venerdì 5 marzo 2010

Ma sai che novità

La legalità non esiste. Ma non è facile riformare la patria della Controriforma.
di Andrea Ermano
Incredibile Italia! Il titolare del Ministero della Difesa vorrebbe scendere in piazza a menare le mani contro se stesso, o per meglio dire contro le conseguenze d’irregolarità commesse dai suoi compagni di partito e per fortuna bloccate dai Carabinieri, che dipendono per altro dal ministero medesimo.

Il Ministro dell’Economia dichiara che “quando incontri un assessore, non ti è chiaro se è un assessore o un camorrista”.

Il Senato plaude a un senatore appena dimessosi sotto l’accusa di collusione con la ‘ndrangheta.
Il presidente della Repubblica, in visita di Stato a Bruxelles, si trova costretto ad annullare il consueto ricevimento in ambasciata perché l’ambasciatore stesso pare aver favorito con intrallazzi la candidatura dell’ex senatore di cui sopra.

E, come diceva Ungaretti, potremmo continuare.
Insomma, a diciott’anni da Tangentopoli riecco la corruzione e l’illegalità in Italia. A quanto pare, il tasso di malcostume, secondo la percezione dei cittadini, sarebbe più che raddoppiato. Lo dicono recenti inchieste sociologiche e demoscopiche. E lo dicono anche le inchieste giudiziarie.

È inutile girarci intorno: la legalità da noi non esiste. E siccome Craxi è morto da dieci anni non si può più nemmeno dire che c’è un problema di “socialismo reale”. Forse, piuttosto, c’è un problema di “cattolicesimo reale”, del quale tutti gli altri problemi rappresentano solo una comparte.

Ma sai che novità.
Qualcuno, forse, ricorderà ancora dal ginnasio che il termine “Riforma” è legato a una battaglia contro le “indulgenze”, che erano delle dazioni atte a favorire i propri cari estinti. Si credeva, infatti, in un’epoca lontana, che i peccatori, dopo la morte, venissero condannati al Purgatorio per un certo periodo di tempo, e che questo tempo potesse essere accorciato grazie alle “indulgenze”. Queste “indulgenze” venivano concesse su autorizzazione del pontefice in cambio di denaro. Un giorno, un giovane teologo, un frate agostiniano, un certo Martin Lutero, si chiese la ragione di quella credenza. Non avendo trovato un solo passo del Vangelo nel quale Gesù predichi la raccolta di tangenti, iniziò a protestare il proprio dissenso.

La questione era nata nel 1514 con la nomina papale del principe Alberto di Brandeburgo a “commissario delle indulgenze”. Il principe puntava alla carica di arcivescovo. E l’ottenne nel 1516 versando diecimila ducati ottenuti da una banca privata, denaro che sarebbe stato poi ampiamente recuperato grazie ai redditi generati appunto dalla vendita delle indulgenze. È passato mezzo millennio, ma l’analogia con i percorsi di candidature, carriere e cariche politiche, di sanità pubblica, di lavori pubblici ecc. nell’Italia contemporanea appare davvero strabiliante. Se cinquecento anni fa ci fosse stato il settimanale L’espresso, avrebbe potuto titolare: “Paradiso corrotto, nazione infetta”.

Cinque secoli dopo, la successora di Lutero, la teologa evangelica Margot Kaessmann, presidente della conferenza delle chiese protestanti tedesche, che raccolgono 27 milioni di fedeli, si è dimessa per avere violato il codice della strada. Per un’infrazione automobilistica. Che lei stessa ha definito un “grave errore” perché: “Il mio ministero e la mia autorevolezza come vescova e come presidente delle Chiese evangeliche tedesche sono danneggiate. In futuro non avrei più la stessa libertà di parlare di sfide etiche e politiche come ho fatto finora”.

Al nostro Giulio Andreotti non sarebbe mai successo, lui così misurato al volante. E infatti è sempre lì, senatore a vita, con tutte le accuse cadute in prescrizione. Il grande Giulio! Grandi gli avvocati difensori. Grandi le risorse finanziarie. Ma tutto il mondo sa che questo grande esponente politico cattolico italiano fece (e fece fare) cose non buone e non belle, utilizzando la Banca Vaticana, la P2, i servizi deviati, le aderenze mafiose.

La differenza di etica pubblica tra la vescova Kaessmann e il divo Giulio salta agli occhi. Ma quando batto nome e sostantivo “vescova Kaessmann”, il programma me li sottolinea in rosso, trattasi di espressione bizzarra se non erronea (eppure nel mondo ci sono centinaia di “vescove”), mentre “divo Giulio” suona bene.

È inutile girarci intorno: i maschi sono uomini più sacri delle femmine, i sacerdoti sono per definitionem più sacri dei laici, i vescovi più dei semplici preti e i cardinali più dei vescovi. Per non parlare del Papa-Re, ultima figura di sovrano legibus solutus, totalmente al di sopra della legge. Quindi è abbastanza logico che il Vaticano osteggi la Bonino “iperabortista” (che chiede il rispetto della legalità) e sostenga invece i legiferatori ad personam, ad aziendam, ad listam e, per farla breve, ad quel-che-mi-parem.

Per strutturare un organigramma gerarchico funzionante sarà magari anche meglio, come sistema, del Partito Comunista Cinese. Ma non lo direi conforme al dettato della nostra Costituzione repubblicana fondata sull’uguaglianza dei cittadini “senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali” (Art. 3).

Ora, se si disattende il fondamento della legge, anche la legge andrà in malora, un po’ come il treno carico di lattuga ne La valle dell’Eden di Elia Kazan.

Senza legge qualsiasi tentativo di riforma diventa impraticabile.
Di qui le crisi sussultorie di sistema, ormai al ritmo di una ogni tre o quattro lustri.
Due crisi fa, prima dell’assassinio di Aldo Moro, ricordo un tempo, il tempo della mia gioventù, in cui i commentatori politici parlavano ancora di scosse “di assestamento”. Fu Moro ad avvertire, prima di morire, che sugli ammazzamenti poco si assesta e molto si dissesta.