La leadership di Pier Luigi Bersani, uscita vincente dalle primarie di domenica scorsa, pone la parola "fine" alla lunga e contrastata transizione del Pci.
di Andrea Ermano
Avete presente certe storie di cattedra? Iniziano con un barone universitario che teme chi, tra i propri giovani assistenti, gli potrebbe far ombra. Perciò passa il testimone a un discepolo un po' ottuso. Il quale, giunto il suo turno, fa lo stesso. E così il suo successore. Finché non si arriva al successore di un successore che non si rende conto d'aver designato a succedergli un assistente intelligente. E il ciclo della vita intellettuale ricomincia.
Modalità analoghe possono valere per alcune vicende della Seconda Repubblica, dove tattiche e dirigenti si succedevano uguali a se stessi con moto decadente uniforme, a causa di comportamenti politici non nuovi e non belli. L'acclamazione cammellata. Il plebiscito buonista. E così via in un'interminabile deriva costituzionale. Alla lunga, però, i bolognini e i predellini non stanno bene nelle mani dei bambini. E così venne il giorno in cui i cammelli, per un colpo gobbo dell'inconscio freudiano insorto, acclamarono come un sol uomo il nuovo statuto del Pci-Pds-Ds-Pd. Vi si sanciva il principio della "leadership contendibile", principio misterioso quant'altri mai, cui allora nessuno badò. Ma adesso la situazione è che Pier Luigi Bersani ha conquistato la segreteria nazionale del partito.
Chiusi i gazebo delle primarie – quelle "vere", cioè molto diverse dalle due precedenti che erano state "primarie per" – adesso lo possiamo dire: la vittoria di Bersani non appariva per nulla scontata. Nel confronto tra apparato postcomunista e buonismo parrocchiale poteva tranquillamente anche accadere che prevalesse quest'ultimo. Forse ci aveva fatto un pensierino Rutelli, e chissà quali esiti avrebbe assunto la competition tra DS e Margherita se l'ex sindaco di Roma nella sua seconda corsa al Campidoglio non fosse platealmente capitombolato. Da ultimo, però, sulla netta vittoria di Bersani hanno influito tre fattori, abbastanza imprevedibili, che di seguito riassumiamo.
In primo luogo si è attivato il "Fattore D" (D come D'Alema): l'ex premier e attuale vice-presidente dell'Internazionale si è gettato a capofitto con tutto il peso della sua persona e della Fondazione Italianieuropei nella rossa carlinga del vecchio apparato. In secondo luogo è sopraggiunto il "Fattore B" (B come Base): i tre milioni delle primarie hanno raccolto il messaggio mettendo a segno un'ultima e definitiva zampata di compattezza attorno al candidato emiliano Docg, senza cedere più di tanto al fascino del pur simpatico Franceschini. Infine, s'è aggiunto un "Fattore DC" (DC come Democristiani): molti morotei, zaccagniniani e prodiani hanno preferito porsi sotto l'egida del socialismo europeo, tanto meglio se ammaccato dall'attuale flessione di consensi, che comunque passerà.
A questi tre fattori, inattesi, se ne combina un quarto ben noto e anzi evidente: il pacioso Bersani stesso, che ha saputo rassicurare più o meno tutti. Domanda: quanti guai si sarebbe risparmiata la Repubblica se nell'anno 1989, quando cadde il Muro di Berlino, avessimo avuto questo neo-segretario democrat al timone del vecchio Pci? Dopo quattro lustri nei quali il peso del lavoro e del sindacato, del parlamento e della lotta tra le idee nella vita politica nazionale è giunto ai minimi termini, dopo tutto ciò lasciateci ora sperare almeno che la parola "società civile" cessi di essere assurdamente reinterpretata come una categoria fondamentale dell'anti-politica.
Quale suo primo atto in veste di neo-segretario, Pier Luigi Bersani ha fatto visita lunedì ai lavoratori di Prato, per iniziare a picconare "il muro di gomma che c'è tra discussione politica, istituzionale, mediatica e la realtà sociale del Paese". Il nuovo leader del Pd si prefigge una correzione di rotta rispetto alla logica del consenso mediatico-plebiscitario. Come? Collocando l'accento programmatico sul concetto di alternativa che è l'orizzonte proprio di un'opposizione "capace di mandarlo a casa". Poi archiviando la logica bipartitica dell'autosufficienza. Ma anche rammemorando ai giovani "il senso della storia". E soprattutto reinsediando il partito "né liquido né gassoso" tra i ceti popolari. Bersani vuole un Pd che stia vicino alla gente normale: "I vecchi socialisti dicevano ai loro dirigenti appena eletti: tornate ai vostri posti di lavoro".
Sulla tolda della nave ammiraglia del centro-sinistra italiano c'è dunque un "socialdemocratico", come spregiativamente l'hanno definito taluni suoi avversari? In teoria sì, perché lo stile non personalistico ("Dentro la vittoria di tutti, c'è anche la mia"), l'ossatura dalemiana dell'organizzazione e le alleanze internazionali del Pd a partire dall'eurogruppo nel parlamento di Strasburgo, confermerebbero quest'infamante accusa. In realtà, non sappiamo che tipo di leadership sarà quella uscita vincente dalle primarie di domenica scorsa. Certo è che essa pone la parola "fine" alla lunga e contrastata transizione del Pci. E questa è una buona notizia per tutti.