Nel Giorno della Memoria ho tentato di riflettere su quella specifica concatenazione di accadimenti pianificati all'inizio del 1942 nell'elegante Villa Marlier, presso il lago maggiore di Wann a Berlino.
di Andrea Ermano
Ci sono molte guerre di religione oggi nel mondo: tra Cattolici e Protestanti (in Irlanda), Cristiani e Musulmani (in Africa), Indù e Musulmani (in Asia), Ebrei e Palestinesi (in Medio Oriente). Ogni tanto alla finestra mediatica occidentale si affaccia qualcuno accusando l'Islam d'aggressività. E altri gli fa eco da Al Jazeera ribattendo che la pace in terra si raggiungerà con la distruzione d'Israele e la conversione di tutti gli uomini alla vera fede. Gli intellettuali musulmani d'inclinazione dialogante concedono: sì, è vero, gli ayatollah propugnano una visione molto assertiva della fede, ma se voi Cristiani siete riusciti ad ammazzare così tanto in nome del Vangelo annunciato da Gesù di Nazareth, ebbene, vedrete che prima o poi l'Islam riuscirà a produrre una lettura pacificata del pur bellicoso Corano.
Bene o male, il dibattito interculturale globale è ormai in corso, un dialogo viziato dalla propaganda xenofoba, ma anche dall'impropria dislocazione di molte questioni economico-sociali sul piano religioso. Per la mafia e i negrieri appare vantaggioso poter continuare a disporre di lavoratori-schiavi-clandestini, immersi nella rabbia e nella disperazione, quindi inclini al fondamentalismo. Per la società civile (non meno che i diretti interessati) sarebbe meglio però se le giuste aspirazioni dei migranti venissero rappresentate da sindacati e partiti di sinistra degni di questo nome, piuttosto che fatte deragliare nel misticismo violento e inconcludente.
Purtroppo, al giorno d'oggi, ci sono fanatici inconcludenti ovunque, anche nella società civile. Costoro, credendo di rendere un gran servigio al popolo migrante e magari anche a quello palestinese, vanno paragonando le destre xenofobe occidentali al Terzo Reich e l'odierna propaganda anti-islamica a quella nazista degli anni Trenta. In realtà, se proprio si vuol paragonare Goebbels a qualcos'altro, il termine di confronto più ovvio sarebbe Stalin. Ecco un esempio: in Russia nel biennio 1937-1938 il totale di condanne a morte politiche, secondo stime del KGB rese note dopo la fine dell'Urss, è pari a 681'692.
Altro esempio. Un documentario del settimanale tedesco "Geo" racconta di come Stalin visionasse personalmente gli interminabili elenchi di persone da far arrestare, preferibilmente alle quattro di mattina e da deportare in Siberia oppure da trascinare ipso facto di fronte al plotone d'esecuzione. Sono conservate 366 "liste della morte" contenenti 44'000 nomi, cognomi e patronimici. Tutte recano il visto autografo dell'autorità suprema, arricchito talvolta da indicazioni (in matita rossa e blu) affinché in ogni regione venisse dato seguito a un determinato numero di deportazioni e di esecuzioni capitali. Qua e là il nuovo zar cancellava un nome, e quel frego rosso segnava la salvezza dell'ignaro interessato. Altrove aggiungeva: "Qui non bastano! Cinquemila in più!" Mentre Stalin "lavorava" seduto alla sua scrivania, la propaganda lo ritraeva circondato da bimbi festanti. Lui era il "piccolo padre" al quale la gente scriveva migliaia di lettere: "Ah, se Voi solo sapeste, compagno Stalin!". Lo pensavano ignaro, prigioniero del palazzo.
Erano gli anni del patto con Hitler. E anche la propaganda nazista inondava il Reich con foto e filmati di bambine (rigorosamente bionde) che donavano mazzi di fiori al Führer. Una carezza a un bimbo, giornalisti e fotografi davanti, i morti ammazzati dietro le quinte.
Anche in Italia la propaganda armata degli anni Trenta condusse alle leggi razziali. Il Re tacque. Il Papa tacque. L'Accademia e il Giornalismo tacquero. Invece, Civiltà cattolica, la rivista dei Gesuiti, si lamentava: "delle continue persecuzioni degli ebrei contro i cristiani, particolarmente contro la Chiesa Cattolica, e dell'alleanza loro con i massoni, coi socialisti e con altri partiti anticristiani". Le bozze della rivista ricevevano (e ricevono tuttora) l'imprimatur dalla Segreteria di Stato vaticana, per l'approvazione definitiva. Visto, si stampi.
Come in altre epoche, precedenti e successive, era in corso allora un "tentativo di cancellare il socialismo dalla storia d'Italia", diremmo con Giuseppe Tamburrano. Eppure l'editrice socialista de L'ADL è l'unica voce italiana ad avere avuto il coraggio, negli anni Trenta, di condannare ogni forma di totalitarismo. Questa testata usciva allora in coedizione con "L'Avanti parigino", diretto da Pietro Nenni. Di quella lunga battaglia di giustizia e libertà è qui doveroso ricordare i fratelli Carlo e Nello Rosselli brutalmente accoppati in Francia, a fucilate; i combattenti di Spagna caduti nella lotta contro il franchismo; i reduci di Spagna riparati a Mosca e lì fatti ammazzare da Stalin; gli estradati nelle patrie galere mussoliniane e lì uccisi a bastonate. E poi ancora i deportati nei campi di concentramento e di sterminio, i caduti nella Resistenza italiana, francese e iugoslava.
