Può il Parlamento italiano consentire che si vada avanti così?
Un grande avvocato di parte governativa, nel difendere il "Lodo Alfano" di fronte all'Alta Corte, si è richiamato ai simboli elettorali delle ultime elezioni politiche. In essi, come si sa, era stato introdotto il nome del "candidato premier". Da tale norma "tipografica" il principe del foro ha voluto dedurre un'inedita figura del premier, riformata in via di fatto dalla legittimazione popolare diretta. E questa legittimazione reclamava, secondo il rappresentante legale del Governo, l'immunità prevista dal Lodo.
Respingendo l'argomento di cui sopra, i giudici hanno stabilito che eventuali deroghe immunitarie al principio costituzionale di eguaglianza di fronte alla legge (Art. 3) possano essere introdotte non tramite schede elettorali di nuovo conio, ma solo dal Parlamento in via di diritto e quindi secondo tutte le laboriose procedure e verifiche previste dall'Art. 138 in materia di revisione costituzionale.
Il premier ha reagito malamente alla bocciatura, attaccando diverse istituzioni della democrazia italiana, al grido di guerra: "Queste cose qua, a me mi caricano, agli italiani li caricano: viva l'Italia, viva Berlusconi". Insomma, a Berlusconi per governare l'Italia occorre: 1) poter legiferare anche ad personam, 2) anche seguendo procedure ordinarie su materie di attinenza costituzionale, 3) anche senza disporre di una maggioranza qualificata in Parlamento e ovviamente 4) anche senza doversi sottoporre al successivo giudizio referendario.
Come dire che ogni istituto costituzionale è assorbito dal plebiscito a favore del premier, inteso come incarnazione della volontà popolare: "Viva l'Italia, viva Berlusconi".
La realtà supera la fantasia di un Nanni Moretti e di una Sabina Guzzanti: una deriva post-democratica che rischia ormai di condurre allo scontro di tutti contro tutti. Mentre sui teleschermi di mezzo mondo va in onda un premier italiano inquisito dai tribunali del suo paese e "sputtanato" dalle redazioni straniere.
Le donne e gli uomini di buona volontà, impegnati a evitare lo strapiombo cui sembra avviata la "seconda repubblica" sanno tutti, ma proprio tutti, che la decisione ultima sul futuro dell'attuale premier e del suo esecutivo non spetta al momento né ai tribunali né alle piazze né alle banche né ai mass media né alla Curia vaticana e nemmeno agli altri governi amici. Per adesso l'arbitrato sul Governo e sul Presidente del Consiglio è anzitutto nelle mani del Parlamento italiano.
Perché, se le regole valgono ancora, allora il Governo, premier incluso, "deve avere la fiducia delle due Camere". Perché in Italia la principale espressione politica della sovranità popolare è il Parlamento. E perché i parlamentari hanno il dovere costituzionale di esercitare le loro funzioni "senza vincolo di mandato". In modo particolare, la libertà del mandato parlamentare vale pienamente, anche se il premier ha inscritto il proprio nome e cognome nei simboli elettorali. Essa vige, anche se, nel contesto del cosiddetto porcellum, il premier ha "nominato" molti degli eletti. Vale e vige, anche se il premier abusa della decretazione, del voto di fiducia, di macro-emendamenti mostruosi e quant'altro. Vige e vale, anche se dall'Olimpo piovessero fulmini e saette, minacce d'elezioni anticipate, mobilitazioni di piazza e chissà quali altri sfracelli ("gli Italiani vedranno di che pasta son fatto!").
La legge fondamentale della Repubblica affida il mandato parlamentare solo ed esclusivamente alla coscienza di ogni singolo deputato e senatore: "ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione".