martedì 19 novembre 2019

Ma dov’è finito il nostro “soft power”?

 Com'è che, a trent'anni dalla caduta del Muro di Berlino, l'Occidente 

ha perduto la sua capacità di attrarre i popoli al proprio modello di vita? 

 

di Andrea Ermano

 

Dai tempi della caduta del Muro di Berlino moltissima acqua è passata sotto i ponti. E non poca è passata per altro anche sopra i ponti, tracimando, allagando e inondando, come succede "ancora una volta per la prima volta" a Venezia e in altri luoghi del Belpaese (vai al sito di RaiNews sull'acqua alta a Venezia). La causa dell'ormai endemico dissesto idro-geologico italiano va sommandosi agli effetti del surriscaldamento climatico e a tutto il resto che si sa ma non si dice per carità di patria. 

    Ma torniamo al Muro di Berlino. Chi trent'anni fa ne ha vissuto in "presa diretta" la caduta non può dimenticare l'entusiasmo dei tedeschi dell'Est che ballavano la lambada sotto la Porta di Brandeburgo, sognando di potere sostituire già all'indomani la loro vecchia Trabant con una Ferrari nuova di zecca. L'allargamento a Est, sia in Germania che nell'intero continente, ha trovato il proprio asse più forte intorno all'industria automobilistica europea e non solo sul piano economico-sociale. Ma non tutto è filato liscio come negli spot delle Audi. Annota nelle sue Spigolature Renzo Balmelli: «All'indomani dei festeggiamenti si scopre che altri muri, altri reticolati, altri stati d'animo, altri spartiacque in chiave negativa, minacciano la cultura democratica dell'accoglienza e della solidarietà».

    Come siamo giunti a questo punto? E pensare che al politologo americano Francis Fukuyama la caduta del Muro sembrò confermare nella misura più evidente un mega-trend "epocale" segnato dal trionfo di sistema della liberaldemocrazia, considerata come la meta finale della Storia. La "fine della storia" cui, secondo Fukuyama, si era ormai approdati giungeva dopo il fallimento di tutti gli altri esperimenti politici, la monarchia, l'oligarchia e il totalitarismo. Proprio questi errori storici inducevano in seguito alla loro sconfitta i popoli della Terra ad abbracciare le forme statuali della democrazia liberale e quelle economiche del mercato capitalistico che si regola da sé. 

    Per oltre un decennio, fino al tragico 11 settembre 2001, credemmo tutti o quasi tutti all'inarrestabile progredire del "nuovo che avanza" e in generale del "nuovo ordine mondiale". Si registrò una notevole espansione della democrazia liberale in un crescendo economico-finanziaria detto "globalizzazione". In Italia si liquidò la "partitocrazia" della Prima Repubblica, si diede il via a una "lenzuolata" di liberalizzazioni e privatizzazioni, si indebolì ovunque possibile il ruolo dello stato, si sospese ogni forma di leva obbligatoria (mentre si sarebbe potuto sostituire quella militare con quella civile) e si intensificò progressivamente la presenza delle nostre forze armate in un novero sempre più ampio di teatri di guerra. 

 

A proposito di guerra, è proliferata in questi trent'anni una sequela di "presenze italiane" in una ventina di teatri bellici. Ovviamente i nostri "ragazzi" si distinguono ovunque per preparazione, umanità e intelligenza. Tutti i popoli del mondo, leggiamo sui giornali nazionali, sono molto lieti di ospitare truppe tricolori, fatta eccezione forse per la Libia. 

    Dopo trent'anni il libero mercato, che si è regolato da sé, ha prodotto tre conseguenze di enorme portata geo-politica: la Cina si predispone a riprendersi il suo ruolo tradizionale di "Impero di Mezzo", la situazione economico-finanziaria è "storicamente interessante" e il transfert di ricchezza dai ceti popolari ai super-paperoni ha assunto dimensioni mai viste nell'intera storia umana. 