Obliare l'alto tributo versato dall'emigrazione socialista sarebbe viltà, da parte nostra. Eppure non è questo ciò di cui si parla il 27 gennaio. Nel Giorno della Memoria si medita quella specifica concatenazione di accadimenti pianificati all'inizio del 1942 nell'elegante Villa Marlier, sulle sponde del Wannsee in Berlino. Perché un conto sono le persecuzioni e i massacri fino all'inizio degli anni Quaranta, altro è la "Soluzione Finale della Questione Ebraica" iniziata dalla Conferenza di Wannsee.
Allo scopo della "Soluzione Finale" la Germania nazista procede alla costruzione dei campi di sterminio di Auschwitz-Birkenau, Bełżec, Chełmno, Majdanek, Maly Trostenets, Sobibór e Treblinka. Lì vengono sterminati Rom e Sinti, Omosessuali, Testimoni di Geova, Pentecostali nonché molti oppositori politici al regime hitleriano, socialdemocratici, comunisti, liberali, democristiani, monarchici. Tra le vittime dei Lager nazisti non mancano neppure i "fascisti critici", tra cui la principessa Mafalda di Savoia che muore a Buchenwald nel 1944.
Tante sono le categorie delle vittime della barbarie nazista, ma la "Soluzione Finale" riguarda la "Questione Ebraica". Ciò è ben documentato da Eichmann nel suo Protocollo della Conferenza di Wannsee. La seduta decisiva si tiene il 20 gennaio 1942, ma l'istruttoria era stata avviata di lunga mano dal generale delle SS Heydrich il 31 luglio dell'anno precedente su ordine del maresciallo del Reich, Göring, il delfino di Hitler.
Il protocollo offre una "ricostruzione contenutisticamente precisa della conferenza", dichiarerà Eichmann stesso di fronte ai giudici di Gerusalemme nel 1961. Con la "Soluzione Finale della Questione Ebraica" non si vogliono rinchiudere nuovamente gli Ebrei nei ghetti o esiliarli su un'isola lontana e men che meno li si vuol convertire. Loro potrebbero evadere dal ghetto, tornare dall'esilio, insistere interiormente nel loro ebraismo sotto l'apparenza di una conversione. Il Terzo Reich progetta l'assassinio di tutti Ebrei europei, un immane genocidio, sostanzialmente fine a se stesso, che verrà portato avanti dalla Germania nazista e dai suoi complici con metodologie di sterminio senza precedenti, nel complice silenzio dell'uomo, fino agli ultimi giorni di guerra.
Una lista allegata al Protocollo di Wannsee elenca ordinatamente le popolazioni ebraiche nei singoli paesi. In Italia ("incluse Sardegna e Albania") si stimano per esempio 50'000 persone appartenenti alla comunità israelita, in Inghilterra 330'000, in Romania 342'000, nella Francia occupata sono 165'000, nel resto della Francia 700'000, e così via per ciascuno dei trenta territori in cui i nazisti hanno suddiviso l'Europa conquistata o da conquistare. Eichmann riassume a pie' di lista: "Complessivamente: oltre undici milioni".
Lo Stato hitleriano programma la cancellazione di tutti gli Ebrei europei – inclusi i propri cittadini, incluse le donne, inclusi i vecchi e inclusi i bambini, inclusi anche i piccolissimi. Debbono essere sterminati tutti, ma proprio tutti, a prescindere da qualunque criterio e con l'obiettivo finale di cancellare persino il loro nome, i loro dati anagrafici, ogni segno della loro esistenza personale.
Questa è la Shoah. Di questo parliamo in occasione del 27 gennaio, giorno in cui i soldati sovietici entrarono ad Auschwitz. Giorno consacrato alla Memoria di "sei milioni di assassinati dai nazional-socialisti, accanto a milioni e milioni di uomini di ogni confessione e di ogni nazione, vittime dello stesso odio contro l'altro uomo, dello stesso antisemitismo". Il grande Emmanuel Levinas scrisse nel 1974 queste parole di valore universale muovendo dal ricordo straziato dei suoi propri genitori e fratelli.
Nel film-capolavoro dal titolo "Shoah" (nove ore di documentario assemblate in dieci anni di montaggio) Claude Lanzmann documenta come ad Auschwitz potessero essere eliminate fino a quindicimila persone al giorno. Questo "rendimento" venne raggiunto nel maggio 1944 per lo sterminio degli Ebrei ungheresi.
La sconfitta era ormai alle viste.
I deportati venivano fatti scendere di corsa a manganellate dai carri bestiame ("Schnell! schnell!") e avviati (sempre di corsa e a manganellate) negli spogliatoi delle camere a gas. Quindi, con lo stesso metodo, venivano spinti a entrare nelle camere a gas: uomini, donne, vecchi e bambini. I forni crematori erano disposti nelle adiacenze. Squadre di "Ebrei da lavoro" traslavano nei forni i corpi dei morti, nel modo più rapido possibile. La cremazione dei cadaveri era sincronizzata con l'arrivo del treno successivo, recante un carico di circa 4'000 persone. "Non sarebbe stato difficile bombardare quei binari. Nessuno lo fece", ha ricordato Elie Wiesel, premio Nobel, sopravvissuto ad Auschwitz.
"Con la nuova camera a gas... eravamo... ehm... si era in grado di terminare tremila persone in due ore", racconta Franz Suchomel, uno dei boia di Treblinka.
"Le dico la mia definizione. Se ne ricordi", fa a un certo punto il Suchomel. "Treblinka era una rozza catena di montaggio della morte, rozza sì, ma ben funzionante. Catena di montaggio. Della morte. Rozza. Ma... ben funzionante". Il Suchomel scandisce questa sua "definizione" di Treblinka con un'aria saccente, da reduce o da grande esperto.