parallelamente alle stragi, ebbe luogo una trattativa tra Stato e Cosa Nostra. 4) L'esistenza di una "trattativa" viene confermata dal procuratore nazionale Piero Grasso dinanzi alla Commissione parlamentare antimafia.    

    Allo stato attuale dei fatti si sarebbe portati a ritenere attendibile la seconda ipotesi. Dell'Utri e Berlusconi avrebbero cioè lanciato in pista la loro "Forza Italia" per corrispondere a un accordo di sistema nel quale il nuovo partito doveva garantire il blocco di potere conservatore. In questo disegno politico vagamente craxiano può essersi inserito a un certo punto il mondo sommerso, ma influente, che ruotava intorno all'andreottismo e al piduismo della Prima repubblica, facendo leva sugli interessi della "borghesia mafiosa".

    Per Berlusconi "scendere in campo" coincideva con i suoi interessi di imprenditore deciso a salvarsi da una spirale che minacciava di finir come nel caso di altri uomini d'affari coinvolti in Tangentopoli. Una serie di esplosioni gli ha, se non aperto, facilitato la "discesa", ma in un quadro di coincidenze, nel quale si inseriscono i contatti tra il boss Vittorio Mangano e Marcello Dell'Utri.

    Cucendo i dati in una prospettiva tutto sommato verosimile, parrebbe dunque che la mafia abbia condotto una sorta di "interlocuzione al plastico" nella transizione dalla prima alla seconda repubblica. Il che confermerebbe la "seconda ipotesi". E nella "seconda ipotesi" si muove il giornalista di Repubblica Giuseppe D'Avanzo quando scrive che le stragi e le bombe "sono tappe di una lucida e mirata progressione terroristica" volta a creare "un sistema politico più poroso agli interessi di Cosa Nostra, umiliata e sconfitta con la sentenza della Cassazione (1992) che rende definitive le condanne del primo grande processo alla mafia".

    Come credere allora alla "prima ipotesi", e cioè che Dell'Utri e Berlusconi si fossero messi invece a ordire stragi, loro stessi in veste di mandanti? 

    D'Avanzo prende le mosse dai socialisti che con Claudio Martelli "molto promisero e nulla mantennero". Sono loro l'obiettivo "che conduce a Roma, nel 1991, la créme dell'Anonima Assassini di Cosa Nostra. Nella Capitale sono Giuseppe Graviano, Matteo Messina Denaro, Vincenzo Sinacori. Hanno armi leggere. Devono uccidere Claudio Martelli (ministro di Giustizia), Giovanni Falcone (direttore degli Affari Penali), Maurizio Costanzo".
    Ma il disegno omicida ad armi leggere viene revocato, per essere riproposto in grande stile un anno dopo, con tecnica dirompente.

    Perché?
    Gaspare Spatuzza ritiene che, in quel momento, sia accaduto qualcosa: "Muta il progetto. Appaiono nuovi soggetti. Non sono ancora un partito politico, ma presto lo diventeranno", chiosa D'Avanzo.

    Quali "soggetti nuovi"? Quale "progetto mutato"? D'Avanzo considera "ingenuo" ritenere che Forza Italia nasca come "partito della mafia". Perché l'esistenza di punti di contatto tra la macchina politica e la macchina mafiosa non equivale a un'identità tra le due macchine. Del pari "ingenuo" sarebbe credere che la nascita di un nuovo partito "incubi in un vuoto" cioè semplicemente nell'avvitamento della Prima Repubblica.

    In realtà, l'avvitamento della Prima repubblica nasce dal simultaneo sfarinamento della DC e del PCI in atto a cavallo tra la fine degli anni Ottanta e l'inizio degli anni Novanta. Questo sfarinamento rischia di favorire l'unica classe dirigente alternativa disponibile sul mercato politico italiano, che era quella craxiana dei Martelli, Formica, Spini e De Michelis, sotto la leadership intellettuale di Giuliano Amato.

    L'opzione alternativa finisce sotto le macerie di Tangentopoli.
    Ma intanto s'avanza la "gioiosa macchina da guerra" di Achille Occhetto, trionfatore alle amministrative del 1993 con Sansa eletto sindaco a Genova, Cacciari a Venezia, Illy a Trieste, Rutelli a Roma, Bassolino a Napoli, Orlando a Palermo.