    Dopo trent'anni di libero mercato autoregolato e di esportazione della democrazia liberale cresce il numero dei paesi in cui è in atto un'involuzione politica e culturale massiccia, sia all'interno dell'UE dove crescono le posizioni esplicitamente "non-liberali" (Orban, Le Pen, Salvini…), sia in molte altre parti del mondo tra cui per esempio nella vicina Turchia. 

    Quanto al Cremlino post-sovietico, dopo trent'anni di pressing strategico la nato si è espansa fino ai confini del territorio russo, con il rischio conseguente di spingere Putin tra le braccia di Xi Jinping. E questo non può fare bene all'Occidente, oggi alquanto disorientato e diviso. 

    Nel suo recente saggio Assedio all'Occidente il direttore della Stampa di Torino, Maurizio Molinari scrive: «Non c'è alcun dubbio sul fatto che la Repubblica Popolare Cinese sia un regime monopartito dal 1949 e la Federazione Russa sia nelle salde redini del partito di Putin dal 2000, ma ciò che colpisce è la volontà di esaltare queste forme di autocrazia al fine evidente di attestarne la superiorità rispetto al maggior rivale sulla scena globale: la democrazia rappresentativa dell'Occidente. Tanto più Europa e Stati Uniti hanno sistemi politici indeboliti, leader incerti e vulnerabili, parlamenti paralizzati e inefficaci, tanto più le maggiori autocrazie del pianeta puntano a sfruttare la comunicazione di massa per vantare la loro superiorità» (vai alla scheda del libro sul sito dell'editore).

    Una protagonista del passaggio di secolo, Madeleine Albright, prima donna a ricoprire negli USA la carica di Segretario di Stato (1997-2001), denuncia il fatto che oggi la destra radicale "è di nuovo di moda" in Occidente. Madeleine Albright ha pubblicato alcuni mesi fa un libro dal titolo piuttosto eloquente: Fascismo. Un avvertimento (vai alla scheda del libro sul sito dell'editore).

    In tema di "assedio all'Occidente" e di "seconda guerra fredda", che forse tanto fredda non è, tutti ricordano l'espressione "guerra mondiale a pezzi". Nel visitare il cimitero di guerra di Redipuglia – presso quella città di Gorizia "maledetta" per i macelli della Prima Guerra Mondiale e delle famigerate "battaglie dell'Isonzo" in cui perirono inutilmente decine e decine di migliaia di ragazzi – papa Bergoglio disse: «Dopo aver contemplato la bellezza del paesaggio di tutta questa zona, dove uomini e donne lavorano portando avanti le loro famiglie, dove i bambini giocano e gli anziani sognano, trovandomi qui, in questo luogo, trovo da dire soltanto: la guerra è una follia! (…) Oggi, dopo il secondo fallimento di una guerra mondiale, forse si può parlare di una terza guerra combattuta 'a pezzi' con crimini, massacri e distruzioni». 

 

Ma com'è che l'Occidente ha perduto quasi tutta la sua capacità di attrarre i popoli al proprio modello di vita? Com'è potuto accadere che ci si ritrovi ora in una sorta di sindrome weimariana globale?

    Le cause sono molte, ma per quel che concerne la "seconda guerra fredda" sul versante post-sovietico una voce critica si è distinta – durante le celebrazioni per il trentennale della caduta del Muro – la voce di Michail Gorbaciov: «Il processo di espansione verso est della Nato, iniziato pochi anni dopo che ho lasciato la presidenza dell'Urss (…) ha violato lo spirito degli accordi raggiunti durante la riunificazione della Germania, e minato la fiducia reciproca raggiunta» (vai al testo dell'intervista sul sito de "il manifesto").

