Prima dell'imminente pausa estiva, che abbiamo posticipato a causa di una panne informatica, vorrei misurarmi con un compito facile in apparenza. Vorrei interrogarmi sui tempi in cui viviamo.
Importanti scuole di pensiero disputano circa la possibilità di conoscere i "tempi", non da ultimo perché questi ci si muovono sotto il naso, continuamente. E si tratta di un movimento magico, a ben vedere, dato che la dinamica dei "tempi" evolve in funzione dei pensieri che produciamo, e delle loro conseguenze.
Per una magia (una grande magia, l'unica vera a me nota) sembra che noi influenziamo i tempi in cui viviamo, e viceversa.
Noi stiamo di fronte ai nostri tempi come dinanzi a uno specchio vertiginoso, nel quale troviamo riflesso il nostro Esserci. E d'altronde, se la parola "tempo" è un altro nome per "esistenza", pare fin quasi ovvio che i tempi in cui viviamo ci rimandino a noi stessi. Il che potrebbe facilitare le cose; se non le complicasse. A ragione, infatti, gli studiosi dell'animo umano ci ammoniscono sull'opacità dell'Io, che nel caso specifico è l'opacità di tutti noi rispetto a noi stessi.
Non è dunque facile districare i termini della questione. Ma anche se lo fosse, e se il tempo e la vita e noi medesimi ce ne stessimo immobili, come le belle statuine, a recitare un fermo immagine assolutamente chiaro e nitidissimo, beh, anche in tale ipotesi assurda, chi mai potrebbe dire qual razza di epoca è quella in cui siamo capitati?!
Per esempio, negli ultimi venticinque anni un’intera generazione, proclamatasi libertaria nella sua rivolta tardo-adolescenziale meglio nota sotto il nome di "Sessantotto", si è convertita in massa, o quasi, al liberismo selvaggio: ora va in quiescenza tra le molte macerie, inscritte in una trista parabola dominata dall'avidità. Persino a sinistra (o, se si preferisce, nel centrosinistra) il ben noto entusiasmo dei neofiti ha scatenato un'onda di nuovismo cinico. Questo è accaduto, non solo in Italia, ma in mezzo mondo.
Ieri burocrati moscoviti, oggi boss multimiliardari: ecco la Russia post-comunista. Dall'altra parte dello stretto di Bering il far west dell'edonismo finanziario è giunto allo strapiombo: ecco l'America para-liberale. E intanto nella Commissione di Bruxelles (a egemonia para-socialista e a guida prodiana, ahinoi) si puntava sul lucroso allargamento a est, suicidando la costituzione europea.
Macerie su macerie.
Mentre nell’ultimo quarto di secolo assistevamo attoniti a questo spettacolo, i problemi demografici, ecologici, sociali, economici, politici e strategici seguivano il loro corso. Siamo così capitati in questi nostri tempi di grandi aumenti. Aumenta la popolazione terrestre, aumenta la temperatura globale, aumentano le ricchezze dei ricchi e il numero degli affamati, aumentano qua e là i timori, le paure, le tensioni, i conflitti. Aumenta anche lo stupore verso la generazione di Woodstock, e mi ci metto dentro anch'io, che gestisce decine e decine di interventi militari ovunque nel mondo. Quante floride occasioni di profitto per la mafia delle armi, della droga e dei clandestini!
Insomma, le risorse morali e naturali sono quel che sono, per lo meno nel cosiddetto Occidente, sia esso di vecchio o di nuovo conio. Dobbiamo confessarlo con un granello di sincerità: le nostre prospettive non paiono propriamente rosee. Ma tant'è, cosiffatta si presenta la situazione dei tempi in cui viviamo. Fino a prova contraria.
Va da sé che sarebbe consigliabile uscire da questa situazione, e in fretta. Non è facile, ma almeno un’epoca del consenso ipnotico, dominata dal liberismo selvaggio, è finita (con la nazionalizzazione delle banche, quelle non fallite), mentre affondava nell'ignominia l'Armada Invencible di pennivendoli che ci hanno ripetuto fin oltre la nausea che il "libero" mercato si regola benissimo da sé... quanto meno fino a quando non servono le montagne di pubblico danaro per riempire spaventose voragini speculative.
Quanto tempo sprecato!
Beninteso, il mercato non può essere facilmente regolato, nemmeno a volerlo, perché il sistema d’interscambi ha carattere mondiale mentre i possibili meccanismi di controllo raggiungono (al più) il livello continentale. Ma si sa da un bel po' che l'anarchia capitalista agisce come una variabile impazzita, protesa a saccheggiare le risorse planetarie (di tutti) trasformandole nella ricchezza (di pochissimi).
Dunque, la necessità di un'istanza capace di regolare il "libero" mercato, prima che esso ci ammazzi tutti, si riassume nel "problema cosmopolitico": articolare una governance del mondo globalizzato. Vogliamo ricominciare a parlarne?