    Sarebbe questo lo scenario rispetto al quale erano state revocate le "armi leggere" nella logica di un "progetto mutato"? Ma, allora, qual è l'ipotesi da seguire?

    In conclusione, restano per ora opache le ragioni non solo di ciò che avvenne in quell'epoca di cosiddetta transizione, ma anche i motivi di quel che sta succedendo adesso, sotto i nostri occhi. E però senza dubbio non accade spesso di sentir dire che il Presidente del Consiglio del tuo Paese sarebbe un mandante di stragi "terroristico-mafiose". Nel quarantesimo anniversario dalla Strage di Piazza Fontana.  

Interlocuzioni al plastico

Cosa Nostra nel "biennio orribile" 1992-1993 ha condotto una sorta di interlocuzione al plastico volta a condizionare la transizione dalla Prima alla Seconda repubblica.

Non è dato ancora sapere quali fossero i "soggetti" e quali i "progetti"cui la catena  di efferati delitti rispondeva, ma la logica in cui s'inquadra è quella "Strategia della tensione" che ebbe inizio il 12 dicembre di quarant'anni fa con la Strage di Piazza Fontana.

di Andrea Ermano

Sentir dire che il Presidente del Consiglio della sesta o settima potenza industriale sarebbe il mandante di alcune stragi compiute nel suo stesso Paese dalla criminalità organizzata? È normale questo?

    La tesi di cui sopra viene da tempo adombrata dall'europarlamentare Giuseppe De Magistris e dal giornalista di Repubblica Giuseppe D'Avanzo. Ma non si tratta di semplici illazioni. Qualche giorno fa sono filtrate registrazioni nelle quali il Presidente della Camera riportava le cose di cui sopra, definendole "un'atomica". Poi è venuta la volta di Gaspare Spatuzza, che ha ribadito in tribunale le cose di cui sopra in qualità di pentito e testimone. Infine il vecchio giornalista Lino Jannuzzi ha ricordato come già il boss Salvatore Cancemi avesse dichiarato le cose di cui sopra un bel po' di anni fa, anch'egli di fronte ai giudici.

    Insomma, serpeggia in Italia la leggenda nera secondo cui Silvio Berlusconi e il suo fido compagno Marcello Dell'Utri sarebbero "i responsabili delle stragi" compiute dal braccio terroristico di Cosa Nostra nel biennio 1992-1993.

    Sapevamo finora che dietro alla sequela di attentati c'era una qualche mafia. Ma per quale ragione mai Cosa Nostra potrebbe aver avuto interesse a una seconda "Strategia della tensione"?

    Ecco due risposte ipotetiche.
    prima ipotesi - Una prima ipotesi consiste nel vedere l'organizzazione mafiosa come struttura tecnicamente in grado di realizzare attentati e perciò prescelta in vista di una seconda "Strategia della tensione". Manovalanza sanguinaria che serviva non a destabilizzare ma a ri-stabilizzare il sistema (in analogia con la prima "Strategia della tensione") evitando cioè che il crollo della Prima repubblica approdasse a esiti inaccettabili per il vecchio blocco di potere.

    seconda ipotesi - Una seconda ipotesi consiste nel vedere Cosa Nostra come soggetto autonomo che, nel caos di fine repubblica, decide per propria iniziativa di condizionare la politica, e ciò per regolare dei vecchi conti, ma anche affinché, nella "transizione", si evitino approdi inaccettabili in rapporto agli interessi consolidati della "borghesia mafiosa".

    La differenza tra le due ipotesi, che non si distinguono molto rispetto allo scopo finale (condizionare le dinamiche politiche della "transizione"), starebbe dunque nel "soggetto" che decide di sollecitare e fare spazio a interlocutori "ragionevoli", capaci di "salvare" il Paese dai "comunisti" ante portas.

    Nella prima ipotesi il "soggetto" coinciderebbe con un aggregato di poteri forti e deviati: una vecchia conoscenza, che fa nuovamente parlare di sé, nel quarantennale di Piazza Fontana.