    Su ciò possiamo citare lo storico israeliano Yuval Harari che riassume lo stato dell'arte come segue: «I russi possono sostenere a ragione che dopo le loro pacifiche ritirate alla fine degli anni ottanta e dei primi anni novanta sono stati trattati come un nemico sconfitto. Gli Stati Uniti e la nato hanno approfittato della debolezza dei russi e, nonostante la promessa di fare il contrario, hanno esteso la nato all'Europa orientale e perfino ad alcune ex repubbliche sovietiche. L'Occidente ha poi ignorato gli interessi russi in Medio Oriente, ha invaso la Serbia e l'Iraq con pretesti discutibili e in generale ha fatto capire alla Russia che poteva contare soltanto sulla sua forza militare per proteggere la sua sfera d'influenza dalle incursioni occidentali. In questo senso, per le recenti mosse militari russe, si possono rimproverare tanto Bill Clinton e George W. Bush quanto Vladimir Putin» (vai alla scheda del libro sul sito dell'editore).

    Oggi a ragion veduta ci domandiamo: non sarebbe stato meglio dare una mano all'allora Segretario generale del PCUS, come all'epoca era stato pur promesso dall'Occidente, affinché Gorbaciov fosse messo nelle condizioni di poter portare avanti le sue riforme, la Perestrojka e la Glasnost?

    Oggi Gorbaciov, alla domanda su quale fu il protagonista della caduta del Muro di Berlino, risponde con queste parole: «Quando voi giornalisti me lo chiedete rispondo sempre che il personaggio principale di quel periodo turbolento fu la gente. Non sminuisco il ruolo dei politici, è stato importante. Ma il ruolo principale è stato svolto dal popolo, da due popoli. I tedeschi, che risolutamente e, soprattutto, pacificamente espressero la loro volontà di riunirsi. E, naturalmente, i russi, che mostrarono comprensione per le aspirazioni dei tedeschi. Russi e tedeschi hanno il diritto di sentirsi orgogliosi di essere riusciti a incontrarsi dopo lo spargimento di sangue della Seconda guerra mondiale. Senza ciò, il governo sovietico non sarebbe stato in grado di agire come agì in quel momento».

    Nel panorama di capitalismo sfrenato, inanità politica e avventurismo strategico cui abbiamo assistito nell'ultimo trentennio, quel che salta agli occhi è, dunque, la crisi verticale del cosiddetto "soft power". Che null'altro è se non il consenso popolare di cui parla Gorbaciov intorno ai valori liberaldemocratici e allo stile di vita occidentale. 

    Quel consenso indusse i sovietici ad accettare trent'anni or sono la caduta del Muro di Berlino. Sì, qualcuno saprebbe dirci per favore dov'è finito inostro "soft power"? La questione non ci pare meramente storiografica. Presenta aspetti di bruciante attualità. «Quanti sono i messaggi sul web contro gli ebrei in Italia?», è la domanda che pone e si pone il giornalista di Repubblica Piero Colaprico. Per l'anno corrente non pare possibile una stima esaustiva, ma se ne deduce l'ordine di grandezza facilmente sulla base di questo semplice dato: solo Twitter conta finora oltre 15mila insulti antisemiti. In particolare, in rete vengono prodotti duecento attacchi verbali rivolti quotidianamente alla senatrice a vita Liliana Segre (con formulazioni del tipo: "Mi chiedo perché non sia cr... insieme a tutti i suoi parenti"). 

    Scandalosa. L'aggressione in rete ai danni della Senatrice a vita è scandalosa. E ora ci mancavano soltanto le parole del leader nazional-sovranista Salvini: «A me è appena arrivato un altro proiettile, ma io non piango. In un Paese civile non dovremmo rischiare niente né io né la Segre». Così parla l'ex ministro dell'Interno, come se qui qualcuno si fosse messo a "piangere", come se questa peste nera non fosse scoppiata anche a causa della "Bestia" (la squadra di trentacinque propagandisti "social" salviniani), come se "la Segre" in quanto superstite e testimone della Shoah non avesse già rischiato più che abbastanza nel nostro "civile" Paese (vai al testo del servizio sul sito de "la Repubblica").