Ci fu un'Età dei Lumi nella quale il sommo Kant arditamente teorizzava una federazione cosmopolita delle nazioni a tutela della pace. Oggi la necessità di rafforzare l'ONU si direbbe un'evidenza piuttosto diffusa. In questo senso la costruzione europea potrebbe rivelarsi una miniera di tecnologie istituzionali assai utili alla Cosmopolis. E chissà che un asse USA-Cina non possa svolgere nel mondo un ruolo propulsivo analogo a quello franco-tedesco nell'Europa del Dopoguerra. Auguriamoci che i due giganti del Pacifico si accordino per contenere le emissioni di gas serra. Perché il tempo vola.
Sul sito di Radio Radicale ), è disponibile la registrazione del discorso tenuto da Carlo d'Inghilterra a Monte Citorio circa l'urgenza di evitare l’irreversibilità del surriscaldamento climatico. Nel discorso (durato non più di mezz'ora) viene sottolineato che restano circa novanta mesi per agire: novanta mesi votati (comunque) a cambiare il mondo.
Una delle possibili misure riparatorie sta verosimilmente nella produzione di energia tramite impianti solari da costruire nei deserti. Un'altra tecnica potrebbe venire dall'immissione nell'atmosfera di scudi nuvolosi capaci di schermare parte dell'irradiazione termica. Alcuni studiosi propongono poi una massiccia coltivazione di alghe marine atte ad assorbire grandi quantità di anidride carbonica. La lista delle tecniche finalizzate a contenere il surriscaldamento è destinata ad allungarsi, ma il primo posto in classifica rimarrà saldamente riservato a una techne molto speciale, che gli antichi chiamavano politikè.
Ricordiamolo: l'arte della politica è rimasta al centro della polis – prima, durante e dopo la lunga transizione storica dalla città-stato allo stato nazionale. E così sarà anche nella Cosmopolis, se Cosmopolis sarà.
Arte politica – o per meglio dire: cosmopolitica –significa capacità, necessariamente collettiva, di costruire una grandissima rete che però non si smaglia: capacità cioè di sviluppare un ragionevole grado di coordinazione generale umana, nel rispetto delle realtà locali e della pluralità culturale, pena il conflitto e quindi la catastrofe (perché il tempo fugge).
"Noi, il genere umano, siamo giunti ad un momento decisivo", diceva qualche tempo fa Al Gore, già vice presidente degli USA e premio Nobel per la pace: "È inaudito, e fa perfino ridere, pensare di poter davvero compiere delle scelte in quanto specie, ma è proprio questa la sfida che ci troviamo davanti".
E allora la domanda che, per concludere, ci poniamo riguarda la soggettività di questo grande discorso (e percorso) di scelte collettive a venire. Si dirà che il soggetto è qui il genere umano, il quale però non entra in scena come un soggetto "già dato". L'Umanità è il fine, la sfida, il compito. L'Umanità come soggetto politico si compie con il costituirsi della Cosmopolis. Ma lì bisogna prima arrivarci.
E dunque domandiamocelo: quali soggetti avrebbero la capacità di sostenere questo cammino verso l'Umanità? Poiché stiamo parlando di soggetti a dimensione internazionale, potremmo elencare: la comunità economico-finanziaria, le grandi religioni e la comunità scientifica. Tuttavia, queste comunità non s'intendono propriamente come soggetti politici.
Al più tardi a questo punto, constatiamo che è del tutto impossibile rimuovere dal video il maggior raggruppamento umano organizzato, la cui soggettività nacque un secolo e mezzo fa con chiara vocazione politica globale: Workers of all countries unite! – "Lavoratori di tutto il mondo unitevi!".
Girate pure la scacchiera come vi pare, il soggetto centrale della Cosmopolis sono le lavoratrici e i lavoratori con le loro organizzazioni. Oggi più che mai. Questa tesi sorprende anche me, tanto sembra polverosa. E mi rendo ben conto che non può destare l'entusiasmo né del sistema mediatico-pubblicitario-finanziario né delle varie caste sacerdotali di cui abbondiamo ovunque nel mondo. E però così è. Fino a prova contraria.
Molte esperienze storiche, esaltanti e terribili, si sono susseguite nell'alveo dell'Associazione Internazionale dei lavoratori sorta nel 1864 a Londra per iniziativa di Karl Marx. Quella soggettività si articola oggi in una vastissima rete globale di sindacati operai, partiti socialisti e democratici, movimenti cooperativi, fondazioni politico-culturali e mille altre istituzioni.
Folle sarebbe pensare che la Cosmopolis possa costituirsi senza le lavoratrici e i lavoratori di tutto il mondo. Perché il tempo incalza.