Ogni giorno che passa, sempre più chiaramente, assistiamo non a uno, ma a due plebisciti virtuali...
di Andrea Ermano
Nome e cognome: Sardo Marchetti. Il giornalista Cangini si chiede:"Chi fu costui?" Se lo chiede in un fondo apparso oggi sul Quotidiano Nazionale.
"Marchetti era il direttore delle elementari di Tolmezzo che nel 1907 non confermò l'incarico al maestro supplente Benito Mussolini perché... incapace di imporre la disciplina alla seconda classe".
Quanto diversa sarebbe la storia d'Italia, prosegue il ragionamento del giornalista, se quell'oscuro direttore didattico avesse concesso alla futura celebrità una seconda chance per tentare di farsi ubbidire dai bambini di quelle oscure scuole tolmezzine.
L'aneddoto storico serve a Cangini per introdurre, in modo alquanto suggestivo, questa triplice tesi:
1) La sinistra dovrebbe riflettere sull'errore commesso quindici anni fa con la liquidazione dell'arcinemico Bettino Craxi, perché una volta distrutta la prima repubblica l'asse politico si spostò a destra e la palla passò a Berlusconi.
2) La sinistra dovrebbe riflettere sull'errore commesso nel combattere l'arcinemico Berlusconi senza sapergli contrapporre una miglior capacità di governo, sicché l'arcinemico è uscito rafforzato dal training di ribaltoni e demonizzazioni cui la sinistra lo ha sottoposto.
3) La sinistra dovrebbe riflettere sull'errore che sta commettendo nel favorire una transizione da Berlusconi al suo successore, che sposterà ulteriormente a destra l'asse politico del paese o quanto meno cementerà l'egemonia politica e culturale dell'attuale maggioranza.
Orbene, tanto per cominciare, avendo io assolto le scuole elementari a Tolmezzo, posso testimoniare che Mussolini era verosimilmente inadatto a ottenere obbedienza in quell'ambiente di bambini un po' troppo ribelli. Prova ne sia che molti anni dopo, nel settembre 1944, proprio quei bambini, una volta divenuti adulti, salirono sui monti, armi alla mano, e vi fondarono la Zona Libera della Carnia, prima repubblica partigiana d'Italia.
L'impresa non devette risultare facile. La Zona Libera era circondata da oceaniche armate naziste, ferocissime, armatissime, e ivi sostenute da un'ulteriore armata, quella dei Cosacchi, che erano rimasti fedeli allo Zar, e ai quali i capi nazi-fascisti avevano promesso quel lembo di terra dell'estremo Nordest italiano.
Ma, come narrano Claudio Magris in Illazioni su una sciabola e Carlo Sgorlon in L'armata dei fiumi perduti, i Cosacchi non ottennero alcuna terra e, persa la guerra, si misero in marcia verso l'Austria. Compirono infine un tragico gesto collettivo: pur di non doversi consegnare alla giurisdizione sovietica, e dunque alla Siberia di Stalin, si autoannegarono nelle acque del fiume Drava.
Solo pochi di loro, ho sentito dire una volta, decisero di sottrarsi a quella glaciale alternativa del destino, tra Drava a Siberia, rimanendo in Carnia come dei sans-papiers, profughi semi-clandestini, supplici ufficiosi, povera gente d'altrove entrata a far parte della povera gente di lì.
Dimenticavo. Nel governo provvisorio della Repubblica Libera della Carnia fu commissario politico Romano Marchetti, ex tenente del regio esercito, simpatizzante del Partito d'Azione. E figlio proprio di quel Sardo Marchetti di cui s'è detto.
Quando rientro a Tolmezzo, ci si vede sempre con Romano Marchetti in osteria per il tajut, rituale calice di vino da centellinare chiacchierando in compagnia. In vari decenni di consuetudine eno-dialogica noi ex ragazzi di lì abbiamo disputato intorno a infiniti argomenti sotto l'egida di quel vecchio agronomo oggi ultranovantenne, il mitico capo partigiano "Da Monte", uomo d'intelligenza e di gran spirito.
Con Romano Marchetti s'è parlato veramente di tutto. E, come si fa con i maestri di vita, noi lo si è sottoposto a un fuoco di fila di discussioni interminabili, che Marchetti pazientemente, sovranamente, dominava con l'enigma dell'arguzia.
Ripensando a quegli ammaestramenti di lunga gittata mi par ovvio assumere che Romano abbia ereditato dal genitore insegnante alte attitudini pedagogiche.
