mercoledì 26 maggio 2010

Dirigente sempre, comunista mai ?

Considerate i celebri versi iniziali dell’Inferno dantesco: “Nel mezzo del cammin di nostra vita / mi ritrovai per una selva oscura”. Confrontateli con l’apertura del Purgatorio: “Per correr migliori acque alza le vele / ormai la navicella del mio ingegno”.

Se a degli esami (i quali, come diceva Eduardo, non finiscono mai) vi chiedessero a chi associate questa giustapposizione poetica, non escluderemmo che vi venga in mente un giornalista, scrittore e uomo politico italiano che non è mai stato comunista, noto al secolo con il nome di Walter Veltroni.

Noi qui lo chiameremo più brevemente “il Veltro”.
Or dunque, il Veltro, già dirigente della Fgci, del Pci, del Pds e dei Ds (fino alla carica di segretario nazionale), ma anche vicepremier di Prodi e sindaco di Roma dopo Rutelli, assumeva trionfalmente la segreteria nazionale del Pd nel 2007 presentandosi come candidato premier alle elezioni politiche del 2008, quando decideva di correre “da solo”, in pacata competizione con “il maggior esponente dello schieramento avverso”, che lo sconfiggeva due volte inducendolo a dimettersi da ogni responsabilità e a chiedere “scusa” ai suoi sostenitori ed elettori in una celebre conferenza stampa che si teneva il 17 febbraio di un anno fa.

È tornato alla ribalta, nell’assemblea di Area democratica tenutasi questa settimana a Cortona. E in quanto ex leader del Pci-Pds-Ds-Pd ha di fatto preannunciato la propria aspirazione a una seconda nomination come candidato premier del centro-sinistra alle prossime elezioni politiche. Queste dovrebbero tenersi fra tre anni, ma potrebbero venire anticipate nel caso in cui lo scontro Fini-Berlusconi si combinasse con il crollo del Governo, che poggia su molte faglie destinate probabilmente a lacerarsi.

Stefano Menichini, direttore del quotidiano “Europa”, che è uno dei due organi del Pd, ha osservato come il principale ostacolo per un rilancio di codesta leadership stia nella “diffidenza del suo stesso partito”, all’interno del quale pesano ancora, e non poco, le conseguenze di un tragico abbaglio, “l’errore di aver troppo legato un’avventura collettiva a una singola persona, alle sue sorti, ai suoi limiti”.

Quali limiti ha, il Veltro?
A nostro modesto parere, uno dei suoi difetti più gravi sta nel non essere mai stato comunista. Noi riteniamo il non-comunismo assai più grave del ben noto antisocialismo, che ci appare in qualche modo secondario e comunque ovvio. È ovvio, infatti, che il Veltro debba continuare a proclamare morto e ri-morto il socialismo europeo. Soltanto in tal caso il Pd potrà continuare ad apparirci indispensabile. Ed è indispensabile che il popolo di centro-sinistra pensi di avere avuto assolutamente bisogno del Pd, perché altrimenti la spallata al Governo Prodi, la sconfitta alle politiche, la perdita del Comune di Roma, della Regione Sardegna e tutto il resto apparirebbero un’assurdità totale, un prezzo pazzesco pagato per realizzare l’astrazione ideologica più dirompente e suicida che la storia della sinistra italiana ricordi dall’Aventino ai giorni nostri.

Perciò, noi capiamo il Veltro quando impiega parte importante dei suoi magistrali discorsi allo scopo di dimostrare ancora una volta per la prima volta il decesso irreversibile e definitivo di ogni socialismo europeo, decesso che stavolta deriverebbe dalla sconfitta di Gordon Brown. Certo, Brown ha lasciato Downing Street, per inciso sorridendo ai fotografi, la moglie e i bambini al fianco, tra due ali di folla, accompagnato da una solenne copertura mediatica intercontinentale. Crollo strutturale finale totale della socialdemocrazia europea? Non si direbbe. Parrebbe piuttosto la dignitosa, e ordinata, uscita di scena di un importante leader politico occidentale che seppe dire al mondo in quale maniera affrontare lo tsunami finanziario di due estati fa.

Poco ne cala qui se il Labour ha stravinto le elezioni comunali britanniche, tenutesi in parallelo alle politiche. E poco ne cala che i conservatori abbiano mietuto a Buckingham Palace la classica vittoria di Pirro. Tutti, comunque, sanno che il Labour prima o poi tornerà a governare. E così la SPD: ogni tanto viene sconfitta, ma dopo qualche anno ritorna a vincere. Lo stesso vale per il PSF, il PASOK, il PSOE, il PSP e le altre formazioni storiche del socialismo europeo, che è sopravvissuto a un secolo e mezzo di requiem praticamente quotidiani, superando le inevitabili eclissi della storia, ma dimostrando sempre di saper navigare in quelle “migliori acque” del Purgatorio da cui siamo partiti.

Tra l’Inferno e il Purgatorio Dante pone una fondamentale differenza che, notoriamente, non sta nel “dolore” (il dolore pervade entrambe le cantiche senza risparmio), ma piuttosto nella “speranza”, che illumina il Purgatorio e che invece manca totalmente nella selva oscura.

Fuor di metafora, il rischio dissoluzione politico-organizzativa non sembra incombere tanto sul socialismo europeo, quanto sul Pd italiano. Rischio esplicitamente evocato dall'ing. De Benedetti, editore di riferimento e "tessera n° 1" del partito; rischio rilanciato a Cortona dal capo della minoranza, Franceschini. Tant’è che l’ex leader del Pci-Pds-Ds-Pd, con la buona volontà a lui propria, ha dovuto respingere più volte l’ipotesi di una “scissione”. Apprezziamo l’etica della buona volontà, ma ci chiediamo se possa bastare.

Ora, a parte che per le sue competenze economiche l’attuale leader del Pd, Pierluigi Bersani, parrebbe essere miglior candidato a governare l’Italia, in contrapposizione a Tremonti, nell’eventuale crisi del berlusconismo, a parte questo, non sapremmo però davvero come definire una minaccia di scissione di fatto reinvestita nelle trattative per la leadership di una coalizione distrutta da un giornalista, scrittore e uomo politico italiano che non è mai stato comunista.

Beninteso, avrà straordinarie virtù e talenti, e sarà pure un’amabilissima persona, e magari verrà financo il giorno in cui egli libererà l’Italia dai suoi antichi mali, realizzando la profezia dantesca, ma anche sorprendendoci un po', il Veltro, “e sua nazion sarà tra feltro e feltro”.

Ma se sei la sinistra italiana, perché mai ti dovresti fidare di un leader che non è mai stato comunista?
Quasi tutti gli italiani di sinistra, nel dopoguerra, lo sono stati, almeno per un istante, almeno da ragazzi. Lui no. Non lui, che pure fu un dirigente del Pci.

Dirigente sempre, comunista mai?