    Nella seconda ipotesi il "soggetto" starebbe più semplicemente in una qualche "cupola" vittima di furore megalomane.

    Lo stato dell'arte, per quel che si sa, è da riassumersi così: 1) La "cupola corleonese" per bocca di Riina giura la propria estraneità ai fatti. 2) Alla "famiglia palermitana" dei fratelli Graviano appartiene il pentito Gaspare Spatuzza che sostanzialmente accusa Berlusconi e Dell'Utri di avere promosso delle stragi con "morti che non ci appartengono". 3) Il figlio di Ciancimino, ex sindaco Dc di Palermo, afferma che, parallelamente alle stragi, ebbe luogo una trattativa tra Stato e Cosa Nostra. 4) L'esistenza di una "trattativa" viene confermata dal procuratore nazionale Piero Grasso dinanzi alla Commissione parlamentare antimafia.    

    Allo stato attuale dei fatti si sarebbe portati a ritenere attendibile la seconda ipotesi. Dell'Utri e Berlusconi avrebbero cioè lanciato in pista la loro "Forza Italia" per corrispondere a un accordo di sistema nel quale il nuovo partito doveva garantire il blocco di potere conservatore. In questo disegno politico vagamente craxiano può essersi inserito a un certo punto il mondo sommerso, ma influente, che ruotava intorno all'andreottismo e al piduismo della Prima repubblica, facendo leva sugli interessi della "borghesia mafiosa".

    Per Berlusconi "scendere in campo" coincideva con i suoi interessi di imprenditore deciso a salvarsi da una spirale che minacciava di finir come nel caso di altri uomini d'affari coinvolti in Tangentopoli. Una serie di esplosioni gli ha, se non aperto, facilitato la "discesa", ma in un quadro di coincidenze, nel quale si inseriscono i contatti tra il boss Vittorio Mangano e Marcello Dell'Utri.

    Cucendo i dati in una prospettiva tutto sommato verosimile, parrebbe dunque che la mafia abbia condotto una sorta di "interlocuzione al plastico" nella transizione dalla prima alla seconda repubblica. Il che confermerebbe la "seconda ipotesi". E nella "seconda ipotesi" si muove il giornalista di Repubblica Giuseppe D'Avanzo quando scrive che le stragi e le bombe "sono tappe di una lucida e mirata progressione terroristica" volta a creare "un sistema politico più poroso agli interessi di Cosa Nostra, umiliata e sconfitta con la sentenza della Cassazione (1992) che rende definitive le condanne del primo grande processo alla mafia".

    Come credere allora alla "prima ipotesi", e cioè che Dell'Utri e Berlusconi si fossero messi invece a ordire stragi, loro stessi in veste di mandanti? 

    D'Avanzo prende le mosse dai socialisti che con Claudio Martelli "molto promisero e nulla mantennero". Sono loro l'obiettivo "che conduce a Roma, nel 1991, la créme dell'Anonima Assassini di Cosa Nostra. Nella Capitale sono Giuseppe Graviano, Matteo Messina Denaro, Vincenzo Sinacori. Hanno armi leggere. Devono uccidere Claudio Martelli (ministro di Giustizia), Giovanni Falcone (direttore degli Affari Penali), Maurizio Costanzo".
    Ma il disegno omicida ad armi leggere viene revocato, per essere riproposto in grande stile un anno dopo, con tecnica dirompente.

    Perché?
    Gaspare Spatuzza ritiene che, in quel momento, sia accaduto qualcosa: "Muta il progetto. Appaiono nuovi soggetti. Non sono ancora un partito politico, ma presto lo diventeranno", chiosa D'Avanzo.

    Quali "soggetti nuovi"? Quale "progetto mutato"? D'Avanzo considera "ingenuo" ritenere che Forza Italia nasca come "partito della mafia". Perché l'esistenza di punti di contatto tra la macchina politica e la macchina mafiosa non equivale a un'identità tra le due macchine. Del pari "ingenuo" sarebbe credere che la nascita di un nuovo partito "incubi in un vuoto" cioè semplicemente nell'avvitamento della Prima Repubblica.