Mai però, in tutta la sterminata floridezza argomentativa di quelle rimpatriate, mai ho sentito una sola parola di rimpianto per non aver trattenuto a Tolmezzo come maestro elementare colui che sarebbe dipoi salito al potere in forza del manganello e degli incendi alle Case del Popolo, colui che avrebbe assunto la "responsabilità storica e politica" dell'assassinio di Giacomo Matteotti e della dittatura fascista.
Promulgò le leggi razziali, trascinò l'Italia in una sanguinaria avventura bellica e prese parte alla Shoah a fianco della Germania nazista.
Ciò detto pro veritate, vorrei aggiungere qualche considerazione sulle tre tesi di Cangini.
Anzitutto affiderei al piano storico la ricostruzione dei rapporti tra il Psi, il Pci e la Dc all'epoca di Tangentopoli: quali che siano stati questi rapporti, non mi par bello tuttavia sentir evocare Bettino Craxi da chi trova semplicemente comodo inventarsi che il padre di Noemi Letizia sarebbe stato l'autista del leader del Psi. Craxi ebbe certamente a commettere i suoi errori, ma amava il suo paese.
In secondo luogo mi sfugge il senso di un discorso che prende le mosse da Mussolini per andare a parare nel desiderio che la sinistra se ne stia buona sennò chissà che sfracelli.
Vogliamo parlare di politica?
"Quindici anni sono trascorsi, il mondo è cambiato e la sinistra è sempre lì che solleva e risolleva il masso che le cade sui piedi", e questo accade secondo Cangini per via della "congiunzione astrale di linciaggio morale con supporto mediatico-giudiziario e di luci dalla ribalta internazionale puntate sull'Italia".
Molto bella l'immagine del masso che ricade sui piedi. Tra poco ci torno. Ma, di grazia, che c'entra la sinistra? Di quale linciaggio morale stiamo parlando? Di quello vilmente perpetrato dalla signora Veronica Lario ai danni del marito in quanto questi frequenterebbe le minorenni? Parliamo della parola del premier a Porta a Porta o in apertura dei TG? O ancora delle "rivelazioni" della Santaché sul Giornale?
E, di grazia, che c'entra la sinistra con il circuito mediatico-giudiziario? Di che circuito vogliamo discutere? Di quello che dà eco flebile alla condanna penale comminata all'avvocato Mills per corruzione? La condanna è diaframmata quanto al corruttore dall'impunità istituzionale e dai termini di prescrizione.
Soprattutto: quali sarebbero le "luci dalla ribalta internazionale" cui l'articolo si riferisce? Quelle di un premier che la bandana, le corna, il kapò e il cucù?
L'opinione pubblica internazionale è realmente scandalizzata. La snistra non c'entra. E ogni giorno che passa, sempre più chiaramente, assistiamo non a uno, ma a due plebisciti virtuali.
Da un lato c'è il plebiscito che il Cavaliere sventola all'interno del nostro Paese sostenendo la tesi secondo cui il mandato popolare lo collocherebbe al di sopra dei costumi e della legge (che a destra viene rivendicata ormai solo contro gli immigrati).
L'altro plebiscito è quello internazionale, fatto di centinaia di milioni di sghignazzi che però sono anche da prendere molto sul serio, perché esprimono un'inquietudine vera per l'involuzione post-democratica in atto.
Silvio Berlusconi è adatto a governare?
Se sì, dove e quando l'ha dimostrato? Se no, come vogliamo definire chi contribuisca ad aggravare ulteriormente la crisi di sistema in cui senza dubbio versa l'Italia da tanti, troppi anni?
Altre domande: A quando l'avvio di un processo riformatore? E, questo processo riformatore di cui il Paese ha bisogno, può essere utilmente condotto a buon fine dal Cavaliere?
Il problema politico sono le riforme. Perché se non si compie un percorso riformatore le nostre libertà costituzionali – acquistate a prezzo anche del sangue di tanti ragazzi in Carnia o Val d'Ossola, a Casa Cervi o a Cefalonia e in mille altri fronti di resistenza antifascista – potrebbero non reggere alla sfida degli eventi.
Ci consenta insomma, Franco Cangini, di rilanciare così la sua domanda: A che vi serve sollevare con tanta fatica un masso grande come il mondo per farvelo ricadere sui piedi?
Suvvia, l'Italia ha già vissuto una bruttissima deriva post-democratica. A causa di essa il mondo si vide infine indotto a entrare nel nostro Paese, ingiungendo al nemico nazi-fascista di uscire dai bunker a mani alzate.
Se quei tempi non sono passati invano, è giunta l'ora di tagliare le unghie al Gattopardo. E di riformare il sistema.
Museo della Repubblica Partigiana - www.carnialibera1944.it