domenica 6 dicembre 2009

La legge e il panorama

 
 
 
 
 
 
di Andrea Ermano

È necessario che il popolo combatta a difesa della

legge tanto quanto [combatte] a difesa delle mura.

Eraclito

Nelle nostre democrazie, ricche di politiche discriminatorie, la dignità dei migranti è violata in modo generale, sistematico e minuzioso, anche sul piano dei diritti d'opinione e associativi, e quindi infine anche sul piano del sentimento religioso. Qui vengono imposti crocifissi, là vengono proibiti minareti. La Lega plaude in Padania, il liberalismo si preoccupa in Elvezia, dimenticando che ha sempre svolto un ruolo d'avanguardia nella costruizione di una democrazia differenziale, la Svizzera: madre amorevole con i cittadini suoi, matrigna con gli stranieri. E su questa strada, come nell'antica Atene durante la transizione macedone verso l'impero, masse di lavoratori vengono di fatto escluse anche nelle nostre democrazie dal novero della cittadinanza.

    Ricordo un seminario del professor Hermann Luebbe sul tema "Regionalismo". Eravamo nella prima metà degli anni Ottanta e non sapevamo bene come si sarebbe potuto misurare, dentro la questione del "Regionalismo", un fenomeno allora nuovo, il fenomeno della destra localista e xenofoba. L'insigne filosofo ci spiegò che, per uscire dall'oscurità, occorreva focalizzare l'attenzione sulla categoria sociologica del "panorama". È nel rapporto tra il "panorama" e la "sua gente", infatti, che emergono in modo tangibile i connotati della cosiddetta "identità", complessa mescolanza fattizia di ideologia, autocomprensione e autoinganno, in base alla quale in una data regione c'è gente che si ritiene far parte della comunità locale e altra gente che viene invece considerata estranea. Riassunto della lezione numero uno: il "panorama" siamo anzitutto e prima di tutto "noi stessi" nel nostro piccolo mondo identitario.

    Tutto questo mi è tornato in mente alcuni giorni fa quando, in Vaticano, la sentenza di Strasburgo sui crocifissi è stata associata da alti prelati al pronunciamento del popolo svizzero contro i minareti: entrambe sarebbero espressioni di una deriva laicista che approda all'odio antireligioso. . . Se non che l'Alta Corte di Strasburgo, quella stessa che ha censurato l'imposizione dei crocifissi in Italia, verrà probabilmente chiamata a pronunciarsi sulla questione dei minareti in Svizzera. Ed è facile prevedere che Strasburgo condannerà l'islamofobia elvetica, come ha censurato l'omologazione clericale nel Belpaese. In tutta evidenza cozzano entrambe contro la libertà religiosa.

    Rispetto all'Alta Corte di Strasburgo, dunque, l'equazione vaticana ("No ai crocifissi nelle scuole italiane = No ai minareti tra le Alpi svizzere") appare del tutto estrinseca. Semmai il parallelo corre sulla linea del "panorama" come fattore identitario:  i crocifissi fanno parte del "panorama italiano", asserisce la destra nostrana in opposizione a Strasburgo, i minareti non fanno parte del "panorama alpino", fa eco la destra elvetica. Ed è dunque in nome del "panorama" che sarebbe vietato vietare i crocifissi, ma del pari sarebbe consentito vietare i minareti. Questo accade in linea di fatto. E va aggiunto che codeste constatazioni "panoramiche", tanto nel caso del crocifisso, quanto in quello dei minareti, posseggono in linea di fatto una loro plausibilità. Ma è consentito catapultare il dato di fatto sul piano del diritto?

    Secondo l'Alta Corte di Strasburgo non è consentito per nulla. Non lo è perché la pluralità dei culti e delle culture risponde al diritto di ciascuna persona. Non è lecito comprimere questa pluralità in nome di nessun "panorama" perché la dignità del singolo è intangibile. La "democrazia", non quella populista né quella differenziale, la democrazia come stato di diritto si fonda sull'idea della dignità, una dignità che si ritiene appartenere a ogni "nato di donna" in quanto persona dotata di cuore e coscienza, di volontà e intelligenza, di parola e ragione.

    La democrazia come "stato di diritto" non è semplicemente il notaio della maggioranza del popolo, ma anche tutela delle minoranze e di ciascun singolo. Per esempio, la democrazia come stato di diritto interviene affinché il ragazzo di pelle nera James Hood o la ragazza di pelle nera Vivian Malone possano accedere all'Università dell'Alabama al pari dei ragazzi di pelle bianca. Lo ricordava Furio Colombo: nel giugno del 1963 il governatore dell'Alabama, George Wallace, si mise platealmente di traverso per impedire a Vivian Malone e James Hood l'accesso nell'ateneo: "Me lo chiedono i miei elettori", disse. Il presidente Kennedy gli rispose al telefono che come governatore dell'Alabama doveva scegliere se lasciar entrare quei due ragazzi in Università oppure riprendersi la propria indipendenza uscire dagli Stati Uniti d'America. E Wallace cedette.

    Un sistema proporzionato alla dignità delle persone consiste nella convivenza di tutti regolata dalla legge, per tutti uguale e avversa ogni arbitrio, e fosse pure un arbitrio approvato all'unanimità dal Parlamento di Atalanta. La legge è sì stabilita dalla maggioranza, ma la validità delle norme dipende anche dall'intangibile dignità di ciascun singolo. E su questo limite perentorio, che non deve essere varcato da nessuna "maggioranza", vigilano in ultima istanza le alte corti, costituzionali e internazionali.

    Dicevamo, dunque, che all'Alta Corte di Strasburgo intendono rivolgersi le organizzazioni musulmane in Svizzera, che giudicano discriminatorio il "no ai minareti" pronunciato dalla maggioranza del popolo sovrano. Dicevamo che l'Alta Corte, verosimilmente, casserà il divieto svizzero di minareto come già ha cassato l'obbligo italiano di crocifisso. Ma che ne sarà allora del rapporto tra la "gente" e il suo "panorama"? Occorrerà che il diritto prevalga sulla brutalità del dato di fatto? Questa, secondo chi scrive, è l'unica soluzione, se si lavora alla pace tra le donne e gli uomini di buona volontà.

    Occorrerà allora che la Confederazione Elvetica revochi la deliberazione "panoramica" della maggioranza popolare contro i minareti. Ma allora non bisognerà che anche il popolo cattolico nostrano accetti la sentenza sul crocifisso? E non ne conseguirebbe infine che taluni leader religiosi debbano iniziare a porsi il problema delle sistematiche discriminazioni dentro le loro comunità?

    Nota bene: le violazioni ai diritti umani cui abbiamo accennato in queste righe accadono qui e ora, nel tempo presente, alle nostre latitudini, dentro ai nostri panorami, proprio accanto a noi, nelle città in cui noi stessi viviamo.