    In realtà, l'avvitamento della Prima repubblica nasce dal simultaneo sfarinamento della DC e del PCI in atto a cavallo tra la fine degli anni Ottanta e l'inizio degli anni Novanta. Questo sfarinamento rischia di favorire l'unica classe dirigente alternativa disponibile sul mercato politico italiano, che era quella craxiana dei Martelli, Formica, Spini e De Michelis, sotto la leadership intellettuale di Giuliano Amato.

    L'opzione alternativa finisce sotto le macerie di Tangentopoli.
    Ma intanto s'avanza la "gioiosa macchina da guerra" di Achille Occhetto, trionfatore alle amministrative del 1993 con Sansa eletto sindaco a Genova, Cacciari a Venezia, Illy a Trieste, Rutelli a Roma, Bassolino a Napoli, Orlando a Palermo.

    Sarebbe questo lo scenario rispetto al quale erano state revocate le "armi leggere" nella logica di un "progetto mutato"? Ma, allora, qual è l'ipotesi da seguire?

    In conclusione, restano per ora opache le ragioni non solo di ciò che avvenne in quell'epoca di cosiddetta transizione, ma anche i motivi di quel che sta succedendo adesso, sotto i nostri occhi. E però senza dubbio non accade spesso di sentir dire che il Presidente del Consiglio del tuo Paese sarebbe un mandante di stragi "terroristico-mafiose". Nel quarantesimo anniversario dalla Strage di Piazza Fontana.  
       

domenica 6 dicembre 2009

La legge e il panorama

 
 
 
 
 
 
di Andrea Ermano

È necessario che il popolo combatta a difesa della

legge tanto quanto [combatte] a difesa delle mura.

Eraclito

Nelle nostre democrazie, ricche di politiche discriminatorie, la dignità dei migranti è violata in modo generale, sistematico e minuzioso, anche sul piano dei diritti d'opinione e associativi, e quindi infine anche sul piano del sentimento religioso. Qui vengono imposti crocifissi, là vengono proibiti minareti. La Lega plaude in Padania, il liberalismo si preoccupa in Elvezia, dimenticando che ha sempre svolto un ruolo d'avanguardia nella costruizione di una democrazia differenziale, la Svizzera: madre amorevole con i cittadini suoi, matrigna con gli stranieri. E su questa strada, come nell'antica Atene durante la transizione macedone verso l'impero, masse di lavoratori vengono di fatto escluse anche nelle nostre democrazie dal novero della cittadinanza.

    Ricordo un seminario del professor Hermann Luebbe sul tema "Regionalismo". Eravamo nella prima metà degli anni Ottanta e non sapevamo bene come si sarebbe potuto misurare, dentro la questione del "Regionalismo", un fenomeno allora nuovo, il fenomeno della destra localista e xenofoba. L'insigne filosofo ci spiegò che, per uscire dall'oscurità, occorreva focalizzare l'attenzione sulla categoria sociologica del "panorama". È nel rapporto tra il "panorama" e la "sua gente", infatti, che emergono in modo tangibile i connotati della cosiddetta "identità", complessa mescolanza fattizia di ideologia, autocomprensione e autoinganno, in base alla quale in una data regione c'è gente che si ritiene far parte della comunità locale e altra gente che viene invece considerata estranea. Riassunto della lezione numero uno: il "panorama" siamo anzitutto e prima di tutto "noi stessi" nel nostro piccolo mondo identitario.

    Tutto questo mi è tornato in mente alcuni giorni fa quando, in Vaticano, la sentenza di Strasburgo sui crocifissi è stata associata da alti prelati al pronunciamento del popolo svizzero contro i minareti: entrambe sarebbero espressioni di una deriva laicista che approda all'odio antireligioso. . . Se non che l'Alta Corte di Strasburgo, quella stessa che ha censurato l'imposizione dei crocifissi in Italia, verrà probabilmente chiamata a pronunciarsi sulla questione dei minareti in Svizzera. Ed è facile prevedere che Strasburgo condannerà l'islamofobia elvetica, come ha censurato l'omologazione clericale nel Belpaese. In tutta evidenza cozzano entrambe contro la libertà religiosa.

