La professoressa Maria Grazia Meriggi, celebre studiosa di storia sociale europea, ci scrive alcune utili osservazioni sull'articolo di Ugo Intini, L'occasione mancata della sinistra italiana, apparso sull'ADL della settimana scosa. "Dall'articolo di Intini" osserva la professoressa Meriggi "risalta se possibile ancor di più la statura politica di Willy Brandt. E sui rapporti fra potenze occupanti, Germania e anticomunismo fin dal '45 raccomando il volume del figlio di Willy, Peter Brandt: Dopo Hitler, Editori Riuniti, Roma 1978".
Le differenze tra la prudenza riformista di Willy Brandt e l'aperto sostegno di Bettino Craxi al "dissenso" meriterebbero una trattazione a sé. Qui possiamo dire che la Ostpolitik non poteva (né del resto voleva) fungere da rimedio a ogni orrore staliniano e a ogni carro armato brezneviano. Se il sistema sovietico fu infine irriformabile, allora la moderazione brandtiana, per quanto gradita al Pci di Berlinguer, nascondeva più di un'illusione e più di un'insidia.
In questo senso Intini non ha torto nel rivendicare il ruolo "rivoluzionario" del Psi a sostegno dell'opposizione atisovietica: Sacharov in URSS, Geremek e Michnik in Polonia, Pelikan in Cecoslovacchia e la lista potrebbe continuare. Brandt non approvava tutto questo attivismo e un giorno lo disse a Craxi senza tante perifrasi: "Voi sbagliate ad appoggiare i nemici dei partiti comunisti dell'Europa orientale. Non si deve puntare su di loro che, contrapponendosi frontalmente al sistema, non vinceranno mai. Ciò è addirittura controproducente. Si devono invece appoggiare le componenti moderate e pragmatiche all'interno dei partiti comunisti di governo, così da attirarli a poco a poco verso posizioni riformiste e utili alla distensione".
A vent'anni di distanza dalla smentita di questa linea, vediamo come anche l'altra linea, che pure trionfò, non mancasse a sua volta d'insidie. Le due concezioni della socialdemocrazia, quella craxiana e quella brandtiana, si distinsero infatti anche in rapporto alle loro prospettive sociali. E ciò a tal punto che l'attuale crisi del centro-sinistra europeo può essere definita, per semplicità d'esposizione, una crisi del craxismo. In quanto autore di un'ibridazione tra laborismo classico e neoliberismo Craxi ha fatto scuola nella "Terza via" di Tony Blair, nella "Neue Mitte" di Gert Schroeder e da ultimo persino nello "Spirito del Lingotto" di Walter Veltroni.
Questa crisi è stata crudamente evidenziata in Germania dal risultato a due cifre realizzato da Oskar Lafontaine con la sua Linke. Lafontaine era stato indicato personalmente da Willy Brandt come il migliore dei suoi allievi e il suo continuatore. Conquistò la guida del partito vincendo le resistenze interne. Guidò la SPD al successo e Schroeder alla Cancelleria. Poi però abbandonò ogni carica, "da sinistra", dopo essersi dimesso dalla funzione di super-ministro economico. In questi ultimi anni, pur anziano e malato, ha impartito alla SPD una severa lezione. E in tutta brevità diremmo che il nervo scoperto del conflitto interno al mondo socialista europeo riguardava (e riguarda tuttora) il complesso rapporto tra partito e sindacato.
Questa tematica vale per la Gran Bretagna, la Germania e per tutti gli altri paesi europei dove il mondo del lavoro organizza il proprio consenso orientandolo storicamente a favore della sinistra riformista. In Italia, però, la questione del rapporto tra partito e sindacato si è sviluppata, nel secondo Dopoguerra, in modo obliquo, perché articolato su due partiti e perché gravato dalla loro collocazione nello spazio geopolitico della guerra fredda.
Ugo Intini ricorda nel suo articolo la seguente tesi di Villetti: "Incredibilmente il PSI ripeté, con segno opposto, lo stesso catastrofico errore storico del 1947-'48. Mentre la cortina di ferro calava sull'Europa, i socialisti di Nenni avrebbero dovuto stare a Occidente, con i partiti democratici e la DC. Invece, in nome dell'unità della sinistra, stettero a Oriente, con Stalin e il PCI. Nel 1989, al contrario, crollata la cortina di ferro, i socialisti di Craxi, allievo e successore di Nenni, avrebbero dovuto costruire con l'ex PCI l'unità della sinistra, non più ostacolata dall'insormontabile impedimento internazionale che la aveva bloccata per decenni. Invece, si trovarono ancora una volta, nel momento storico decisivo, come con Nenni nel 1948, dalla parte sbagliata: questa volta, non contro, ma con la Democrazia cristiana; non con, ma contro il PCI."
Come non concordare? Nel nostro piccolo, da queste colonne, avevamo avanzato tesi analoghe, in tempi non sospetti. Ci fa piacere che si tratti di un giudizio ormai condiviso. Giunti sin qui, potremmo però chiederci anche se l'autonomia del PSI non fu comprata al prezzo di un autofinanziamento sempre più pesantemente "irregolare". Il che nel "momento storico decisivo" condizionò pesantemente le scelte politiche.
Autonomia della politica ha significato per la SPD disporre di fondi regolari. La SPD non ha dovuto battersi a mani nude contro i dollari e i rubli degli avversari politici. Il PSI lo ha fatto e sappiamo com'è finita. Va detto pure che la propaganda d'odio antisocialista, risalente agli anni del primo centro-sinistra, rendeva gravoso, per non dire impraticabile, ogni ragionevole prospettiva di riconciliazione nel 1989. Alla fine sia il Psi sia il Pci si convertirono alla logica del fornaio andreottiano. E quando la DC tirò le cuoia, l'effetto fu quello di andare, senz'alternative, verso una crisi di sistema, lungi tutt'ora dall'essere superata.
Ripensando ai rapporti tra Psi e Pci, dagli anni del primo centro-sinistra alla fine della Prima repubblica, mi viene in mente il film di Sogo Ishii "La famiglia con i reattori invertiti" (Gyakufunsha kazoku - The Crazy Family, 1984). Il film narra di una normale famiglia giapponese nella quale inizia però a serpeggiare un dissidio, tragicomico e culminante nella distruzione pezzo a pezzo del salotto, del mobilio e dell'intero appartamento fino a esiti catastrofici. Sui titoli di coda, che scivolano sopra le macerie fumanti di quella che un giorno fu la casa comune, si legge: "La famiglia con i reattori invertiti".
In Giappone l'espressione "reattori invertiti" sta a indicare gli esiti catastrofici di un raptus. È divenuta proverbiale da quando, con gesto incnsulto, un pilota decise di attivare in pieno volo gli "inversori di spinta". Questi marchingegni applicati ai turbocompressori servono in realtà a frenare il velivolo dopo l'atterraggio. Ma quel giorno il pilota fu preso da un accesso di pazzia e attivò gli "inversori di spinta" mentre navigava ad alta quota. Il suo aereo entrò in stallo e precipitò con tutti i passeggeri a bordo.