    Rispetto all'Alta Corte di Strasburgo, dunque, l'equazione vaticana ("No ai crocifissi nelle scuole italiane = No ai minareti tra le Alpi svizzere") appare del tutto estrinseca. Semmai il parallelo corre sulla linea del "panorama" come fattore identitario:  i crocifissi fanno parte del "panorama italiano", asserisce la destra nostrana in opposizione a Strasburgo, i minareti non fanno parte del "panorama alpino", fa eco la destra elvetica. Ed è dunque in nome del "panorama" che sarebbe vietato vietare i crocifissi, ma del pari sarebbe consentito vietare i minareti. Questo accade in linea di fatto. E va aggiunto che codeste constatazioni "panoramiche", tanto nel caso del crocifisso, quanto in quello dei minareti, posseggono in linea di fatto una loro plausibilità. Ma è consentito catapultare il dato di fatto sul piano del diritto?

    Secondo l'Alta Corte di Strasburgo non è consentito per nulla. Non lo è perché la pluralità dei culti e delle culture risponde al diritto di ciascuna persona. Non è lecito comprimere questa pluralità in nome di nessun "panorama" perché la dignità del singolo è intangibile. La "democrazia", non quella populista né quella differenziale, la democrazia come stato di diritto si fonda sull'idea della dignità, una dignità che si ritiene appartenere a ogni "nato di donna" in quanto persona dotata di cuore e coscienza, di volontà e intelligenza, di parola e ragione.

    La democrazia come "stato di diritto" non è semplicemente il notaio della maggioranza del popolo, ma anche tutela delle minoranze e di ciascun singolo. Per esempio, la democrazia come stato di diritto interviene affinché il ragazzo di pelle nera James Hood o la ragazza di pelle nera Vivian Malone possano accedere all'Università dell'Alabama al pari dei ragazzi di pelle bianca. Lo ricordava Furio Colombo: nel giugno del 1963 il governatore dell'Alabama, George Wallace, si mise platealmente di traverso per impedire a Vivian Malone e James Hood l'accesso nell'ateneo: "Me lo chiedono i miei elettori", disse. Il presidente Kennedy gli rispose al telefono che come governatore dell'Alabama doveva scegliere se lasciar entrare quei due ragazzi in Università oppure riprendersi la propria indipendenza uscire dagli Stati Uniti d'America. E Wallace cedette.

    Un sistema proporzionato alla dignità delle persone consiste nella convivenza di tutti regolata dalla legge, per tutti uguale e avversa ogni arbitrio, e fosse pure un arbitrio approvato all'unanimità dal Parlamento di Atalanta. La legge è sì stabilita dalla maggioranza, ma la validità delle norme dipende anche dall'intangibile dignità di ciascun singolo. E su questo limite perentorio, che non deve essere varcato da nessuna "maggioranza", vigilano in ultima istanza le alte corti, costituzionali e internazionali.

    Dicevamo, dunque, che all'Alta Corte di Strasburgo intendono rivolgersi le organizzazioni musulmane in Svizzera, che giudicano discriminatorio il "no ai minareti" pronunciato dalla maggioranza del popolo sovrano. Dicevamo che l'Alta Corte, verosimilmente, casserà il divieto svizzero di minareto come già ha cassato l'obbligo italiano di crocifisso. Ma che ne sarà allora del rapporto tra la "gente" e il suo "panorama"? Occorrerà che il diritto prevalga sulla brutalità del dato di fatto? Questa, secondo chi scrive, è l'unica soluzione, se si lavora alla pace tra le donne e gli uomini di buona volontà.

    Occorrerà allora che la Confederazione Elvetica revochi la deliberazione "panoramica" della maggioranza popolare contro i minareti. Ma allora non bisognerà che anche il popolo cattolico nostrano accetti la sentenza sul crocifisso? E non ne conseguirebbe infine che taluni leader religiosi debbano iniziare a porsi il problema delle sistematiche discriminazioni dentro le loro comunità?

    Nota bene: le violazioni ai diritti umani cui abbiamo accennato in queste righe accadono qui e ora, nel tempo presente, alle nostre latitudini, dentro ai nostri panorami, proprio accanto a noi, nelle città in cui noi stessi viviamo.